Festa dei morti?

La morte è veramente tra le cose peggiori che possano capitare? C'è per essa una qualche meditazione, preghiera o resta solo la rabbia?
2 Novembre 2022

Non credo di essere molto originale se dico che la morte è la cosa peggiore che possa capitare.

Qualche sera fa, dopo essere stato alla presentazione di un libro, sono andato in un bar dove c’era una festa. Bevuta una birra, sono montato in sella diretto verso casa. Giunto davanti casa, ho avuto necessità di farmi una passeggiata in campagna. Son finito in un campo. C’era un cielo pieno di stelle, un aereo andava verso Venezia, le Pleiadi erano bellissime.

Ho pensato a quanto ingiusto sia il morire: a qualsiasi età, per qualsiasi cosa.

Sei un corpo che si mostra, che gira, che parla, poi sparisci e, nella somma degli addendi, non fai così tanta differenza. Una vita spesa a cercare di darti un’identità, vestendo sempre in tuta o con camicie a maniche corte un po’ “macho” o con vestiti non troppo scuri nonostante tu sia vedova.

Insomma, cerchi di dire al mondo “cosa” sei, più che “chi” sei, racconti la tua storia nelle tue scelte dell’auto, della casa, del rossetto. E poi finisci su un A3 bianco, decorato con stupide erbette disegnate in bianco e nero, come tutti – esattamente come tutti gli altri – appeso in luogo pubblico, altrimenti nessuno sa che sei morto. E tutto finisce. Tutto. Finisce il mondo.

Quando ci troviamo a parlare di morti parliamo sempre degli altri, muoiono sempre gli altri, ma noi – come in un film in cui abbiamo firmato il contratto – noi siamo i protagonisti e narratori fin quando non termina il contratto.  E allora, anche se nessuno ci dice quando ci licenziano, restiamo semplicemente senza lavoro, senza vita.

Se fossi un Dio penserei di aver fatto un bel casino. “Ho creato la vita – penserei – ed ora?”. Una vita eterna come gli dei o piuttosto come i vampiri, che noia sarebbe? Che disperazione ne verrebbe, come Circe quando non capisce Ulisse? Ben l’aveva inteso Pavese, gobbo sotto il peso di Nietzsche, che cercare un senso era davvero l’unica disperante condizione originaria umana.

Che fare se sei un Dio? Ripetere la vita in un’eternità angosciante di marionette che recitano in tutti i paesi la stessa storia? Allungare la vita fino a quando un corpo artificiale trascina una mente che vuole solo tornare nell’utero materno? O semplicemente, “morire – dormire – sognare, forse: ma qui è l’ostacolo che ci trattiene: perché in quel sonno della morte quali sogni possano venire, quando noi ci siamo sbarazzati di questo groviglio mortale: è la remora, questa, che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti” – faccenda che già tormentava il bardo.

Si ha un bel dire del ricordo, ma quale ricordo? Per i più prossimi sarà un anno, due anni, per i malati, come me, sarà una frustata che ha tolto la pelle e la carne, ma quel segno sul corpo a cosa è utile?

Nei giorni scorsi, introducendo il Qoelet, parlavo proprio di questo con i miei studenti. Mi sorprendeva il loro coraggio, come pure il loro ateismo. Da parte mia rispondevo che nemmeno il credere salva dal senso della vita. Non salva, se si indaga fino all’origine. Il fatto è che si dimentica – dobbiamo dimenticare – per non averne un trauma, perché la cosa in sé, se compresa in tutta la sua potenza, dovrebbe annichilirci e farci rintanare in un monastero a duemila metri, contando i nostri fratelli che se ne vanno.

Un Natale dopo l’altro, quando in casa ci saranno sedie vuote e al bar non arriverà più quel tizio che ci faceva gli auguri come se si fosse appena sposato. Poi penso a cosa si prova quando si sente di morire. Dovrei intendermene, visto che ho già ricevuto gli onori della cronaca: “studente di filosofia in fin di vita dopo un incidente” – l’unica volta che la filosofia fece capolino nella bassa padovana. Ma non ricordo nulla, ed è un peccato. La morte bisognerebbe viverla. Vivere la morte non è un ossimoro, bisognerebbe viverla proprio per “mandare a quel paese” Epicuro.

