Gli intellettuali ricordano che Babbo Natale non esiste?

Nel caso della partecipazione di Papa Francesco a “Che tempo che fa” ci sono tre questioni che rappresentano i presupposti minimi su cui intavolare qualsiasi discussione critica al riguardo
9 Febbraio 2022

Mi ero ripromesso di non commentare le polemiche che hanno preceduto o sono seguite alla partecipazione di Papa Francesco a “Che tempo che fa”, neanche a fronte di reazioni un po’ mielose a cui sono notoriamente allergico. Poi ho letto su Micromega un articolo piuttosto critico di Marco Marzano. Alcune considerazioni sono anche condivisibili. Ma mi avvilisce constatare che, perfino tra gli intellettuali, ci sia un fraintendimento su cosa sia un giudizio critico, frettolosamente risolto come “parlarne male”. O, meno volgarmente, che ci sia un appiattimento della critica alla mera concezione kantiana, come di un processo trascendentale, valido in ogni luogo e in ogni lago. Etimologicamente, invece, il verbo ci rimanda alla faticosa attività di distinguere, cernere, vagliare.

La realtà, d’altronde, è un prodotto sociale, storico, culturale che influenza a sua volta i significati, i quali – a partire da questi universi in continuo cambiamento – si generano all’interno di un determinato contesto linguistico. Dimenticare questa complessità significa ignorare o perdersi quei pezzi, quelle interazioni, quelle relazioni che la costituiscono, riducendola esclusivamente al proprio punto di vista, in definitiva, a propria immagine e somiglianza. Criticare significa, allora, non rassegnarsi, persino resistere alla tentazione di ricondurre all’uno ciò che, invece, si dà e si dice come molteplice. Nel caso della partecipazione di Papa Francesco a “Che tempo che fa” segnalo tre questioni preliminari che l’articolo ignora e che invece rappresentano i presupposti minimi su cui intavolare qualsiasi dibattito critico: il contesto, Fabio Fazio, la questione ecclesiologica.

 

1. Il contesto

Papa Francesco non ha scritto un’enciclica, né tenuto un’omelia o un’udienza. È andato in TV. Non in una trasmissione religiosa, ma in un talk con velleità culturali, ma che non disdegna l’intrattenimento. È evidente che questa scelta era dettata dalla volontà di incontrare non il suo “pubblico” abituale (credenti, “addetti ai lavori”), ma di incrociare persone che, seppur lontane dal mondo religioso, possono essere avvicinate o sentirsi affini (quasi in comunione), perché sensibili a tematiche sociali che hanno costituito il cuore degli interventi di papa Francesco. Questo spiega due cose: in primo luogo, la scelta dei temi trattati che non erano di stretta attualità ecclesiale perché poco vicini al pubblico della trasmissione a cui il Papa ha scelto di rivolgersi. Se un credente, per esempio, vuole seguire il dibattito sul Sinodo tedesco o italiano o mondiale, non ha bisogno di vedere il Papa a “Che tempo che fa”. Egli dovrebbe avere altri riferimenti e, dirò, altre sedi per informarsi o confrontarsi. Questioni, poi, come il sacerdozio delle donne o il celibato sono ‘oscenamente’ assenti dalla quotidianità ecclesiale: davvero ci aspettava che fossero trattati da papa Francesco?

A latere, mi sembra incredibile dover ricordare che tutto quello che avviene, le domande, il tono, la modalità di interazione è concordato. È uno spettacolo con attori che, per quanti reali (o realistici) seguono un copione concordato. Si può discutere sulla questione generale se questo sia un modo corretto di fare informazione. È un discorso lungo che ci porterebbe molto lontano. Ma Papa Francesco è stato invitato a raccontarsi in un talk, non in un programma di approfondimento giornalistico. Come avviene sempre con personaggi di questo spessore mondiale, tutto è concordato. Non potrebbe essere altrimenti, perché altrimenti non sarebbe. Come siamo arrivati a dover ricordare che Babbo Natale non esiste a intellettuali o presunti tali?

