L’Avvento, tra cielo e fango

Una tentazione del tempo di Avvento è quella di dimenticarsi, nell'attesa di Dio e del Suo Figlio, della “dura realtà”...
15 Dicembre 2022

La pandemia, che sembra sbiadire sullo sfondo o forse ce ne stiamo solo disinteressando; la guerra, che ancora prosegue ma noi ugualmente abbiamo preferito guardare altrove, per concentrarci su quello che “davvero” ci interessa (come ad esempio le bollette); la crisi climatica, forse da sempre ignorata e oggi ormai divenuta una vuota eco; la (sempre) poco rosea situazione politica, tra chiusure, indifferenza ed egoismi…

Sono tanti gli aspetti che ci inviterebbero a distogliere lo sguardo dalla nostra realtà, dal nostro mondo, per rinchiuderci in un altro-mondo (un meta-verso?) dove le cose forse possono andare meglio e vivere sembra più facile.

Spesso è questa la tentazione del tempo di Avvento e a seguire del tempo Natale: viviamo in un clima di attesa, guardando a colui che è la promessa di un mondo nuovo, diverso, migliore, in un tempo in cui è piacevole dimenticarsi della “dura realtà” per lasciarsi “cullare” dalle melodie, dalle luci e dal romanticismo del clima che ci circonda. Rischiamo così di dimenticarci che proprio quel bambino, in realtà, ha assunto tutta la nostra realtà, così come essa è, e dovrà attraversarla fino in fondo.

È allora utile, talvolta, trovare delle parole che ci facciano guardare questo mondo in maniera diversa, che sappiano aprirci nuovi orizzonti, perché se come dice la Genesi siamo fatti di terra, di fango, in noi c’è anche un alito di vita, di cielo. Noi saremo sempre una fusione di «cielo» e «fango».

Queste brevi allusioni penso siano sufficienti per capire come le parole che stiamo cercando per guardare con occhi diversi al nostro mondo, pensiamo di poterle trovare – certo tra le tante che potremmo ascoltare – nella canzone Fango di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, uscita nell’album del 2008 Safari.

 

Un testo che ci fa respirare, che ci solleva al di sopra di questo mondo, come quando da bambini venivamo sollevati da nostro padre: «era bello il panorama visto dall’alto». È vero, da lì tutto si poteva afferrare, tutto era chiaro, forse perché in realtà ci sentivamo affidati a qualcuno che quel mondo sapeva rendercelo affidabile, buono e comprensibile. Adesso invece, che non siamo più bambini e forse dovremmo essere noi a sollevare qualcun altro, «la città è un film straniero senza sottotitoli», in pratica incomprensibile. Un’accozzaglia di parole, «una pentola che cuoce pezzi di dialoghi», talvolta formali altre volte banali, ma sempre privi di quel senso, di quel sapore, che pure vorremmo trovarvi. Un linguaggio che non riusciamo più a decifrare, una strada che non riusciamo più a percorrere, perché il rischio di scivolare («il ghiaccio sulle cose») o di imbattersi in qualche pericolo (come dice la tele) c’è sempre. Un mondo che non ci accoglie, che all’apparenza ci ha messi al centro, dove «tutto è intorno a te, ma ti guardi intorno e invece non c’è niente».

Non sembrano così consolatorie queste parole, dopo tutto. Questo però è solo il fango, la terra, che è pur sempre metà della realtà. L’altra faccia è quel bambino che non siamo più ma che è ancora dentro di noi, e con lui il suo sguardo disincantato sul mondo. L’altra faccia sono tutte quelle cose che ancora sappiamo sentire, combattendo il vero pericolo: «quello di non riuscire più a sentire niente». L’altra faccia è la «passione», «l’appetito», la «sete», insomma il desiderio di vivere, di innamorarsi, perché è solo l’amore (la passione per eccellenza) che può davvero tenere insieme il fango che costituisce il nostro mondo. L’altra faccia è il «cielo», è il nostro vivere che non può essere ridotto a sopravvivere, è lo spirito che ci spinge, nel con-tatto con gli altri, a liberare nuova energia, che mette in moto il nostro cuore, il cuore della nostra vita, per «smettere di lamentarsi» e ricominciare a sentire.

È questa la bellezza del nostro mondo, sono questi i paradossi che sempre segnano la nostra esistenza e che ogni giorno siamo chiamati ad affrontare. L’evidenza nascosta della nostra parte di cielo, però, è chiara: «Io lo so che non sono solo». È questo il senso cristiano dell’esistere ed è questa la vera fede dell’Avvento o, per meglio dire, nell’Avvento, in colui che deve venire. Perché Gesù non viene per sollevarci dal vivere ma per vivere con noi e farci vivere; non viene per rapirci in cielo, ma per fondere anch’egli il suo cielo con il suo fango, nascendo sotto il medesimo «cielo di stelle e di satelliti».

Egli però non è solo colui che, come tutti, è già venuto, ma è colui che ancora dovrà venire, che noi ancora aspettiamo. Per questo sappiamo di non essere soli, perché c’è qualcuno che non solo ci ha già accompagnato ma che di nuovo dovrà anche tornare. Qualcuno che non è soltanto nel nostro passato ma ancor di più è il nostro futuro; un orizzonte che sempre ci sta dinanzi e accoglie ogni nostra giornata.

Egli è lì, ci parla e ci chiede di guardare, alla luce e al calore del suo Natale, in modo diverso anche alla nostra realtà, perché per quanto fangosa possa essere, essa è sempre fusa con il cielo, con il suo cielo.

Cosa ci resta da fare, allora? Riconoscere e fare nostra, in prima persona, la dinamica della nostra vita, in cui io «rido e piango». «Le gioie e i dolori», diceva Gaudium et spes, senza nascondersi né l’uno né l’altro, senza nascondere l’uno dietro l’altro, ma tutto custodito nell’unico abbraccio di colui che è venuto, che ancora dovrà venire e che anche oggi sempre ci accompagna, come Figlio, nello Spirito, donato dal Padre.

 

Una risposta a “L’Avvento, tra cielo e fango”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Avvento tempo di attesa del Natale. Che stranamente, non si fa cenno, di Chi si è in attesa, , quasi si formula l’augurio di Buon Natale attenti a chi lo stiamo indirizzando che sia persona conosciuta altrimenti meglio optare per Buone feste. . Natale sembra oggi festa del dono, identificato in un Babbo Natale, che esaudisce desideri Festa del dono dato e ricevuto. . Il “dono” che con il Natale di Cristo vuol dire avere nel cuore sentimenti, desiderio buone azioni, avere occhi che vedono la ricchezza le povertà che sono nel cuore umano, avere attenzione El la vita di tutti i giorni delle persone che ci stanno accanto oltre e persone care. con le quali camminiamo insieme. Natale allora ci interroga se la nostra fede ci rende capaci di essere come quel Bambino nato per noi vorrebbe grati di essere Lui il dono grande per noi, e per questo capaci di essere a nostra volta dono per gli altri

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