Geografie dei testimoni /9: Ivry, la periferia feconda di Madeleine Delbrêl

Una delle figure più grandi del cristianesimo novecentesco ha vissuto, per scelta, nella periferia parigina, a servizio dei poveri e in dialogo con gli atei: una testimonianza oggi attualissima
17 Agosto 2024

Bisogna unire il centro elegante di Parigi — da poco tornato alla ribalta per le recenti Olimpiadi — con le sue molteplici periferie; collegare il cuore storico della città, i palazzi del potere e del turismo, con le sue non facili banlieue.
Bisogna prendere la metropolitana, tra i movimenti della vita che pulsa, e scendere a Ivry, pochi chilometri a sud. E a Ivry, camminando per le vie di quella che fu una cittadina industriale, tra palazzi e attività commerciali, fermarsi a Rue Raspail 9. Oltre un portone, ci attende un cortile, curato, con uno spazio verde, e un appartamento modesto che merita la nostra attenzione. Quello è il luogo dell’apostolato quotidiano, della vita semplice e ispirata, della testimonianza convinta e operosa di Madeleine Delbrêl (1904-1964), che a Ivry visse per trent’anni, fino alla fine dei suoi giorni, lì incarnando un modello di cristianesimo alto e umile, profetico e attualissimo: «Ogni tempo è chiamato a una santità che gli è propria. Si rovinerebbe il Regno di Dio se si sognasse per il XX secolo lo stesso tipo di santità del XIII. Il progresso umano è nel piano di Dio che non ha fatto per caso l’uomo intelligente, ingegnoso e sociale. […] Bisogna aiutare gli altri a essere autentici cristiani in mezzo alle macchine, alle auto e alla confusione universale» (lettera del 23 novembre 1932).

Essere lievito, servire l’umanità nel compimento del proprio lavoro e nel dono dei propri carismi, essere fedeli ai doni dello Spirito, portare il Cristo nelle periferie del mondo, amare il tempo che viviamo senza compiacersi in nostalgie sterili: sono alcune delle grandi intuizioni di Madeleine Delbrêl, che seppe valorizzare come poche altre figure il gusto del quotidiano, da attraversare con ironia, intelligenza, simpatia, nella convinzione della dignità unica del laicato.

Sono convinto che il cristianesimo del secolo XXI è molto debitore a due francesi: Charles de Foucauld e Madeleine Delbrêl. Un uomo e una donna che hanno ridato forza al messaggio evangelico, testimoniando la fede e la carità con carismi singolari per il futuro. E se vogliamo avvicinare la figura dell’assistente sociale, poetessa, mistica di Ivry, ogni giorno impegnata con compagni atei e marxisti per un progresso umano che rispondesse alla giustizia e all’equità, è proprio a Rue Raspail 11 che la sosta è d’obbligo. Tra le case, tra le vie, nei luoghi di lavoro, nei differenti stati di vita, vivere da fedeli del Vangelo: «il cristiano deve essere al centro dell’umanità. Il Cristo di cui vive non gli fornisce delle ali perché si libri verso il cielo, ma un peso che lo trascina verso il più profondo della terra» (Chiesa e missione, 1951).

Il vangelo chiede la denuncia dell’ingiustizia senza sconti— a Ivry erano i più ‘fedeli’ borghesi della parrocchia che spesso imponevano condizioni di lavoro inaccettabili —, ma anche l’annuncio del Regno di Dio che travalica il tempo, che vince il male costruendo il bene, già qui e ora, offrendo anche un senso allo scorrere dei giorni, aprendoli all’eternità. E per questo, con Madeleine, stimare chi ha diverse opinioni, cercare un dialogo sincero, non addomesticare la radicalità del Cristo trasformandola in piccoli valori borghesi: «A poco a poco la fede in Dio, fede vivente in Dio vivente, è stata confusa con il buon senso, con il buon senso di una credenza in Dio. A poco a poco le virtù del Vangelo sono diventate e poi confuse con le virtù dell’onest’uomo. Da qui il deperimento parziale di una vita di fede parzialmente praticata, non esercitata» (Ateismi ed evangelizzazione, 1962).
Stiamo a Ivry, in quel cortile di Rue Raspail, in quell’appartamento: ricordiamo che qui aveva sede un focolare di carità. E poi camminiamo per le vie della città, magari avendo negli occhi lo scintillio del centro parigino, per cogliere lo stacco (ieri più evidente di oggi) tra mondi contigui che però, per disuguaglianze politiche, sociali, economiche e pure per tradizioni culturali, diventano lontani, e capire che Gesù di Nazareth non rifiuta né chiede di rifiutare alcun ambiente. Madeleine Delbrêl lavorò con colleghi atei e comunisti, in anni in cui l’adesione al comunismo era passibile di scomunica, facendosi seme e ponte, sorella e testimone del Vangelo.
Donna e laica, in tempi di clericalismo pugnace: quante lezioni seppe anticipare!

C’è un testo, prezioso, che andrebbe meditato con regolarità, tanto è forte la sua portata: Ambiente ateo, circostanza favorevole alla nostra conversione: sono pagine del 1964, una sorta di testamento di Madeleine Delbrêl: «Noi stessi, Dio ci ha inventati in qualche luogo della storia del suo universo, sottomessi alle leggi della creazione. Queste leggi ci legano non soltanto al tempo, ma a un tempo che ci condiziona. Le fede che Dio ci dà nel 1964 è una fede per il 1964. Essa non ha lo scopo di far durare ciò che fa per questo o quel tempo e che è passato con lui. La fede è fatta perché l’amore eterno di Dio sia rivelato agli uomini attraverso tutti i tempi».
Quando dovessimo fermarci a Parigi, non dimentichiamo una sosta a Ivry: è stato (ed è) uno dei cuori pulsanti del cristianesimo contemporaneo, dove una piccola donna ha saputo ritradurre per l’oggi la Parola di Dio.

(© Amis de Madeleine Delbrêl- travaux photo J.Faujour)

Una risposta a “Geografie dei testimoni /9: Ivry, la periferia feconda di Madeleine Delbrêl”

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    Leggendo mi ę venuto in mente un certo Erri De Luca, che non si proclama certo teologo…
    Complimenti, vivi complimenti ad Avvenire e non solo xchê ospita Erri..
    Bravi!! Continuate cosî ( svecchiando la cosiddetta kultura kattolica..👍😆)

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