La tipologia di pubblico a cui il Papa ha scelto di rivolgersi spiega anche le categorie con cui gli altri ospiti e lo stesso Fazio hanno cercato di inquadrare il Papa, equiparandolo a un eroe solitario che compie sforzi enormi. È una lettura superomistica molto di moda che certamente difetta di sensibilità ecclesiale e spirituale, ma vogliamo imputare a papa Francesco l’ignoranza ecclesiologica dei propri interlocutori? E che dovremmo dire allora di quella dei credenti? Ci ritorneremo. È evidente che in mancanza di riferimenti spirituali o ecclesiali, Fabio Fazio e gli altri abbiano cercato di inquadrare in categorie umane (troppo umane?) la figura di un Papa che ha fatto del tratto umano una sua caratteristica precipua. C’è stata certamente un po’ di agiografica deferenza, ma nelle risposte Papa Francesco ha molto ridimensionato l’aspetto eroico, non solo sottolineando la ben più grave fatica e sofferenza dell’uomo comune e specialmente dei poveri, ma anche dicendo che lui non è solo. Il suo ministero si realizza perché ha molti collaboratori, ma anche e soprattutto perché ci sono gli amici.

 

2. Fabio Fazio

Sin da subito mi è sembrato che il problema non fosse che Papa Francesco andasse in TV, ma che andasse da Fabio Fazio. Ora: non mi interessa fare l’apologia di Fabio Fazio, ma certe cose non le capisco. Avendo scelto di andare in TV, dove sarebbe dovuto andare? Da Barbara d’Urso? Nello stesso istante in cui Fabio Fazio intervistava il Papa, su La7 Giletti celebrava la solita ‘cagnara’ con i suoi ospiti. Che piaccia o meno, la televisione di Fabio Fazio si è guadagnata un’autorevolezza legata a uno stile sobrio di dibattito in cui, per una volta, è possibile parlare di attualità prendendola dall’alto (dai prodotti culturali, per esempio), ma soprattutto è finalmente possibile ascoltare anche una risposta articolata, senza isterismi o urla di personaggi di contorno. Sarà hybris, sarà effetto Dunning-Kruger, ma il fatto che si pretenda di dare lezioni a un professionista che, piaccia o meno, ha intervistato i più importanti personaggi e leader mondiali (non ultimo, Obama) è l’emblema comico, se non fosse drammatico, dell’incontinenza verbale dei nostri tempi.

 

3. La questione ecclesiologica

Lo dico sbrigativamente: il concilio Vaticano II ha aperto una nuova era ecclesiologica, all’insegna della comunione tra tutti i suoi membri, laici e sacerdoti, uniti nell’unico popolo di Dio in cammino. Ne viene fuori una chiesa non più schiacciata sulla sua rappresentazione e rappresentanza gerarchica e clericale. Questo dato tradizionale (sancito da un Concilio) però sta ancora faticando a emergere nella quotidianità ecclesiale. Si riverbera, per esempio, nella fatica e nella qualità del lavoro teologico in cui quanti tentano di “braccare il Dio in fuga” sono a loro volta braccati; o, più prosaicamente, nelle risibili percentuali di laici responsabili degli uffici e di quella, ancora più vergognosa, di donne.

Questa lentezza ha prodotto un doppio paradosso: da un lato, anche se improvvisamente si accelerasse e si compisse del tutto quel cammino di ricezione del Vaticano II, oggi la Chiesa si troverebbe comunque in ritardo su tantissime altre questioni che i nuovi contesti sociali, politici e culturali hanno fatto emergere. Dall’altro lato, che la mancata realizzazione di una chiesa di comunione ha finito per accentuare l’importanza della figura del Papa. Di fatto, nella percezione di credenti e – ancora di più – di non credenti, siamo tornati al Vaticano I. La popolarità di Papa Francesco, in tal senso, non sfugge a questo paradosso: mentre con il suo magistero e le sue scelte, sta faticosamente indicando la strada per una chiesa pellegrina, sinodale, in uscita, che sconfigga il clericalismo, egli diventa sempre più l’unica immagine di Chiesa percepita (e credibile).

Papa Francesco è, tuttavia, una voce della Chiesa, quella che accompagna ufficialmente il suo cammino. Una voce, non l’unica voce. Questo non vuol dire che la sua voce o il suo ministero annullino tutte quelle altre voci che, all’interno della Chiesa guardano, magari proprio con e a partire da Papa Francesco, oltre Papa Francesco e oltre la Chiesa stessa. Tuttavia, per la stima della forza generativa e di trasformazione di cui questo arcipelago ecclesiologico è portatore, mi sembra quantomeno paradossale pretendere che a farsene portavoce sia Papa Francesco. Piuttosto, è necessario che queste voci emergano e si ritaglino spazi di espressione, dibattito e autonomia.

