Vivendo, dare fiducia all’inatteso

Dare fiducia alla vita, scrutare la realtà che scorre e supera le nostre aspettative: è l'invito del Vangelo di oggi, che risuona accanto a una poesia di Rainer Maria Rilke.
15 Dicembre 2019

C’è un senso di chiusura che porta con sé ogni attesa: perché attendere implica sempre un movimento, un “tendere a”, e muoversi vuol dire lasciare un luogo per provare ad arrivare a un altro luogo. E quando l’atteso arriva, cessa il movimento, richiedendo così il congedo da un tempo precedente. Se attendo ciò che non ho, se mi metto in cammino verso quello che non possiedo, una volta che quello avrò trovato sarò chiamato a licenziare la parte della vita segnata dall’assenza, aprendone una sotto le insegne della presenza.

Ma chiudere non è facile, lo sappiamo. Richiede sforzo, fiducia e speranza.

Mi pare che questa fatica sia vissuta anche da Giovanni, «più di un profeta», ci ricorda il Vangelo di oggi, ovvero un uomo benedetto in modo speciale dalla grazia. Ma uomo, con timori e momenti di oscurità.

Trovo grande consolazione nel dialogo a distanza tra Gesù e Giovanni. Il profeta domanda «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?»: interrogativo umanissimo che porta con sé un’altra questione: l’atteso non è come ci si aspettava e così sorge lo smarrimento. Giovanni, colui che aveva il compito di preparare la strada e riconoscere il Messia, vive l’incertezza: sei tu il Messia? Domanda posta dalla voce che avrebbe dovuto invece indicare l’atteso.

L’uomo del punto esclamativo diventa l’uomo del punto interrogativo.

Stupenda la risposta di Gesù: guarda i fatti, guarda quello che accade, scruta la realtà. Nessuna parola può fondarsi se aliena dalla realtà: allo smarrimento di colui che aveva il compito di riconoscere l’atteso, Gesù non risponde con un rassicurante “sono io”. Al contrario, egli chiama in causa la capacità di leggere la realtà: guarda i segni, poni attenzione alla vita che scorre. Nessuna dichiarazione di autorità astratta, ma invito reale a sperimentare, a porgere orecchio e volgere lo sguardo. Così, solo così, avremo la risposta alla nostra attesa: il Regno dei cieli è arrivato, il Cristo è tra noi. Questo è dichiarato dalla vita che si apre: il male è vinto, la sofferenza è medicata, il povero è oggetto della novella buona di Dio.

Sono pensieri che mi conducono a una bella lirica – senza titolo – di Rainer Maria Rilke, racchiusa tra le sue Poesie sparse (tradotte da Andreina Lavagetto), scritta a Parigi «all’inizio dell’estate 1911»:

Ah, c’è nell’aria un richiamo

d’aperto amore. Contenete

fra le spalle il profumo del cuore;

siate fiori perché possiate fuori

riversarvi e per noi

trasformare lo spazio meditato

in giardini improvvisi.

L’atteso arriva e provoca smarrimento; egli disorienta, in quanto non è come lo avremmo voluto. Per fortuna, l’attesa supera i nostri angusti schemi. L’atteso, di fatto, diviene ‘inatteso’. Ma, proprio per questo, scaturisce la vita: volgere lo sguardo alla realtà, scorgere che «c’è nell’aria un richiamo / d’aperto amore»: è l’invito di Gesù, cogliere nell’aria un nuovo canto e un nuovo inizio tra Dio e il suo popolo affaticato, sofferente, ferito. Ieri, come oggi.

Chiudere le nostre aspettative, aprirci alla vita che scorre sotto il sigillo dello Spirito. Solo così, davvero, potremo diventare «fiori», potremo riversare le nostre piccole esistenze benedette.

Solo così, abbandonandoci alla vita che scorre, dando fiducia alla realtà, superando lo smarrimento e andando al di là dei nostri pensieri, dei nostri ragionamenti, delle nostre presente certezze, l’attesa diverrà conferma e potremo «trasformare lo spazio meditato / in giardini improvvisi».

 

 

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