“Versi di pace” è il titolo che “La Voce dell’Jonio” ha dato all’iniziativa lanciata per contribuire a formare coscienze che aborriscono la guerra e cercano ad ogni livello la pace.
È un’associazione di volontari al servizio della Chiesa locale (Diocesi di Acireale) e della gente, da diversi anni attiva in campo culturale con la testata online www.vdj.it, con la pubblicazione di libri e l’organizzazione di eventi formativi. Non per niente il suo motto è tuttora “informare per formare”, dettato a suo tempo dal fondatore Orazio Vecchio.
E come, due anni fa, con “Non vedo l’ora” lanciata allorquando l’Italia dovette chiudersi in casa e privarsi dei contatti interpersonali, anche questa iniziativa è stata rivolta ai poeti, riconosciuti come tali perché noti e/o autori di pubblicazioni, ma anche a quanti per la prima volta seguono le orme della musa Calliope, studenti compresi.
Sono stati raccolti testi, in versi e anche in prosa poetica, in lingua italiana, in dialetto siciliano e, eccezionalmente, anche in altre lingue con traduzione, ispirati ai tragici momenti che vive il mondo, e soprattutto l’Europa e l’Ucraina in particolare.
Non si tratta di un concorso ma, come è stato per “Non vedo l’ora”, di una iniziativa popolare, democratica, utile perché si possa riflettere seriamente, anche quando la guerra sarà finita, sui grandi principi di convivenza e fratellanza umane, sul rispetto dell’altro ad ogni livello; iniziativa nella quale si intendono coinvolgere grandi e piccoli.
Come è nata l’idea, ce lo spiega il direttore de “La Voce dell’Jonio”, Giuseppe Vecchio: «Dinanzi alla guerra si resta sgomenti, inebetiti, sconcertati, senza parole, combattuti tra la voglia di contrapporsi in qualche modo, rischiando magari di appoggiare reazioni belliche e il desiderio profondo di pace che porta a scatenare la solidarietà e tutte le sue manifestazioni mentre i credenti elevano le loro preghiere; sempre distinguendo chiaramente i ruoli di attaccante (la Russia) e attaccato (l’Ucraina), carnefice e vittima, anche la responsabilità di chi decide e di chi subisce l’ordine bellico, perché spesso non ne può fare a meno. Quanti ci occupiamo di cultura e operiamo per il bene comune, qualcosa di particolare possiamo e dobbiamo farla, anzi di più: costruire le premesse per relazioni umane sane, che formano coscienze capaci di tenere lontani sentimenti di odio, razzismo, sopraffazione e costruire un mondo migliore, nel quale la guerra venga bandita e ogni persona si riconosca e rispetti l’altra senza alcuna preclusione».
Quindi non poesie di guerra ma, appunto, versi di pace!