Contro il ddl Zan? (As)saggio di dibattito ecclesiale – 2

Se la CEI auspica un "dialogo aperto" sul ddl Zan è chiaro che tale dialogo deve essere sia 'ad extra' che 'ad intra'...
3 Giugno 2021

Dopo aver qui chiarito il metodo corretto per affrontare in modo adeguato i problemi sottesi al Ddl Zan, è possibile esplicitarli e discuterli.

1) la definizione dei concetti (art. 1) – Questo è, probabilmente, il punto più problematico. Il binomio dialettico sesso – genere può essere definito “esplosivo”. Non solo per il fumo mediatico che provoca, ma obiettivamente per la tensione che si genera quando si tenta di comprendere cosa sia la differenza sessuale. Risolvere l’identità di genere nella «identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione» può essere il tema di un pamphlet polemico o lo strumento di precise battaglie ideologiche, ma non il fondamento di un pensiero che abbraccio l’essere umano in tutte le sue dimensioni – senza scivolare in uno spiritualismo che stupisce non ponga problema per chi ha abbracciato nella fede un Dio incarnato. Meno che mai questa definizione scarna e scivolosissima può costituire l’introduzione di una legge che pretende di avere lo scopo di difendere i diritti di alcune “minoranze” – uno scopo mirato che mal si adatta con le definizioni allo stesso tempo generiche ed univoche dell’art. 1. Poiché ogni legge genera delle conseguenze – perché promulgarle altrimenti, in effetti – non si possono ignorare quelle che notizie che ci giungono da lidi e paesi non troppo lontani. Riconoscere come legalmente vincolante l’identificazione “di genere” semplicemente dichiarata da qualcuno sta già provocando fenomeni non solo discutibili, ma pericolosi. Dagli sport all’assegnazione nelle carceri alla questione dei bagni pubblici – fino al destro che può offrire alle pratiche di fecondazione eterologa e all’utero in affitto – la decisione di prendere per legalmente vincolante l’identità auto-percepita genera vere e proprie ingiustizie, per l’incapacità del sistema giudiziario di adattarsi alle esigenze dei singoli, ma con esito opposto a quello voluto. Ovvero è chiaro che una persona transgender (nato maschio) non può esser trasferito semplicemente in un’ala comune con altre persone di sesso maschile, ma nemmeno semplicemente in un carcere femminile. Una rigida accettazione del sesso percepito conduce a ingiustizie simmetriche che possono essere evitate soltanto tramite la discrezione in sede giudiziaria. Persino l’ambito del femminismo italiano si è mostrato preoccupato in maniera seria delle conseguenze di questa noticina sull’identità di genere e trovo irresponsabile, nella sfera della politica, in quella pubblica e soprattutto in quella ecclesiale, ignorarle. O, ed è lo stesso, imporre l’approvazione di una legge per “disciplina interna”.

 

2) le (particolarmente irrise) preoccupazioni riguardanti la libertà di opinione – Le integrazioni che il ddl Zan introduce ad alcuni articoli del codice penale ha condotto diversi esponenti della società civile e giuristi – particolarmente afferenti all’area “cattolica”, ma non soltanto – ad evidenziare il concreto pericolo di predisporre de facto dei reati di opinione. Ci si potrà dichiarare convinti di quello che è l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità? Si potrà scegliere questo paradigma educativo? Bene Umberto Rosario Del Giudice provoca a distinguere tra l’orizzonte suggerito dall’insegnamento ecclesiale e atteggiamenti discriminatorî che utilizzano quegli insegnamenti come coperta per disprezzare ed escludere. Questa distinzione però non copre (per così dire) tutte le critiche al ddl Zan su questo punto della libertà di opinione. La stessa creazione di “riserve” maggiormente protette dalla legge sebbene possa essere comprensibile in seguito ad una chiaramente rilevata discriminazione diffusa (e a volte, nel passato, codificata), tuttavia è uno strumento estremamente rischioso. Pericoloso addirittura quando le riserve espresse sull’articolo 1 hanno fatto emergere il trasferimento di affrettate definizioni filosofico-politiche nell’ambito giuridico. Il pericolo che questa parte della legge si trasformi un uno strumento legale per perseguire idee è stato evidenziato da diversi giuristi – ricordando che la semplice denuncia e un eventuale processo sono per alcuni già un deterrente sufficiente. L’aggiunta dell’articolo 4 sembra addirittura peggiorativo laddove sembra concedere ciò che (art. 21) è un diritto costituzionale e dunque fondativo. Sono le limitazioni eventuali alla libera e pubblica espressione che devono essere in maniera puntuale e definita essere giuridicamente poste. E, spiace ripetere, le definizioni con cui inizia il disegno di legge configurano una violenza rispetto al dibattito politico e culturale su questioni cardine di ciò che è umano. È ovvio, d’altra parte, che in contesti di reciproca fiducia e di dialogo diventa davvero difficile che si arrivi a sfruttare gli appigli di questa legge per attaccare qualcuno – un insegnante di religione ad esempio, se ha creato un clima di fiducia. Ma è anche vero che il codice penale in genere e ogni legge che regoli la propaganda di idee è giocoforza una legge che si applica in contesti di crisi e di conflitto. E il clima che provoca la percezione di inaccettabilità di un’opinione sembra davvero serena a tal punto da consegnare ad uno strumento legale mal scritto la risoluzione delle divergenze? Nemmeno a sinistra è stato possibile un dibattito interno sulla legge e le voci di dissenso ritenute interne sono persino aggredite: «Come mai queste perplessità all’interno del Pd non sono emerse già alla Camera? Qualche malumore sull’inserimento della misoginia in realtà c’era. Un gruppo di senatrici del Pd aveva chiesto di essere ascoltato anche allora, ma non fu concesso» (corsivo mio). Parliamo di Valeria Fedeli, non del segretario della CEI. Anche se lei e perlopiù tutti i parlamentari sembrano sottomettersi ad un’obbedienza perinde ac cadaver – come un cadavere. Il gesuitismo ha fatto scuola, in tutti i partiti.  Questo non è certo il clima nel quale uno strumento potenzialmente oppressivo possa essere ricevuto e neutralizzato.

