Le pietre parlano. Il linguaggio non verbale dell’ambiente

Se gli ambienti sono lo specchio dell'anima, forse c'è un problema se nelle chiese spesso parliamo di speranza e di vita mentre abitiamo in dei brutti cimiteri.
15 Febbraio 2023

È ormai risaputo che il linguaggio non verbale riveste la parte più consistente della comunicazione e che solo una piccola percentuale è affidata alle parole. Secondo gli studiosi infatti la comunicazione non verbale, e in particolare quella legata al corpo e alla mimica facciale, ha un’influenza del 55%, mentre la comunicazione paraverbale, ossia il tono e il ritmo della voce, influisce per il 38%. Solo alla fine troviamo le parole, il contenuto verbale che – stando almeno agli studiosi – conta solo per il 7%. Dobbiamo quindi concludere che parliamo in mille modi, con il modo di vestire, con la scelta della macchina da comprare, con gli sguardi, con i silenzi e con i sorrisi. Tutto il nostro corpo e i nostri ambienti sono un linguaggio.

Se applichiamo queste considerazioni al nostro mondo ecclesiale ci rendiamo subito conto della discrepanza tra parole e realtà evocate soprattutto quando andiamo a scomodare categorie evangeliche quali l’amore e la prossimità. Per evitare di fare solo elucubrazioni generiche, basta considerare gli ambienti che utilizziamo per fare accoglienza o per organizzare una semplice riunione parrocchiale con i giovani. Ambienti per lo più asettici, spogli e anonimi che rimandano più alla sala d’attesa di una stazione ferroviaria piuttosto che una casa accogliente; o ambienti deposito e impolverati, dove puoi trovare i pastorelli del presepe accanto alle quinte della recita di fine Grest e magari l’incontro di formazione verte poi sull’ordine morale o sulla maturità delle scelte!

L’ambiente influisce moltissimo sulla comunicazione, può fungere da cassa di risonanza così come da cassa funebre. È interessante notare lo stile di Gesù per annunciare il Vangelo e i luoghi scelti da lui per raccontare le parabole o per annunciare il perdono o per istituire l’Eucarestia. Ambienti e situazioni sono sempre messi in correlazione e vengono evocate dal Signore come pretesto per l’annuncio della buona novella. Il Vangelo non è ideologia, è Parola fatta carne che viene ad abitare in un tempo e in una storia ben concreta. Il procedimento inverso, ossia la dis-incarnazione del messaggio, la concettualizzazione e la fredda analisi sono solo elementi che servono ad un certo sistema di pensiero.

Si tratta semplicemente di dare anima ai luoghi che abitiamo e di parlare a partire dagli ambienti che viviamo; il problema è se i nostri luoghi sono abitati realmente dalla totalità delle nostre persone o soltanto dai nostri corpi, mentre il nostro cuore sarebbe altrove o ancor peggio anestetizzato. Gli estremi sarebbero il troppo formalismo così come la sciatteria.

Per parlare di accoglienza dovremo creare ambienti accoglienti – anche quelli fisici fatte di mura, mobili e libri- e per parlare di amore dovremmo attivare ambienti relazionali che sappiano di umanità e di vita iniziando dall’offrire un caffè o un bicchiere d’acqua alle persone che ci vengono a trovare o che invitiamo per una riunione, evitando di invitarli a servirsi autonomamente al distributore automatico di alimenti e bevande con tanto di prezzo imposto (sicuramente scontato per carità)! Nessuno di noi si sognerebbe di invitare il proprio ospite a servirsi al bar più vicino per avere un bicchiere d’acqua, eppure molte nostre riunioni regionali e nazionali iniziano così! Per poi riflettere magari, nelle varie relazioni, sull’umanizzazione dei rapporti o sulla crisi di umanità.

