Scandalo, stoltezza ed efficacia comunicativa

Il modo di comunicare vale molto di più del contenuto che si comunica e il contenuto viene accolto solo se è in sintonia con il linguaggio usato
12 Aprile 2022

In due classi terze, dove ho terminato un modulo sull’aborto, ho dedicato una lezione alla discussione su quello eugenetico. La nascita di un figlio con handicap non è certo un evento festoso, e volevo comprendere come e dove la generazione Z mette un confine, se lo mette, tra accettare di far vivere o no un figlio così.

Per stimolarli ho mostrato loro un primo video, molto famoso, dove Nick Vujicic testimonia una voglia di vivere davvero contagiosa, nonostante il suo grave handicap con cui è nato. In entrambe le classi, alcuni di loro avevano già visto il video. Tutti sono d’accordo sul fatto che Nick viva una condizione esistenziale molto bella e che dal suo modo di comunicare trasudi una forza di volontà e una serenità (alcuni si spingono fino a usare la parola gioia) davvero belle.

Ma la cosa che mi ha colpito è stata la reazione, a volte scomposta, a volte trattenuta, ma molto diffusa (anche se non di tutti) alla frase che l’autore del video (non Nick direttamente) mette quasi in chiusura: “La sua forza l’ha trovata nella sua fede in Dio e in Gesù Cristo”. “Perché dirlo, nessuno lo aveva chiesto”, “eccessiva”, “fuori luogo”, queste le espressioni con cui i ragazzi hanno reagito. Cerco di capire. “Si prof. Sembra quasi che se uno non ha fede non possa arrivare ad accettare così tanto la propria condizione”. “Perché dichiararlo, non era necessario, così si costringe troppo a pensare che la fede sia necessaria per vivere bene”. O ancora: “A giudicare dal resto del video non lo avrei detto e non lo avrei voluto sapere, perché non mi ero chiesta da dove venisse la sua forza!”.

Poi ho mostrato loro un altro video, anche questo famoso, in cui Gianna Jessen racconta di come è sopravvissuta ad un aborto e di come ora si batta con tutte le sue forze contro di esso. Qui le reazioni, anche stavolta di entrambe le classi, sono molto diverse. Quasi nessuno lo aveva visto prima, ma quasi tutti sono d’accordo a dichiarare che non amano il modo con cui Gianna parla e racconta la sua vita: “troppo convinta”, “arrabbiata col mondo”, “se la vive male”, “non ha perdonato ancora su madre”. Su due classi solo due ragazzi dichiarano di apprezzare il video e la sua determinazione. Gli altri arrivano quasi a parlare di arroganza, di eccessiva presunzione di Gianna.

Soprattutto, viene presa di mira la ripetuta e dichiarata relazione di Gianna con Dio: “ma non è mica l’unica al mondo a credere”; “se davvero ha così fede, perché è così arrabbiata?”; “la bambina di Dio? Ma se la racconta!” Anche qui cerco di approfondire. “Ma prof. Anche io sono credente, ma se fossi nella sua situazione cercherei di essere più serena e di accettare che esistano anche donne che vogliono abortire, mica posso imporre ad altri il mio credo!”. “Non mi piace perché se davvero crede così tanto dovrebbe cercare di lavorare per il bene e non contro il male, non sono la stessa cosa”. “Per chi non ha fede, insistere così tanto su Dio non aiuta certo ad essere contro l’aborto”.

Entrambi i video testimoniano il valore e la bellezza della vita, a prescindere dalle condizioni personali di esistenza. Ma un linguaggio che trasudi emozioni di leggerezza e serenità arriva e viene colto; un linguaggio che mostri durezza e rabbia tende ad essere rifiutato. Il modo di comunicare vale molto di più del contenuto che si comunica e il contenuto viene accolto solo se è in sintonia con il linguaggio usato. E forse, ciò non vale solo per giovani, ma anche per moltissimi adulti.

Resta però difficile trovare una forma comunicativa in cui si possa veicolare la presenza, in queste testimonianze della relazione di fede con Dio. Su questo, forse, due considerazioni si possono dedurre da questa esperienza didattica. Intanto, se si vuole che questo contenuto non sia rifiutato a priori, non lo si può dichiarare a prescindere dalla percezione di chi parla, che nell’interlocutore la domanda sulla sorgente di queste testimonianze si sia aperta sufficientemente. Se mettiamo una risposta ad una domanda che non esiste ancora, ce la bruciamo. Secondo. La dichiarazione della propria fede va fatta in modo da suscitare nell’altro una emozione di coerenza di senso, rispetto alla situazione testimoniata. Se dichiariamo di sentirci amati da Dio e trasmettiamo serenità e leggerezza di vita, nonostante tutto, potremmo essere credibili, ma se siamo arrabbiati col mondo, forse non lo possiamo essere.

