L’Assunzione di Maria nella Divina Commedia

Già 700 anni fa Dante ha incastonato nel suo Poema il dogma dell'Assunzione, facendosi parte di quella schiera di fedeli che ha voluto proclamare questa fede concorde
15 Agosto 2017

Il dogma dell’Assunzione di Maria fu solennemente proclamato da Pio XII nel 1950. Nella costituzione dogmatica Munificentissimus Deus il papa scriveva di un «plebiscito unanime» tra i credenti, quello che dalla Chiesa viene definito sensus fidei, un istinto per la verità del Vangelo che permette ai fedeli di riconoscere la dottrina. La fede nell’Assunzione di Maria è stata di fatto da sempre «insita profondamente nell’animo dei fedeli», con varie testimonianze fin dall’antichità: basta entrare in una qualsiasi chiesa o basilica per ammirare dipinti, mosaici, affreschi, statue risalenti ai secoli passati, che raccontano al fedele dell’Assunzione della Vergine, attestando questa verità di fede ben prima che essa venisse esplicita dal magistero della Chiesa.

Pittura, scultura, architettura: i cristiani di ogni tempo hanno con vari modi e con diverse arti parlato di Maria Assunta in Cielo. E la letteratura? Anche la poesia ha concorso al progressivo riconoscimento di questo elemento del deposito della fede?

Un esempio è Dante:

«Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
di vedere eclissar lo sole un poco,
che, per veder, non vedente diventa;
tal mi fec’ ïo a quell’ultimo foco
mentre che detto fu: «Perché t’abbagli
per veder cosa che qui non ha loco?
In terra è terra il mio corpo, e saragli
tanto con li altri, che ‘l numero nostro
con l’etterno proposito s’agguagli.
Con le due stole nel beato chiostro
son le due luci sole che saliro;
e questo apporterai nel mondo vostro» (Pd XXV 118-129)

Alla fine del canto XXV del Paradiso il Poeta si trova di fronte all’Apostolo Giovanni e tenta di guardare attraverso la sua luce, come chi guarda il sole durante un’eclissi («colui ch’adocchia e s’argomenta / di vedere eclissar lo sole un poco», vv. 118-119), ma non riesce e, per vedere meglio, perde invece per un attimo la vista («per veder, non vedente diventa», v. 120): quello che il Poeta tenta di fare è scorgere il corpo del quarto Evangelista. Così facendo, Dante fa riferimento alla credenza del suo tempo secondo la quale San Giovanni sarebbe stato assunto in Cielo, leggenda basata sulla scorta di un versetto del suo stesso Vangelo: «Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto» (Gv 21,23).

Di fronte al tentativo di Dante, è il Santo stesso che chiede perché egli cerchi di vedere «cosa che qui non ha loco» (v. 123), affermando decisamente che il proprio corpo «in terra è terra» (v. 124) e rimarrà lì con tutti gli altri fino al Giorno del Giudizio. Per fugare ogni dubbio, San Giovanni spiega che nel Paradiso gli unici che hanno sia anima sia corpo, definiti qui «le due stole» (v. 127), sono solamente «le due luci» che pochi canti prima Dante aveva visto salire verso l’Empireo, cioè Cristo e Maria. Nel canto XXIII Dante aveva contemplato questo movimento prima del Figlio e poi della Madre, seppur senza riuscire chiaramente a vederlo fino in fondo:

«non ebber li occhi miei potenza
di seguitar la coronata fiamma
che si levò appresso sua semenza» (Pd XXIII 120)

Maria era ascesa verso l’Empireo dietro suo Figlio (“sua semenza“), in una stretta figurazione dell’Ascensione di Cristo e dell’Assunzione della Vergine.

Con la spiegazione di San Giovanni, quindi, Dante in pochi versi non solo respinge l’assunzione dell’evangelista, ma afferma espressamente quella di Maria, la sola che con Cristo è in Cielo con anima e corpo.

Interessante notare come all’interno della sua opera Dante dica ciò per bocca di San Giovanni: proprio lui, che a Maria fu affidato come figlio sotto la croce e che di lei si prese cura fino alla fine, può considerarsene il più attendibile testimone.

Già 700 anni fa Dante ha incastonato nel suo Poema il dogma dell’Assunzione, facendosi parte di quella schiera di fedeli che con la propria voce e la propria arte, chi con dipinti, chi con statue, chi con parole, ha voluto proclamare questa fede concorde e, come scrisse Pio XII, insita profondamente nel loro animo.

L’invito finale di San Giovanni a Dante, «e questo apporterai nel mondo vostro» (v. 129), sottolinea come questa verità, evidente, direbbe l’evangelista, nel “nostro” mondo, la Chiesa Celeste, e da sempre creduta dai cristiani, dovesse essere “apportata”, ossia annunciata al “vostro”, la Chiesa Terrena: che Maria, scriverà il papa nel 1950, «terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo», con “le due stole” dantesche.

 

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