Per quel tuo oboe

La musica arriva prima di ogni parola o gesto, sbriciola muri e avvicina mondi lontanissimi, culture e fedi altrimenti distanti.
27 Luglio 2020

Sempre appoggiato sul ripiano più basso della libreria di papà, era un misterioso pezzo di qualche strumento musicale sconosciuto a noi bambini.

Il suo legno lucido e nero aveva strani pezzi in acciaio. Noi lo chiamavamo il mezzo-flauto e, giocandoci, inutilmente provavamo a farlo suonare. Evidentemente ne mancava una parte fondamentale.

Non so a chi fosse appartenuto, neanche papà con la sua infallibile memoria ci ha mai dato spiegazioni particolari.

Poi quel film, quella scena incredibile in mezzo alla foresta, e … quella musica.

Rimasi ipnotizzata, non solo perché finalmente riuscii a dare un nome a quel pezzo di legno nero di casa mia, ma per la straordinaria forza comunicativa che da esso ne usciva.

Era un oboe.

Il film, ovviamente era “The Mission”.

Jeremy Irons, nei panni del giovane gesuita Padre Gabriel, immerso ed impaurito nella foresta pluviale sudamericana, srotola il suo oboe da una logora custodia, e timidamente lo inizia a suonare. A poco a poco, dal fitto fogliame iniziano ad uscire uomini indios, una tribù ancora allo stato selvaggio. Armati di lance, circondano il missionario, sbigottiti e incuriositi da quel suono. Lo guardano sospettosi.

Ma ecco che uno di loro strappa violentemente di mano l’oboe al gesuita, lo spezza gettandolo nel fiume con la rabbia e la diffidenza di chi non riesce ad aprire il cuore, o ne ha semplicemente paura. Padre Gabriel non reagisce. La tribù tutta intorno lo osserva, ne scruta la provocazione. Dopo un po’ di esitazione, un indio però si fa avanti, recupera lo strumento, lo ricompone e silenziosamente lo restituisce allo straniero.

Padre Gabriel ricomincia a suonare, quella musica plasma, unisce, crea l’incontro.

La diffidenza si fa indietro. La potenza della musica avvicina mondi lontanissimi, culture e fedi così distanti. La musica arriva prima di ogni parola o gesto, sbriciola muri e parla sempre di libertà.

Questo, Ennio Morricone lo sapeva bene, lo ha vissuto nella sua persona sempre schiva ed umile. La sua musica ci ha parlato di lui, della sua raffinata creatività, del suo incredibile talento.

Quel brano suonato al centro della foresta, così toccante e commovente, carico di inquietudine e pace allo stesso tempo, è come se lievemente parlasse insieme allo scrosciare della cascata e al canto degli uccelli tropicali. E’ come se sussurrasse l’esistenza di Dio, per fartela sentire, entrare dentro nel profondo, farne un tutt’uno col creato. E’ una polifonia di musica etnica e liturgica, una melodia che diventa poesia musicale.

È davvero melodia mistica.

“Gabriel’s Oboe” è un suo capolavoro, e credo che abbia accompagnato momenti significativi e profondi di molti gesuiti.

Oggi io ringrazio il maestro Morricone, per ogni volta che con questo breve brano mi ha emozionato, scosso e coinvolto, per avermi appassionata e spesso aiutata anche a pregare.

Quel pezzo di oboe nella libreria di papà, forse spezzato dalla rabbia di qualcuno, oggi per me ha un valore diverso: vera gratitudine.

Una risposta a “Per quel tuo oboe”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Non Si comprende perché la musica non venga suonata più spesso durante la messa,salvo in Basilica/Duomo,.Si vedono le canne alte dell’organo dalle quali raramente escono suoni, cimelio storico,sostituite da chitarre che senza melodia.non sanno di preghiera. Eppure Il desiderio porta ad affidare alle note la preghiera del cuore, a onorare e ringraziare quel Dio che tanto si è fatto vicino , dando vita alla nostra. La musica apre il cuore, sulle sue note si affida tutto Quello che è nel nostro animo, melodia che si fa parola chiede grazie,perdono,aiuto, a un Dio che sa ,la conosce, perché ha provato e ci vuol bene. La musica ha il potere di riempire la navata, che Improvvisamente si fa piena delle generazioni che ci hanno preceduto, che sono vive,Una musica, un canto fa questo miracolo, Dio presente,la chiesa diventa piena di Lui, divinità che ci accoglie, ci conosce, che ci offre quella acqua della quale non provare sete,che ristora la vita.

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