Ai giornalisti piace tanto arrivare prima degli altri. Un po’ per dovere professionale, un po’ perché l’esigenza di essere tuttologi e superveloci ci porta a credere spesso di essere i primi della classe.
Un primato effimero che anche il calendario dell’Anno Santo ha favorito perché è toccato proprio ai comunicatori aprire la lunga serie dei giubilei “di categoria”. Il ritrovarsi “pellegrini di speranza” in questi tre intesi giorni romani – arricchiti di eventi e di richiami, che qui vogliamo condividere – ci ha costretto per una volta a non dover raccontare gli altri, ma a fare i conti con noi stessi. Lo abbiamo vissuto in tanti soprattutto come un itinerario penitenziale, suggellato da quell’unico essenziale richiamo che papa Francesco sabato, nella festa del patrono San Francesco di Sales, ci ha affidato in Aula Nervi dopo aver consegnato al Prefetto Paolo Ruffini il testo del discorso ufficiale perché “leggerlo sarebbe una tortura”. Ha voluto “soltanto” ricordarci che per dire la verità, “dobbiamo essere veri”. Veri “nell’interiorità”, veri “nel cuore”. Che, alla luce della sua ultima lettera “Dilexit nos”, non significa soltanto veritieri. Ma sinceri “con noi stessi”, con tutta la nostra umanità e la nostra intelligenza.
Già, anche ora che abbiamo a disposizione quella Artificiale (e di I.A. si è parlato molto, soprattutto del dovere di tornare a studiare e sempre aggiornarsi per poterla gestire con sapienza), il comunicatore è invitato a essere rigoroso e appassionato, senza utilizzare con pigrizia i “cibi precotti” (espressione della presidente del CNR Maria Chiara Carrozza) e considerando due tendenze di questi tempi, illustrate dalla sociologa Mariagrazia Fanchi: tutti possono contribuire alla comunicazione mediale (il 35% degli italiani ha pubblicato qualcosa nella rete) e il valore dei contenuti mediali si misura su nuovi parametri (capacità di emozionare più che la qualità professionale, facilità di accesso più che originalità e l’innovatività dei linguaggi).
L’invito alla verità del Papa non va contro i principi classici della nostra deontologia (“il rispetto della verità sostanziale dei fatti”, come l’ha riassunta il direttore del TG2 Antonio Preziosi), ma implica alcune conversioni decisive: “sostituire il sensazionale con l’essenziale, il recente con il rilevante” ha suggerito il direttore di Avvenire Marco Girardo, riflettendo sull’importanza di individuare e presentare “un percorso di senso”, una precisa gerarchia nella scelta delle notizie. E poi “perseveranza”, “gentilezza” (rispetto a troppe parole ostili) e – per riprendere il direttore dell’Agenzia Sir Americo Vecchiarelli, “anche un senso di gratitudine” per il fatto di poter incontrare e moltiplicare nel nostro lavoro “fatti di Vangelo”. Dobbiamo “resistere alla tentazione del tutto e subito”, secondo il direttore di TV2000 Vincenzo Morgante, serve “investire su profondità e chiarezza”, “avere la capacità di selezionare i contenuti, non produrne di più ma produrli meglio”. Raccontando storie di umanità: “Le storie contano. Hanno il potere di cambiare il corso della Storia – ha detto lo scrittore Colum MCCann -. Possono salvarci. Sono la colla che ci tiene uniti: senza storie non possiamo comunicare, e senza comunicazione non siamo nulla”. Lo ha testimoniato la cronista filippina Maria Ressa, Premio Nobel per la pace nel 2021, con il suo sito di giornalismo investigativo che rema contro la concentrazione delle notizie in mano a pochi oligarchi. Come il coraggio dei 500 giornalisti attualmente incarcerati nel mondo e dei 120 i colleghi che hanno perso la vita sul lavoro nell’ultimo anno.
Attraversare le porte sante – venerdì in San Giovanni in Laterano, sabato in San Pietro – ci ha messo insolitamente davanti a teleoperatori e fotografi come “oggetto della notizia”, invitandoci così ad essere anche noi “pellegrini di speranza”: quella che non delude. Perché – come ha scritto il Papa nel messaggio per la Giornata annuale “la speranza dei cristiani ha un volto. Il volto del Signore Risorto. La sua promessa di essere sempre con noi attraverso il dono dello Spirito Santo ci permette di sperare contro ogni speranza e di vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sempre perduto”.