Non è il cammino a consumare i piedi

Forse è il dolore che consuma i nostri piedi. Quello che ognuno di noi si porta dentro, suo o di chi l'ha incontrato, che lentamente è attraversato e consumato.
26 Agosto 2011

Poco prima di Leon, mi fermo davanti ad una scritta su una porta. “Non è il cammino che consuma i tuoi piedi. Tu sai cos’è! Guardalo e attraversalo, così la tua anima sarà in cammino”. Non lo capisco, lo rileggo e mi lascia perplesso. E dalla memoria, per capire, mi salgono i passi dei piedi di chi pellegrina con me verso Santiago de Compostela.

C’è Giorgio, diacono permanente. Ha fatto servizio a Scampia a fianco di don Aniello. Occhi chiari, intensi e svegli, essenziale e diretto: “Come fai ad andare a messa e fare la comunione insieme ad una famiglia in cui il padre violenta la figlia da 9 anni. Lei te lo ha detto confidenzialmente perché non ne può più, ma non vuole assolutamente che si sappia, e tu sai che non puoi fare gran ché per ora, se non continuare ad ascoltarla”. “Come fai a fare un incontro di vicariato con tre parroci, di cui sai che uno è colluso con la camorra e “protegge” due pluriomicidi. Eppure in questa Chiesa continuo a camminarci”.

C’è Jerome, 40enne docente delle scuole “medie” a Washington. Il primo giorno l’ho visto “provarci” con una ragazza 20enne, anche lei americana. Ma dopo qualche ora di cammino insieme, lei gli ha dato “picche”. Allora ha mirato ad una 26enne lussemburghese, dolce e un po’ ingenua, centrando il bersaglio. Per una settimana  hanno condiviso non solo i piedi. Poi un bel giorno, lui mi ha sorpassato da solo e al rifugio, la sera, l’ho trovato con una olandese di mezza età, Elodiè, molto appariscente, mentre cercava di aggiungere una nuova preda al suo “carnè”.

Ma Elodiè l’ha capito presto e lo ha spedito altrove. Ha esperienza della vita lei. Ha lavorato due anni come volontaria per una ONG nei sobborghi di quel che resta di Mogadiscio, in Somalia. “Adesso ho bisogno di tirare un po’ il fiato. Non è facile tornare ad una vita normale dopo che ti sono morti tre bambini sui tuoi piedi di sete e di stenti. E tu sei lì impotente. Non puoi fare altro che fermare i tuoi piedi lì e abbracciarli. Ma sai che è troppo poco”. “Ma davvero pensiamo di essere noi i normali? Noi che spendiamo 15 mila euro per una macchina nuova solo perché ha un airbag in più? Con 15 mila euro si farebbe mangiare per un anno un villaggio intero!”

C’è Juan, 72 anni, da Portorico. E’ la quarta volta che fa il cammino negli ultimi 6 anni, E’ sempre arrivato in fondo. I suoi piedi lo dicono chiaramente. “Io e mia moglie eravamo venuti in spagna 27 anni fa e ci eravamo innamorati del cammino. E spesso progettavamo di venire a farlo, ma non è mai stato possibile. Poi le è morta 12 anni fa e mi ha lasciato solo. E così fare il cammino per me è un po’ come realizzare il nostro sogno e sentirla un po’ presente anche lei, di fianco a me”.  A Burgos ha scelto di non dormire nell’ostello con noi, ma nell’albergo dove era stato con lei 27 anni prima…

Ci sono Sonia e David, dal Maine (USA). Lei docente di spagnolo, lui direttore di un coro polifonico, si è esibito anche davanti a Obama, e lo dice con un sorriso ironico malcelato. Una figlia sposata, che li farà nonni fra poco. Una casa grande. Un vita tranquilla e felice. E per Sonia anche una fede cattolica chiara e solida: “So che mi sia stato dato molto nella vita e non so invece quanto io ho restituito. Sento che vorrei fare di più. Vorrei alzarmi in piedi un giorno e camminare con chi ne ha bisogno. C’è così tanto dolore!”

Ecco, questa parola, mi illumina. Forse è il dolore che consuma i nostri piedi. Quello che ognuno di noi si porta dentro, suo o di chi l’ha incontrato, che lentamente è attraversato e consumato. Mentre i nostri piedi fanno un passo dopo l’altro, la testa si svuota della vita abituale e si riempie di silenzio, di grano, di verde, di vento e di cielo, il cuore lavora e cerca di sistemare i pezzi di dolore che la vita ci ha consegnato, perché l’anima torni a dare forza e direzione autentica ai nostri piedi.

 

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