 

3)  la giornata contro la omotransfobia nelle scuole – È il punto da una parte meno problematico nel testo e più delicato nella realtà. Ciò che viene temuto è che, specie negli ordini dell’infanzia e della primaria, vengano proposti progetti e linee guida orientati secondo alcune delle linee di pensiero sul delicato rapporto tra sesso e genere e specialmente sulla costruzione dell’identità nelle fasi iniziali della vita umana. Il pericolo posto da alcuni progetti che sembrano orientati ad una precoce erotizzazione dell’infanzia o ad una banalizzazione delle difficoltà legate all’appropriazione della propria identità sessuale e sessuata è difficilmente negabile. Ultima e recentissima questione quella di linee guida da diffondere nelle scuole per le “Strategie di intervento e promozione del benessere dei bambini e degli adolescenti con varianza di genere” (ma poi ritirate). Il testo manifesta un retroterra ideologico molto chiaro. Il punto più grave però è questo atteggiamento “sperimentale” sull’infanzia e la giovinezza che caratterizza le prassi legate all’assistenza ed educazione finalizzata al divenire se stessi in ordine alla propria identità sessuata. Sarebbe possibile esercitare un’opzione di rifiuto non contestabile con il ddl Zan? Esaminare i singoli problemi richiederebbe però altro spazio per cui mi concentrerò qui sulla questione della “titolarità” educativa di bambini e ragazzi e sugli obiettivi dell’educazione. La linea di guardia della difesa del diritto dei genitori ad essere coinvolti, avvertiti, avvisati ed informati di ogni attività che coinvolga aspetti particolarmente delicati della vita dei loro figli è un atteggiamento difensivo, ma inevitabile. Deve sempre essere possibile, specie nei gradi inferiori scolastici, essere informati ed astenersi da attività non in linea con l’orizzonte condiviso per una famiglia. Il combinato della giornata proposta dal ddl con i problemi sopra evidenziati non lascia così tranquilli al riguardo.

 

Uno sguardo sintetico sul documento sembra suggerire un intento illiberale serpeggiante. Non frutto di qualche complotto, ma di un problema strutturale dei nostri tempi. In ambito politico si parla di “democristiano” per indicare un atteggiamento che persegue l’accomodamento rispetto alle convinzioni sociali diffuse, capace di incamerare tendenze diverse neutralizzandole per far sì che la società rimanga omologata come essa è. Se possiamo utilizzare questa definizione per definire la situazione della società italiana nel nostro passato (ormai non più recentissimo) non credo commetteremmo un errore. Rispetto a questa omologazione sociale e culturale oggi si pone in contrasto una visione che si vuole capace di accogliere il diverso in quanto tale. Penso che il contenuto di questo proclama sia centrato. Tuttavia i recenti dibattiti sul politically correct e sulla cancel culture evidenziano come più che costruire la possibilità di una nuova società plurale si cerchi di creare una nuova omologazione – soltanto cambiando il logo. Il ddl Zan non solo è segno di questa deviazione di percorso, ma è pure costruttivo e potenzialmente funzionale a costruire una società che speravamo di esserci lasciati alle spalle.