Invidio i morti suppliziati: è un onore concesso a pochi. La morte rivela un difetto interno all’essere, un difetto a cui nemmeno Dio ha potuto porre rimedio, perché logicamente, secondo la logica umana, non vi è alcuna soluzione. Né un’immortalità angosciosa, né un protrarre la nostra vecchiaia fino ai tempi delle stelle. Quelle stelle che sono per noi sempre eterne, non moriranno mai. Come quelle di qualche sera fa, che saranno per sempre stampate nella mia testa, ma solo la mia, non la vostra, non quella di altri – ed è proprio questo il problema.

Qualcuno dirà che io sono cattolico e quindi non dovrei avere problemi, ma io non so nulla delle intenzioni di Dio, e anche nella migliore delle ipotesi avrei comunque qualche domanda da fargli. Un cosmo non dico felice, ma almeno sereno non si poteva fare? Non credo più alla teoria della prova terrestre, perché, Dio, ti rendi conto anche Tu che, dal punto di vista epistemologico, non regge.

Ho chiesto anche all’albero di fronte casa che di solito mi parla, ma quella sera era muto.

Scusate lo sfogo, ma due amici scomparsi in una settimana mi hanno mandato un po’ fuori di testa. Almeno si fossero dati delle scadenze distanziate. Comunque, di fronte a tutto questo, almeno per me, non esiste meditazione, non esiste riflessione, nemmeno preghiera, solo rabbia.

 

6 risposte a “Festa dei morti?”

  1. Paola Meneghello ha detto:

    Sicuramente la morte è un distacco, un dolore, ma anche la nascita, è sempre un “lasciare” verso l’ignoto.
    Non siamo solo un corpo, ma un corpo animato, dotato di un’anima, di una Coscienza.
    Quell’anima, legata al mio corpo, ha guidato i miei passi, che hanno lasciato dei solchi, dei segni: in chi ho e mi ha amato, laddove ho agito, nel bene e nel male.. siamo, secondo me, anche noi stessi, con lo strumento del nostro corpo, a nostra volta creatori di questo mondo visibile.. il sale sulla terra, diceva Gesù..
    La nostra vita non è vana, ma forse non è nemmeno nostra nel senso comunemente inteso: io sono libera di agire, ma non agisco per me, ma per il farsi della Vita, si potrebbe dire per la venuta del Regno Dio, ma capisco ci si possa sentire un po’ delle marionette..ma è sempre questione di punto di vista: se fossimo le mani di Dio, le propaggini finite della Sua Coscienza infinita?

  2. Pietro Buttiglione ha detto:

    Ma lo sai che scrivi divinamente!! Complimenti!
    Avevo commentato ma il mio solito dito tropppo grosso ha cancellato.
    PS
    Oggi per rispetto a chi sta morendo in un modo orrendo, con la mente perfetta che vede il proprio corpo totalmente sotto tubi e macchine, per rispetto al loro stato Atroce DOBBIAMO approvare il distacco volontario. ASAP.

  3. Anna Bortolan ha detto:

    La morte non è niente. Soprattutto in confronto a certe esistenze segnate da dolore, angoscia, sofferenza, disgusto, ingiustizia, rabbia per essere stati trattati come spazzatura, umiliati, vessati, ingannati, fraintesi, torturati. Apriamo le pagine dei giornali e leggiamo di vite orribili. Il punto è che la morte è solo la fine di tutto questo schifo. Non perdiamo nulla, in realtà. Si muore perché altri possano vivere, diversamente la terra sarebbe sovrappopolata. È un fatto naturale. Non vi è ragione di preoccuparsene eccessivamente. Né di credere che chi è morto non sia più con noi. È accanto a noi ogni giorno.

    • Franco Ferrari ha detto:

      questa visione riduzionistica e biologistica non mi appartiene e non perché sono cattolico, non mi apparterrebbe nemmeno se fossi ateo, la penso come Camus.

      • Ann Bortolan ha detto:

        La morte felice di Camus? Il personaggio di Mersault che va oltre le convenzioni fino al raggiungimento della accettazione della propria morte? Grazie per il riferimento a questo grande scrittore. Il risultato finale è lo stesso: l’accettazione. Chi muore rimane con noi, non evapora nel nulla. Nessun riduzionismo. Se l’aldilà esiste, ed esiste, la morte non è nulla di terribile.

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