Esempio singolo, responsabilità comunitaria

La morte di un Papa e quella di un "padre" come risvegliano il senso di responsabilità della generazione dei "figli"?
15 Settembre 2022

Qualche giorno fa, un documentario di Rai 3 su Albino Luciani ha mostrato una fotografia in cui, tra diversi collaboratori dell’allora patriarca di Venezia, svettava un mio prozio in piedi dietro al cardinale, con occhiali e cravatta. Riconoscere un volto familiare intorno ad una figura così significativa mi ha emozionato, e mi ha anche permesso di ampliare lo sguardo su una foto piena di donne e uomini. Quando parliamo di santi siamo abituati a pensare al singolare, trascurando il plurale di quel tessuto comunitario, spesso solerte ma poco visibile, che li circonda ispirandoli e nutrendoli. «Papa Luciani» scrive Luigi Accattoli, «è durato lo spazio di un mattino», eppure ci ha lasciato un esempio di trasformazione della realtà in senso responsabilizzante e partecipativo che, nella sua mitezza, è stato incredibilmente sovversivo. La Chiesa oggi ci chiama a raccoglierlo e ad attualizzarlo nella società contemporanea.

Altro che “Papa del Sorriso” congelato in un santino! La sua beatificazione ci chiama in causa direttamente: noi siamo pronti? In una delle sue pochissime udienze, Giovanni Paolo I sottolinea che «Il compito principale del divinizzare non esime la Chiesa dal compito dell’umanizzare», e continua: «penso che il Magistero della Chiesa non insisterà mai abbastanza nel presentare e raccomandare la soluzione dei grandi problemi della libertà, della giustizia, della pace, dello sviluppo; ed i laici cattolici mai abbastanza si batteranno per risolvere questi problemi». Noi dove stiamo? Che ruolo vogliamo avere?

La recente perdita di un amico molto caro mi ha dato modo di riflettere, non solo -com’è inevitabile- sulla fugacità della vita e sulle nostre modalità di approcciarci alla morte, ma anche su questioni generazionali che mi chiamano in causa più da vicino. Il mio amico era anziano e certamente la sua dipartita sta nell’ordine naturale degli eventi: i padri si fanno da parte e danno spazio a noi “figli” (carnali o spirituali, poco importa). Oltre ai bei ricordi, ci lasciano in eredità anche il testimone di una staffetta, che non possiamo fermare o far cadere. Nel momento in cui questo amico è mancato mi sono sentito profondamente addolorato, ma anche spaesato: come se in qualche modo fosse venuto il mio turno per fare qualcosa, ma io non fossi pronto.

Dopo le generazioni che hanno visto morire i propri padri, per una guerra, un ideale o semplicemente per la povertà, veniamo noi, che negli ultimi sessant’anni abbiamo ucciso i nostri padri, poi li abbiamo salvati, poi ci siamo fatti tenere la mano mentre li uccidevamo (iconica in questo la scena di “Star Wars: il risveglio della Forza” tra Han Solo e Kylo Ren) e infine abbiamo giurato «Padre mio, non ti ucciderò!» (come nel brano “L’eccezione” di Madame, nella cui esegesi non oso avventurarmi!). Tuttavia ci troviamo smarriti quando avviene il salto generazionale: adesso che devo fare?

«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti», dice Gesù in uno dei suoi ammonimenti più severi, ed Egli stesso ci ha lasciato in eredità un corpo non certo morto, ma vivo e vivificante. Anche l’Angelo che domanda: «perché cercate tra i morti colui che è vivo?» sembra avere un tono quasi di rimprovero, perché non dimentichiamo che il dio in cui crediamo è il Dio dei vivi. Le individualità passano, ed è doloroso, ma chi è stato significativo in vita lascia un nutrimento duraturo a beneficio di chi resta, che è anche una responsabilità verso il prossimo: che il discorso valga solo per una piccola comunità o per l’intera Chiesa, il concetto non cambia. «Il messaggio cristiano», ci ricorda la Gaudium et spes, «lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo o dall’incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più pressante». Non farsene carico sarebbe una leggerezza imperdonabile.

 

2 risposte a “Esempio singolo, responsabilità comunitaria”

  1. Daniele Gianolla ha detto:

    Il rapporto c’è ed è nella vita di chi resta. Gesù ci ha lasciato una parte di sé perché fossimo vivi in lui e con lui. Diceva San Romero: «se mi uccidono riusciterò nel mio popolo». La resurrezione quindi è qualcosa di molto concreto, che ha a che fare con la vita di tutti noi; non si tratta di una chiacchierata coi fantasmi!

  2. Pietro Buttiglione ha detto:

    Letto con interesse e partecipazione, come merita la Morte.
    Ma..
    Ma..
    Ma..
    sembra che Morte=fine di tutto..
    Stop a ogni rapporto/comunicazione..
    Vero??
    Allora come mai con Gesù si?
    E gli altri no?
    PS
    Non dico come la penso io.. xchè già scritto😍

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