Se la Messa è «uno sfinirsi di parole»

Per tornare a vivere bene le celebrazioni è necessario che esse si nutrano di vita, affrontandone anche il lato oscuro – come canta in una poesia Curzia Ferrari – e trovare così il ristoro promesso.
5 Luglio 2020

Abbiamo spesso costruito la nostra fede attorno al perno della Messa domenicale; quante volte mi è capitato di sentire: «quei bambini vengono a catechismo ma poi non vengono a Messa», scambiando il traguardo con la partenza e ignorando che spesso dietro alle assenze dei bambini ci sono le scelte dei genitori. Da un punto di vista educativo, sarebbe come se pretendessimo da un bambino di terza elementare di assistere o sostenere il colloquio di maturità. Perché vivere la Messa è difficile, richiede una profondità di fede notevole, dato che in essa si racchiudono misteri grandi, come l’Eucarestia, con una grammatica oggi non agevolmente comprensibile.

Abbiamo, inoltre, così tanto insistito sulla Messa domenicale che, per troppi, si è assistito a una sorta di riduzionismo: andare a Messa, staccare il tagliando, timbrare la scheda, compito assolto. La pandemia ci ha messo di nuovo sotto gli occhi come la vita cristiana si alimenti di molte forme di preghiera, di tanta creatività che permette all’uomo e a Dio di entrare in relazione.

La Messa dovrebbe essere una sintesi di tale creatività; dentro il rito si dovrebbero trovare la Parola, l’Eucarestia, la comunità, il mistero che si rende presente, la bellezza. Ma è così?

Del quotidiano rapporto tra uomo e Dio, cosa si trova nelle nostre Messe domenicali, nei riti stancamente protratti e recitati? Del «mestiere di vivere» (Pavese), cosa si ritrova nella maggior parte delle nostre Messe? Perché se non c’è la vita nella Messa, essa diverrà sempre più ‘pesante’, ‘noiosa’, ‘faticosa’… Il nostro è un Dio incarnato: se la nostra vita non è al centro della nostra preghiera, essa sarà sempre più astratta, sempre meno vera…

Sono riflessioni che ho trovato condensate con rara efficacia in una poesia di Curzia Ferrari, poetessa milanese, giornalista, originale biografa di santi, che ho avuto l’onore di incontrare più volte, gustandone la sapienza e l’intelligenza.

In Ho dentro un dio, tratto da Pietra, la sua ultima raccolta (edita da Aragno nel 2013), Curzia Ferrari scrive:

Ho dentro un dio, una tribulazione

niente da agguantare – un passero sul cornicione

e non precipiti nel disastro, e sia un appiglio

il Niente che forse è Lui –

non scrive e-mail, ed è l’opposto della madre

del padre del marito e del figlio – non consola.

Con una benda sugli occhi sporca e spessa

mi copre, caravanserraglio di nodi – sono a Messa

uno sfinirsi di Parole – Tu vangelo

Tu lima, Tu subbuglio –

tormento della mente –

pauper et humilis spiritu

dov’è la tua faccia

Altissimo Signore onnipotente.

Il Dio che consola è il Dio che prima va preso sul serio e anche affrontato; il capitolo 12 di Matteo, con quel suo «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò», inizia con i dubbi di Giovanni il Battista, la sua fatica di capire chi sia Gesù. La fede vera presuppone il prendere sul serio il Cristo e portargli la nostra vita, sapendo che Dio «non scrive e-mail».

Come nella poesia di Curzia Ferrari, la vita cristiana è una ricerca costante del mistero di Dio, conoscendo per questo durezza e smarrimento; c’è una vita che pulsa, nelle sue contraddizioni e cecità (la benda «sporca e spessa» di cui parla il testo) che troppe volte non troviamo nelle nostre celebrazioni: «sono a Messa /uno sfinirsi di Parole».

Per fare in modo che la vita sia nutrita dalla celebrazione, è necessario che la celebrazione sia nutrita dalla vita, anche nel suo lato più buio: «Tu vangelo / Tu lima, Tu subbuglio / – tormento della mente».

Forse dopo questo passaggio potremo tornare a dare linfa alle nostre celebrazioni. E quindi alla nostra fede… dando spazio al silenzio per far parlare lo Spirito, trovando così il ristoro promesso per le nostre anime.

 

3 risposte a “Se la Messa è «uno sfinirsi di parole»”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Vorrei aggiungere che andrebbe data la giusta importanza alla Parola.Il comunicare “il Messaggio” e preparatorio all’accogliere Cristo che si fa presente nel segno eucaristico perché al l’importanza di questa Presenza giunga percezione ai presenti,fedeli che per questo sono lì, non per un adempimento,una esteriorità comunitaria. Il celebrante che nel l’omelia apre alla parola, come Cristo ha aperto il “rotolo” e poi ha spiegato; questa “spiegazione, dovrebbe essere approfondimento che si incarna nell’oggi,questo dovrebbe richiedere dal celebrante la consapevolezza di quanto diventa servizio,il suo servizio al Maestro per il Fedele,il gregge che gli sta davanti e che non dovrebbe essere tanto distratto ma a bere di quel l’acqua perché gli serva ella vita di tutti i giorni gli serva a pregare meglio d accogliere quel Cristo che per questo si fa così IN. Spero che i ns.commenti vengano onorati di attenzione

  2. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    Cosa è superato’ la forma o il contenuto? Senza l contenuto non c’è più la Messa, la forma?…..Io penso che questa dipenda dal Ministro, se viene un celebrante che fa un servizio di routine. Se così capita non fa meraviglia che il fedele preghi per proprio conto, Se la messa è come un “servizio” gesti,segni di presenza della divinità automatici, la forma perpetuata, neppure la divinità sembra più essere presente e magari sarebbe giustificata la cosa, perché è un trattamento come fa l’impiegato la pratica d’ufficio..Il “venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e vi ristorerò” 0 voi che siete assetati, venite alle acque,, voi che non avete denaro venite,comprate senza denaro e senza pagare ” …invece si è sollecitati a lasciare offerte, per i poveri naturalmente, ma i poveri non sono per caso anche quelli che varcano la soglia di una chiesa? Perché altrimenti si va a messa se non per dialogare con quel Cristo che mi ha invitato?

  3. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    L’abisso che separa la Messa dalla vita reale di tutti i giorni, insieme al distacco continuamente crescente dei fedeli da 100 anni in qui, basta?
    Un piccolo mons. della diocesi di MI, innamorato della Liturgia, collegava al fluire della vita, come ben pochi fratelli. Bello! Ma sono cose che nn dicono + niente ai fedeli, parole come Transustanziazione, Sacrificio Eucaristico, ecc
    MA, vi chiedo, cosa è superato? la forma o il contenuto??
    Le esperienze di “incontro” tra i seguaci dei “movimenti”, UNICA risposta VITALE del secolo scorso ( stendiamo un velo pietoso su quella dell Chiesa Ufficiale..) ci dicono che dobbiamo cercare nuovi modi e forme.

    Personalmente investirei TUTTO sulla aggregazione DIGITALE, da zoom a mille altre.
    Fare un congresso specifico su specialisti credenti per cercare le forme + adatte di aggregazione ( da zoom a FB a..)
    Ai soliti criticoni vorrei ricordare cosa successe con Lascia o raddoppia.

Rispondi a BUTTIGLIONE PIETRO Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)