7 risposte a “Scandalo, stoltezza ed efficacia comunicativa”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Devo confessare però che se è vero che il messaggio cristiano e per portare pace, esprimere bontà di cuore e sentimenti, può darsi che non conquisti apparendo sorridenti, o pacificatori vertere al buonismo, può invece sollevare perplessità, incredulità, come di superficialità, come da chi non ha provato cosa è sofferenza, ma ne parla, come in una trasmissione di lavoro, nL’arrabbiato, può sembrare anche a sua volta non essere in sintonia con il messaggio, ma magari è persona provata, ancora da esperienza. Che gli ha cambiato la vita! Non può ancora sorridere, come quando per esempio, si domanda circa il perdonare, di cui con tanta facilità come un dare e avere, può invece essere processo lungo, richiederemolto tempo a realizzare, perché è anche opera di Dio non dalla sola propria volontà, si scopre Chi piange non è da commiserare, il fatto non è per un credere influenzato da emozioni, più convincente la silenziosa la comprensione dal cuore

  2. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Qui si tocca uno dei fondamenti
    Da una parte dobbiamo dare “ragione” della ns Fede.
    Cioè di in coda crediamo r perché ( = ragione).
    Ma, se ben ricordo, a CHI CE LO CHIEDE.
    NON ex abrupto.
    Altrimenti succede che la problematica di un handicap è condivisibile/accettata…
    Mentre la sua Fede no.
    Perché?
    Insisto: ognuno di noi ha precisi limiti, spesso pre-concettuali, alla sua capacità di relazionarsi alla DIVERSITÀ.
    I sigg. Clerici si illudono ancora di poter calare l’Annuncio dal loro “alto”, invece oggi senza ricerca/desiderio/interesse/bisogno
    Dio non abita/porta chiusa/ma chi ti cerca??/pussa via!
    Il tutto è aggravato dalla incapacità dei giovani aessere aperti a relazione col DIVERSO.

  3. Paola Meneghello ha detto:

    Credo dipenda dal fatto che parlare di fede in un Dio, senza una discussione sul fenomeno umano, ormai risulti poco credibile e quindi non capibile o accettabile.
    Cosa rende veramente “umani ” e cosa riempie di senso la vita? La salute, il benessere, mi rendono “piena” la vita, anche se non mi sento amato, o se non sono in grado di dare amore, o di riceverlo, perché mi chiudo, e non tendo la mano?
    Cos’ è, che identifica un essere umano?
    Cos’è quella particolare sensibilità, quel bisogno di piangere, o di ridere, che ci rende fragili e al contempo così unici, come nessuna intelligenza artificiale?
    Non si tratta di dichiarare di credere in Dio, ma forse di dare voce a quella parte meno visibile di noi stessi, e dire che siamo mente e cuore, e non esiste una senza l’altra; a proposito di linguaggio, forse si potrebbe chiamare visione spirituale della vita..ma ..lo Spirito da dove arriva? ..
    Se non ci sono le domande, come possono esserci le risposte?

  4. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Per chi non ha la fede o poca, o suppone di averne ma al momento della prova, il figlio disabile, il rifiuto di una nascita etc…..ci sono esempi come lo sportivo che rimane privo di arti, quel bambino che capace di essere felice privo di arti, reduce da fatti bellici, o lo scienziato tra i più autorevoli fisici teorici del mondo Stephen william Hawking, affetto da malattia invalidante tutta la persona la cui mente ha sondato l’universo!.Ecco degli esempi che anche a dei giovani increduli merita far ammirare la grandezza di ciò che è l’Uomo, creato da un Dio che tanto grande per questo appare, non solo ma se vuole, se vive secondo la sua legge, non imposta, può aspirare a godere di se stesso per l’eternita. Non credo che senza l’esperienza come essere madri e padri, altrimenti un giovane possa comprendere quel l’amore che fa accettare, vivere, amare, scoprire quanto di bene vi può essere in una persona disabile perché Dio stesso gli offre doni così in chi lo aiuta,la fede

  5. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Ricordo tanti anni fa. Milano. Dalle parti di Garibaldi.
    Un “essere” che si muoveva su un carrellino 30×40 cm con aggiunte 4 rotelle “artigianali”.
    L’essere uomo senza parte inferiore.
    Arrivato al marciapiede rotolava fuori dal carrellino che prendeva con le mani, lo spostava da sopra il marciapiede a sotto, poi ci rotolava sopra e andava.
    Puoi “reagire” con un un rifiuto ad un essere simile?
    Forse ignorarlo, cancellarlo ma ma non condannarlo, devi impietosirti.

    Mentre scrivevo mi è balenato un’altro pensiero che ti partecipo…
    Forse la causa sta nell’aver ridotto Dio ad un concetto? Averlo scorticato della sua umanità??

  6. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Io bastian contrario.
    E se la reazione evidenziasse l’incapacità alla relazio r, ad accettare qualcosa di diverso??
    Sei d’accordo che oggi saper accettare la DIVERSITÀ è out of std??
    Ciso

    • gilberto borghi ha detto:

      A me non sembra che sia la diversità in sé a produrre problema, ma quella specifica diversità che si connette alla relazione con Dio. Anche l’assegnazione di un significato bello e alto ad una vita segnata da un handicap grave è “out of”, ma questa viene accettata.

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