“…E lui parlò come quando si prega”

Accompagnati da una lirica di Fabrizio De André di impressionante realismo, riusciamo ad entrare nella confusione di quella fanciulla che apre la vita - e la sua carne - al sogno di Dio.
16 Marzo 2021

Un delicatissimo arpeggio in Re minore che pare quasi chiedere il permesso, apre un canto, fatto di parole impregnate di umilissimo rispetto verso la pagina più inaudita della storia della Salvezza.

Un non credente come De Andrè sfiora appena la chitarra, con il viso basso,  nascosto dal suo ciuffo di capelli. Nasconde, svela e rilegge il mistero dell’Annunciazione in un brano a molti sconosciuto, tratto dall’album La Buona Novella del 1970.  “Il sogno di Maria” è un affresco fragile, leggero come le sue quartine, raffinatissima poesia, culmine della più commovente umanità del cantautore genovese, che dà voce ad una ragazza ebrea, parlando così, in prima persona, come un semplice racconto.

Con la stessa linearità quasi sconcertante raccontata dai Vangeli, nelle strofe riesco a vedere quel villaggio, ne percepisco i colori e ne sento i profumi. La pagina più mistica e piena di mistero della Scrittura non è nel Tempio, nelle sue Leggi, ma nella terra arsa di una casa di Nazareth. E accompagnata da questa lirica di impressionante realismo, riesco ad entrare nella confusione di quella fanciulla che apre la vita ad un sogno, il sogno di Dio, e lo fa scendere in sé, nella sua esistenza e nella sua carne.

Parole confuse nella mia mente,
svanite in un sogno, ma impresse nel ventre”.

Ci sono parole che ti penetrano così nel profondo che rimangono indelebili, scolpite, proprio come quel Kaire Maria, da ora e per sempre parte viva del suo essere madre, un saluto che rimarrà la Voce, l’annuncio che sorprendendola, si fa risposta.

Tutta la dolcezza della melodia di questo canto è come il Sì di Maria.

E con quel Sì, allora l’angelo “mi sciolse le mani e le mie braccia divennero ali” e con lui sogna, vola, nella libertà del suo fidarsi. E allora sembra di passare leggeri sulle valli di Galilea, dove all’ulivo si abbraccia la vite, là dove il giorno si perde. Gli archi accompagnano questo abbandonarsi, questa libertà, la musica ha ora un sapore liturgico e sembra cullarti in questo sogno.

Poi l’immagine sbiadisce, si stingono i colori, voci di strada, rumori di gente,
sembrano rubare Maria a quel sogno e riportarla al presente. Ora si fa spazio al pianto, alla paura, all’attesa di uno sguardo indulgente e alla tentazione di scappare “con le ali di prima”.

Lo chiameranno Figlio di Dio” sarà il sogno che svanendo si fa Parola viva e adesso si incarna sotto quel velo leggero di Maria che ancora non riesce a pensarlo come figlio suo.

Il tempo per chiamarlo per nome verrà dopo, dopo l’attesa.

L’arpeggio si ferma, cambia il ritmo poetico, De Andrè ora parla, la sua voce profonda diventa viscerale e religiosa. Voce che sa evocare questo momento, la consapevolezza, l’accoglienza dell’annuncio, il farlo scendere. Sembra di entrare nel buco della sua chitarra, per farsi piccoli davanti all’immensità di ciò che sta narrando.

Le stesse sue dita sulle corde fanno piano così come quelle di Giuseppe sulla fronte di Maria. Mani forti di carpentiere che sanno ora solo accarezzare. Mani di un uomo nel silenzio di un mistero difficile persino da sfiorare.

E tu, piano, posasti le dita
all’orlo della sua fronte:
i vecchi quando accarezzano
hanno il timore di far troppo forte.

Infine, solo gli archi delicatissimi lasciano andare la Storia in gratitudine smisurata.

 

Una risposta a ““…E lui parlò come quando si prega””

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Se un non credente ha saputo trarre note e sublimare un avvenimento con un madrigale poetico indirizzato alla vergine di Nazareth, Lei, Maria, l’avrà abbracciato visto la gentilezza che a sua volta Ella usa rapportarsi con le persone designate a trasmettere i suoi messaggi. Bellissima composizione che sa di autentico sentimento che sgorga dall’animo umano come acqua di sorgente come preghiera di uomo che vorrebbe credere ma ne è impedito; eppure chi legge o ascolta o guarda un’opera artistica della quale rimane attratto,toccato nell’intimo non gli verrebbe di pensare che a quell’opera l’autore era distante, frutto di solo talento dove ragione e sentimento non c’entrano.Anche il comunicare ha importanza, un credente può del pari non sembrare tale, tanto il suo pregare non arriva all’orecchio, triste ma vero che certuni si servono di uno stampato per seguire messa, e invece si premurano tesi all’ascolto quando è la Parola che viene intesa

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