Se quanto scritto in obiezione al ddl Zan e a coloro che guardano ad esso con (eccessiva) tranquillità è sembrato un po’ analitico si è raggiunto l’effetto sperato. Opporsi ad una legge non soltanto scritta, ma impostata male è il risultato, per molti, di una riflessione ponderata. Spero che quindi si possa aprire, su questo e altri temi, un dialogo franco e aperto all’interno della Chiesa che eviti le reciproche accuse di eresia o di collusione contro forze anti-cristiane (o cattoliche). Il pontificato di Francesco è a questo riguardo provvidenziale in quanto ha aperto ad un momento in cui può diventare possibile e addirittura stabile un clima di reciproca esposizione di idee, opinioni e preoccupazione senza immediati interventi di autorità. È un clima fragile perché coloro che vedevano in Benedetto l’argine anti-moderno dell’ortodossia ora vivono senz’altro spaesamento per lo stile di questo Papa “pescato” «quasi alla fine del mondo», a volte dimostrando quanto il fondamentalismo sia in realtà un soggettivismo, prendendo parte contro il Pontefice – quasi che il Vicario di Cristo debba come un martello colpire coloro e solo quelli che gli sono indicati dal puntatore di piccoli gruppi accecati. Mentre altri vedono forse con spirito di rivalsa questa nuova situazione e sperano in un nuovo conformismo ecclesiale, solo rovesciato. La fragilità di questa situazione può essere da sprone per rendere normale un dibattito intra-ecclesiale acceso, non dimentico dei confini, ma aperto ai contributi di tutti. Potrebbe anche diventare un modello profetico per offrire un’alternativa all’omologazione dell’unica lingua e delle stesse parole che sembra essere alle porte.

 

5 risposte a “Contro il ddl Zan? (As)saggio di dibattito ecclesiale – 2”

  1. Paola Meneghello ha detto:

    Siamo un corpo e un’anima, ma a volte succede che non si riconoscano.
    Siamo imperfetti, tutti, ma se esuliamo dal peccato e dalla colpa, forse riusciamo ad amarci per ciò che siamo, senza voler essere ciò che non siamo (utero in affitto. .).
    Credo che il vulnus sia la non accettazione e la negazione dei propri limiti, forse dovuti ad anni di discriminazioni, e che porta ad una sorta di volontà di rivalsa…è giusto rifiutare la parola normalità, ma non per far diventare tutto normale, omologato, altrimenti annulliamo proprio quelle differenze che diciamo di voler combattere, credo.
    Amore, amore e ancora amore, non vedo altra strada..

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Il rispetto della realtà. Proprio così cioè non si dovrebbe pensare di entrare a gamba tesa in una scuola ancorche dei primi anni,, o dell’età evolutiva, ma semmai l’approccio può semmai essere argomento nell’età per natura matura e formata. Sarebbe come far entrare un trattore o un raccoglitore quando è dove è stato appena, seminato, quando tutto è in divenire per cui non si può introdurre il dubbio, creare dall’esterno certezze, prima ancora della sicurezza. Basta essere madri per fare questo ragionamento è per la cura e l’amore che si prova quando si mette al mondo una creatura, e aggiungo che per istinto non permetterei a nessun estraneo dettare legge culturale che non approvi. Pertanto . Se così i programmi già sono avanzati, la Chiesa fa bene non stare indietro a difesa di un rispetto e di una delicatezza che dire amorevole e poco da parte del Creatore si è vista perché provata.

  3. gilberto borghi ha detto:

    Un dibattito sereno su questa questione non può ancora esistere. Le polarizzazioni esasperate non si risolvono perché tra i contendenti esiste un terreno comune nascosto che permette di mantenere lo scontro: l’incapacità a riconoscere la persona concreta in tutto il suo essere.
    Da parte laica la corrosione della natura ad opera della tecnica è già ampiamente piena e ora, anche il concetto di persona è stato messo nel mirino dagli acidi della post modernità, per ridurre la persona alla propria volontà. A fronte di questo la Chiesa fatica a comporre un concetto di persona non essenzialista ed astratto. Perciò anche qui, la fatica di ritrovare la lettura “secondo l’intero” (cattolica) della persona è purtroppo lontano.
    Il terreno comune dello scontro si abbandona solo riconoscendo che la persona è un essere concreto (quello li e non un altro) di cu la volontà è solo uno degli elementi costitutivi… e in cui proprio il corpo sintetizza l’insieme

    • Mattia Lusetti ha detto:

      Grazie di aver enucleato il nodo teorico problematico che sta sullo sfondo. Una visione secondo l’intero della persona è l’obiettivo di un’antropologia filosofica (e poi teologica) fondamentale e oltretutto è anche la via per l’integrazione delle dimensioni umane nella storia – biografia di ciascuno. Purtroppo i nodi vengono al pettine in forma di dibattito politico quando si è sulla linea di fondo, per così dire, ma non è mai troppo presto per metterli nell’agorá culturale ed ecclesiale.

  4. Gian Piero Del Bono ha detto:

    La giornata nelle scuole contro l’omotransfobia sarebbe certo organizzata dalla lobby LBGT e i suoi contenuti non potrebbero essere in alcun modo criticati o variati gia’adesso in alcunevscuole materne circolano libretti con fiabe per bambini in cui il gattino si ” percepisce” come cane e vuole essere trattato di conseguenza. Insegnare ai bambini che la realta’ “percepita” e’ sullo stesso piano della realta’ oggettiva vuol dire distorcere la loro capacita’ mentale. Tommaso d’Aquino iniziava le sue lezioni mostrando una mela e dicendo Questa e’una mela . Si deve partire dalla realta’ per poter ragionare rettamente. Un gatto e’un gatto. Un uomo un uomo. Una donna e’una donna .
    Il rispetto della realta’ .

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