Elogio del frammento

Pietro, di fronte alla Trasfigurazione, manifesta la tentazione del tutto, da avere ‘qui e ora’: è una tentazione pericolosa, animata da un’inquietudine febbrile, come ci ricorda anche una poesia di Wislawa Szymborska.
28 Febbraio 2021

È così spontaneo Simon Pietro nelle sue manifestazioni emotive che non possiamo provare gratitudine per quest’uomo: in qualche modo, tanto di quello che viviamo, soprattutto (ma non solo) a livello di fede, è già stato vissuto ed espresso dal pescatore di Galilea, scelto per guidare i Dodici (e chissà che non sia stata proprio la sua umanità così ricca ad aver spinto il Maestro a fare di lui la ‘pietra’).
È facile trovare qualcosa di noi nell’emozione di Pietro di fronte a quel mistero di luce che è la Trasfigurazione, così profetica della Resurrezione e così intensa nel suo gettare uno sguardo sul prima, sul durante e sul dopo dell’esistenza di Gesù di Nazareth, lasciando però sempre spazio per un cono d’ombra d’incomprensibilità («Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti»).
Perché la richiesta di Simone è veramente umana, umanissima, e così consolante: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». Premesso che preferisco l’antica traduzione di ‘tende’ a quella odierna di ‘capanne’, per l’eco biblica che porta con sé, è però indubbio che in Pietro ci sia la domanda immediata del tutto: egli vorrebbe prolungare quello spettacolo di gloria e gioia, tanto forte da provocare timore; vorrebbe estendere quella epifania del divino così inattesa e subito coinvolgente: «È bello per noi stare qui». E come accade quasi sempre, ecco il tentativo di appropriazione: «facciamo tre tende», ossia rendiamo duraturo ciò che potrebbe esaurirsi in un momento. È la tentazione del tutto: volere l’intera luce, desiderare la gioia piena, tendere alla completezza già nel ‘qui e ora’, già nell’adesso, quell’adesso che ha fatto un dono inatteso del quale vorremmo ampliare l’attimo. Invece Gesù invita a scendere dalla montagna, affida la consegna del silenzio: non raccontare, attendere, portare pazienza: solo più avanti i discepoli avrebbero vissuto, avrebbero compreso e quindi avrebbero potuto raccontare.

È sempre questa la strategia di Dio: non il tutto nell’immediato, ma la pedagogia dell’attesa, della tensione verso la meta, del silenzio, del cammino anche faticoso, polveroso, difficile. All’uomo che chiede il tutto, Dio offre un poco per volta, spingendolo oltre le proprie aspettative. Ma, al tempo stesso, Dio mette in guardia: l’uomo non è chiamato a fare sosta passiva né a farsi prendere dalla smania del ‘di più’ secondo i proprio tempi: non ci si ferma sul monte, si torna per le strade.

Quante volte anche noi siamo stati presi dal desiderio smisurato del tutto? E ancora, quante volte abbiamo rinunciato a quello che avevamo, forse poco, forse lento, forse imperfetto, perché preda dell’illusione che qualcos’altro sarebbe stato meglio, che qualcos’altro ci avrebbe soddisfatto di più, lasciandoci però sempre preda di un’inquietudine non buona né costruttiva? Nell’episodio della Trasfigurazione, al contrario, il Signore invita a gustare in qualche modo l’incompleto, a raccogliere ciò che c’è: alla tentazione del tutto, il Vangelo risponde con l’elogio dell’incompletezza, del frammento, dell’incerto, con l’ammonizione alla perseveranza, all’attesa, alla pace, senza inutili indugi ma al tempo stesso senza nemmeno cadere preda dell’ansia smodata di accumulare esperienze, relazioni, vite.

Con la consueta acutezza, aveva capito bene questa tensione malinconica dell’animo umano Wislawa Szymborska, nella sua poesia che si intitola appunto Tutto, tratto dalla raccolta Attimo (del 2002, qui nella traduzione di Pietro Marchesani):

Tutto –
una parola sfrontata e gonfia di boria.
Andrebbe scritta fra virgolette.
Finge di non tralasciare nulla,
di concentrare, includere, contenere e avere.
E invece è soltanto
un brandello di bufera.

L’anelito continuo al di più, nell’illusione della completezza, è davvero un «brandello di bufera»: non lascia pace, non dona serenità, ma è solo un continuo esaurirsi di energia, portando a consumazione di vita. Apprezzare il frammento è invece dell’uomo, per sua natura imperfetto; Dio solo, per chi ha fede, è completezza. Alla «boria» del tutto, la Parola ci invita al piccolo prezioso compito dell’umiltà, con costanza e speranza.

«Facciamo tre tende»: no, Simon Pietro: ancora lungo è per te il cammino. Solo là, andando avanti, potrai attraversare il dolore che, però, sfocerà nella grandezza del mattino di Pasqua.

3 risposte a “Elogio del frammento”

  1. Sergio Di Benedetto ha detto:

    Grazie, Pietro, per la condivisione personale che hai fatto, dando risonanza a quanto scritto…

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma Pietro ha delle attenuanti; non avrebbe mai pensato di essere stato invitato da Gesù per essere partecipe di qualcosa di tanto al di là della sua immaginazione. Con gli altri due amici si è trovato spettatore di una “trasfigurazione” del Maestro, il Maestro fino a quel momento lo vedeva come Lui, e invece assiste che così non era Presunzione di averne parte?Forse ma per lui la storia era diversa, non era Figlio di Dio ancora, e quindi neppure poteva pensare che quello che vedeva poteva essere un messaggio alla umanità tutta da parte di Dio PadreCreatore, cioè di quello che nche un uomo avrebbe potuto aspirare in futuro con il riscatto della vita per tutti operato dalla morte del Figlio Suo Gesù Cristo. Ma anche così avrebbe richiesto la nostra conversione ai Suoi comandamenti e al Vangelo come via da percorrere. Certo quanto visto non poteva capirlo anzitempo poverino!Noi invece non abbiamo scusanti a misconoscere tali fatti.Sono accaduti, sono verita

  3. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    leggo Sergio e rivisito due momenti della mia vita.
    quando ho rifiutato, scartato la prospettiva del momento, perchè riduceva il tutto ad un frammento, perchè mi confinava entro limiti già tracciati quindi prevedibili, direi standard.. aspiravo ad altro, io! dovevo lasciare il segno, altro che quotidianeità!
    l’altro momento è oggi.
    oggi ho compreso che tutta la vita potrebbe valere UN momento solo.
    che non è una prova con premio finale, non è una fiction con skonfitti e vincitori
    ma solo la Grazia di poter abitare nella Sua Tenda.
    la differenza tra i due momenti?
    Una sola: LUI.

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