La memoria del vento

Celebrare la giornata della Memoria con le parole e la musica di Francesco Guccini
27 Gennaio 2023

Auschwitz. Un nome che da più di mezzo secolo a questa parte suscita sentimenti contrastanti: terrore, angoscia, tristezza, scandalo, amarezza, incredulità, incomprensione, rabbia… Il nome di un luogo che diviene simbolo di un’esperienza, di un evento, di una storia, addirittura di un’umanità (o meglio dis-umanità). Un nome che finisce col segnare non solo uno spazio ma anche un tempo, inteso non solo come momento storico ben definito in un passato non troppo lontano, ma anche come un continuo e costante presente, un’ombra che ancora ci accompagna e ci chiede di essere ricordata, di farne memoria.

L’essere umano, però, purtroppo è fatto così. Se deve ricordarsi sempre di qualcosa, finisce per dimenticarsela, di darla per scontata. Avviene così con l’affetto di chi sempre ci vuole bene o con la cura dell’ambiente che sempre ci accoglie e (intanto) ci permette di vivere. Di queste cose, solitamente, ci rendiamo conto davvero solo quando non ci sono più… Ecco allora l’importanza di istituire un giorno della memoria: non per espletare una buona pratica di rispetto, patinata di formalità, verso una tragedia che, in fin dei conti, sta inesorabilmente perdendo tutti i suoi testimoni più diretti; piuttosto, l’obiettivo è far sì che tra tutti i colori che andranno a comporre l’arcobaleno di ogni nuovo anno, non possa mancare questa tinta più fosca, quasi disturbante ma (drammaticamente) unica nel suo genere. Una tinta che non dev’essere un peso che “ci portiamo dietro” dal passato, ma un segno che deve dare forma al nostro futuro. Auschwitz, una domanda che non potrà mai trovare risposta se non in un nuovo agire, in una nuova umanità.

È questo, mi sembra, il senso di un noto brano di Francesco Guccini, che in sé custodisce questa memoria ben prima che vi venisse dedicato un giorno: Auschwitz o La canzone del bambino nel vento.

 

Il testo, in sé semplice e quasi disarmante, è il confronto del cantautore con il dramma di Auschwitz, visto con gli occhi di un innocente, un bambino, che dal campo di concentramento passa attraverso uno dei tanti (terribili) camini e adesso continua ad essere trasportato dal vento. Questo bambino non è da solo; il suo non è un dramma personale o solitario. Ad Auschwitz, in mezzo alla neve e al fumo, questo bambino è in mezzo a «tante persone», va incontro alla morte «con altri cento», e adesso nel vento sono addirittura «a milioni». In mezzo a questa selva di persone, tuttavia, nessuno sembra essere il vero protagonista della canzone. Il bambino ci offre il suo sguardo, certo, ma come tutti gli altri non sembra essere un protagonista attivo di questo dramma: prima, ad Auschwitz, nessuno parla, c’è «un solo grande silenzio»; adesso, nel vento, non riescono nemmeno «a sorridere».

È un altro il soggetto, a sua volta presente ma silenzioso, colui che letteralmente risuona lungo tutto il brano, chiudendo ogni strofa della canzone: il vento. Un vento che porta coloro che sono passati dal camino, un vento che ancora non si placa, non trova posa. «Ancora tuona il cannone, ancora non è contento di sangue la belva umana». Per questo «ancora ci porta il vento». Il bambino, le cento, le milioni di persone… tutte loro non sono solo dei ricordi, non sono solo degli sguardi portati dal vento. Essi sono in polvere, ma sono milioni: milioni di persone, milioni di storie, milioni di testimoni, milioni di memorie che ancora oggi sono portate dal vento affinché noi non le dimentichiamo.

È qui, tuttavia, che possiamo sentire il messaggio fondamentale, il cuore pulsante di questa canzone. Perché la memoria della shoah, come di qualsiasi altro male, non è fine a se stessa. L’obiettivo non è ricordare il passato, ma dare forma al futuro. Questo vento non può continuare a portare il proprio carico di memoria, deve trovare posa, deve trovare pace, e potrà farlo solo quando l’uomo «potrà imparare a vivere senza ammazzare». Questo farà posare il vento, questo darà forma al futuro.

Non posso fare a meno di pensare, con uno sguardo biblico, a come il vento sia ciò che da sempre dà forma alla vita, a partire dal libro della Genesi quando lo spirito, il vento di Dio soffiava sulla acque, quello stesso Spirito che da Gesù è riversato sul mondo dalla croce. Che sia questo stesso Spirito, questo stesso vento (il termine in greco è uguale) che aspetta di posarsi, che aspetta di trovare posto, che aspetta di poter abitare sulla terra, sul cuore dell’uomo? Che sia questo stesso Spirito, questo stesso vento a custodire coloro che sono testimoni del passato, sono letteralmente martiri e ancora stanno aspettando che il mondo assuma una nuova forma? È un paragone azzardato, certo, ma che forse non tradisce né l’una né l’altra prospettiva, ma vi dà reciprocamente una nuova profondità, per provare a ri-dire e ri-cordare il senso e il valore di questa giornata.

Il giorno della memoria, allora, non sarà solo un ricordo ma sarà un progetto, non sarà un abisso da cui risorgere ma sarà un orizzonte da perseguire, perché non sarà il frutto insensato nascosto da una guerra, ma un germoglio, una radice per una pace davvero feconda.

 

Una risposta a “La memoria del vento”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Yad Vashem : basterebbe leggere uno di quei messaggi lasciati da coloro che hanno vissuto la in quei luoghi, grida inascoltate, dove è stata immolata la loro vita ma anche di altri esistenti, ! Non basta un giorno! a far commuovere, ma muovere intelligenza e cuore.di ogni tempo. Sono grida, rivolte ai posteri…a coloro che non sanno, a essere meditate in scuole, o in pagine di giornale, a far meditare e che niente più deve assomigliare a quella concepita depravazione umana. . Non so se è giusto chiedere ai ritornati” questa testimonianza di raccontare, come toccare una piaga ancora e sempre sanguinante. Leggere i loro libri,, ! E dopo aver saputo, come ancora osare pensare alla guerra come via alla Pace, vantare civilta rispetto al passato ? Fraternite’ ha da essere sentimento guida in ogni vertenza; una educazione al non ricadere con i propri simili in simile abissò di obbrobrio umano, in nome di nessuna ragione. “Mai più la guerra”…Giov.Paolo II..!

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