Trovandomi a visitare molte case religiose, in occasione di predicazioni o corsi di aggiornamento vari, si capisce subito la crisi di speranza che abita molte comunità; lo si capisce dagli ambienti senza vita e senza cura, dai poster anni 90 con i vari slogan vocazionali dell’epoca appesi lungo i corridoi, scoloriti e con i vetri impolverati. Si capisce dalle pubblicazioni incellofanate e mai aperte. Non si tratta solo dell’età media molto alta e neanche di assoldare un interior designer che arredi meglio la struttura, si tratta invece di guardarci intorno con attenzione e renderci conto che parliamo di speranza e di vita abitando cimiteri. Come potrebbe un giovane essere attirato da un ambiente simile? Se, come dicevano i vecchi padri spirituali, la stanza è lo specchio dell’anima, ebbene allora le anime di buona parte dei nostri ambienti ecclesiali, sono messi davvero male!

Entrando nella Missione Speranza e Carità di fratel Biagio Conte, recentemente scomparso e in fama di santità, si capiva subito che l’accoglienza praticata in quel posto era reale. Si capiva dai filari di biancheria appesa tra i vari porticati della Casa e dall’odore di pane appena sfornato che quotidianamente viene impastato e cotto dagli stessi ospiti. Il ricordo invernale che ho di mia nonna è quello delle scorze di mandarini abbrustolite sopra la stufa a legna rovente che riscaldava profumando tutte le stanze. “Nonna ma perché lo fai?” – chiedevo incuriosito a mia nonna – “perché così a chi entra sembra che mangi i mandarini del giardino. È come mangiare ma attraverso il profumo”. Queste erano le sagge parole della mia anziana nonna che a stento sapeva leggere e scrivere e che però aveva la delicatezza di accoglierci a casa sua con il profumo dell’olio essenziale del mandarino. Una lezione di umanità per noi che sappiamo scrivere libri e che ci pensiamo formatori: non basta aprire le porte, non basta neanche dare solo da mangiare, occorre accogliere con la delicatezza e la fragranza del profumo!

4 risposte a “Le pietre parlano. Il linguaggio non verbale dell’ambiente”

  1. Roberto Beretta ha detto:

    Verissimo, don Luca. Ed estenderei la riflessione anche alle chiese

  2. Riccardo Spina ha detto:

    Caro Don Luca, un articolo che sa di vero, di una verità troppo spesso alienata e non considerata.
    Oggi il mondo si nutre di apparanze senza sostanza, si riempie il tempo di abitudini frenetiche, però, vuote di senso e felicità…
    Per dirlo con il linguaggio del Papa, siamo pecore che non odorano di gregge, ma soltanto preferiamo profumarci di vanità, come ricorda il Qoelet…
    Abbiamo tanto da imparare e riscoprire da quella che era l’umiltà incarnata dei nostri nonni, i veri “dotti” della vita! 🙋‍♂️ Un grande abbraccio!

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Tutte le Parabole hanno l’habitat naturale, alle persone che si radunavano intorno Lui, nel loro stato di bisogno, ciò che avevano in cuore di chiedere Gesù si faceva Salvatore. Parlare al cuore, questo era il modo diretto che Gesù aveva, dove si trovavano se in Sinagoga, in casa, nel luogo di lavoro, per strada. Il successo di una vita sita anche di un Papa che si sposta e’ dato anche da questo avvicinarsi, anche se confusi tra la folla lo vedono si e no passare ma sanno. Che è lì per loro. Incarna la Parola che odono e questa è semente di speranza. Oggi malgrado strumenti di com.ne inventati, questo della presenza personale rimane ancora l’unico più’, veritiero, il dare in prima persona con sincerità di cuore. Il dare, offrire,porgere, anche a un nemico è incontro, segno di amore.

  4. Pietro Buttiglione ha detto:

    A supporto:
    Dopo l’ultimo trasloco mi trovo in una Chiesa con sparuti e anziani fedeli.
    Fa freddo ed il buon do. Cesare propone di spostarsi nella cappellina attigua.
    Rivolta di quelle beghine che hanno “in mano”la Parrocchia.
    Comunitâ?
    Ma forse questi parrocchiani nn farebbero comunitâ neanche gomito a gomito…🙃
    Chi diceva gg fà’ che certe cose vengono DA DENTRO?

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