 

7 risposte a “Gli intellettuali ricordano che Babbo Natale non esiste?”

  1. Daniele Gianolla ha detto:

    Analisi impeccabile, a mio avviso… Chapeau!
    L’intervista l’ho trovata, sì forse un po’ generica, ma gradevole (apprezzata anche da Mancuso, che non risparmia certo critiche). Considerato che si tratta di un capo di stato è ovvio che non poteva che andare così come è andata ma non mi pare che Francesco sia stato vago: ha fatto riferimento a questioni nodali in maniera lucida e di impatto. Interessante anche il riferimento ai bambini… nel contesto di scandali in cui la Chiesa è immersa, ho impressione che la frase sulla loro sofferenza fosse meno banale di quanto sembrasse.

  2. Marco Nicolini ha detto:

    Il fatto che il Papa sia andato proprio da Fazio per me va considerato: ha avuto il suo peso. Pare infatti evidente che (al di là di una valutazione sul merito: se cioè si è fatto bene o no) si sono voluti evitare argomenti divisivi non tanto per un qualsiasi interlocutore, quanto piuttosto per un determinato interlocutore laico. Lo si deduce non tanto dai “tagli” e rimontaggi dell’intervista, ora noti: nota giustamente Bortone che queste e altre sono le regole dei talk (era onesto dirlo quella sera però…). Penso invece al fatto che il Papa, oltre a raccontarsi (e a non dire di Sinodo, fatto ecclesiale) ha parlato di migranti e immigrazione, tema di attualità anche laico, e divisivo (ma sul quale si suppone una certa consonanza Papa – pubblico trasmissione). Ha invece evitato di parlare con preoccupazione dell’eutanasia / suicidio assistito (altri temi di attualità anche laica) salvo farlo oggi in Udienza generale. Ma appunto non da Fazio.

  3. Mauro Liguori ha detto:

    Sinceramente mi sarei aspettato di più dall’intervista, quasi un monologo da parte del Papa. Per questo tipo d’interviste c’è la Radio Vaticana. E’ stata più incisiva Radio Cope Spagna che ha osato di più. Se devo ascoltare le domande di Fabio Fazio e stare più di un’ora a sentire il Papa, a prescindere da certe riflessioni, l’intervista poteva ridursi a 20-25 minuti al massimo.

  4. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Mentre la leggevo e vedevo guance rosse dalle parti di minimax… mi veniva in mente un vecchio adagio:
    ” Chi di spada ferisce..”
    Questo è il vero portato della novità, quando è VERA.
    Spiazzare.
    Basterebbe che i vari attori del racconto si chiedessero:
    Ma io.. che ruolo sto recitando?!
    E lui? Forse il ruolo che io gli ho chiesto tante volte di impersonare?
    Da tutto questo apparirebbe chiaro chi sta combattendo x il suo potere, per la sua ideologia e chi invece sen’ va NUDO, come la Verità.

  5. Emanuela Sangaletti ha detto:

    La lucidità e la saggezza di questo contributo al buon pensare cristiano, portano aria pulita nella stanza viziata di questo nostro tempo complesso e confuso. Grazie davvero per essere tornato sulla sua decisione iniziale e aver scritto per noi.

  6. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Eterogenesi dei fini: mai come in questo momento storico la figura del papa e’ dominante, sembra assorbire in sé tutta la Chiesa, sembra di tornare al papa-monarca assoluto che come re Sole disse lo Stato sono io, potrebbe dire la Chiesa sono io.
    E a questo si e’ arrivato proprio volendo invece democratizzare la Chiesa, volendo avvicinare la figura papale agli uomini del nostro tempo. Con il risultato che per gli uomini del nostro tempo il Papa e’ diventato una rock star , per i fedeli cattolici invece la papolatria e’ quasi d’obbligo, e non si sopportano critiche neppure alle opinioni del papa non in materia di fede. Eterogenesi dei fini.

  7. Alessandro Manfridi ha detto:

    Grazie.
    Ottimo articolo.
    Direi che papa Francesco ci insegna anche ad affrontare le critiche gratuite, pretestuose ed impietose, come quelle che tanto spesso gli sono rivolte da chi gli è ostile, sia fuori che dentro il mondo ecclesiale, con quel sano umorismo di cui è dotato, del quale si è accennato nell’intervista televisiva.

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