Di cosa abbiamo sete?

In una Domenica ovunque senza Messa, il Vangelo ci rassicura: possiamo incontrare il Cristo in ogni luogo, perché ciò che conta non è lo spazio, ma il desiderio di vita vera, come ci ricorda anche una poesia di Edgar Lee Masters.
15 Marzo 2020

Ci consola il Vangelo di oggi, di questa domenica che conosce l’assenza della Messa in tutta Italia. Ci consola e ci rassicura, perché una donna di Samaria incontra il Cristo nel luogo più quotidiano e semplice della sua giornata: al pozzo. Rasserena forse un poco noi, cristiani senza Eucarestia domenicale, perché ci ricorda una verità semplicissima: la samaritana non incontra Gesù al tempio, o in sinagoga, ma lo trova lì, al pozzo, ad attenderla. E quel Gesù che attende è un uomo che cammina per le strade, che siede verso mezzogiorno e sente il caldo, la fatica: ci fa bene non dimenticare che il Signore a cui crediamo non rinuncia alla sua umanità: egli è vero uomo, sente la stanchezza, il caldo, la sete.

La donna ha un incontro inatteso fuori dallo spazio sacro, e di questo dà conferma lo stesso Gesù: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre», perché «Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».
A noi, che sentiamo nostalgia della Messa domenicale e della vita comunitaria, arriva questa parola di Gesù: ovunque si può adorare Dio, perché ciò che conta non è il luogo, ma il cuore dell’uomo che cerca il rapporto con Dio. Il luogo non è decisivo: «Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6.6).
Ma il cuore va educato, va purificato, va indirizzato verso lo Spirito.
E così quel Gesù che chiede da bere inizia un dialogo che è un cammino di educazione del desiderio umano che abita la donna: di cosa hai veramente sete? Cosa veramente ti percorre nel profondo, verso cosa tendi, che cosa dà senso alla tua vita?
È un dialogo molto fine e al tempo stesso profondo quello tra l’uomo di Galilea e la donna di Samaria: dalle relazioni alla comunità, dalla speranza a Dio: tutto è investito dall’incalzare delle parole di Gesù che prende per mano la donna e la guida a capire cosa conta davvero nella sua vita.

A noi, spesso rinchiusi nella nostre piccole domande, nei nostri desideri di scarsa lunghezza, arriva l’invito a scendere nel pozzo profondo dove abita e lo Spirito e chiederci: cosa voglio davvero nella mia vita? Di cosa realmente ho sete? Cosa può soddisfare la mia sete?
Bisogna sognare vasti orizzonti, non narcotizzare la sete; bisogna ascoltarla, sentirla bruciare, darle spazio e farci guidare da essa, per giungere a una pienezza di vita, a un’umanità visitata dallo Spirito e quindi vissuta nella sua potente interezza.

Sono riflessioni che mi ricordano una poesia dello statunitense Edgar Lee Masters (1868-1950), autore della celebre Antologia di Spoon River. Qui, tra i vari epitaffi degli abitanti della cittadina, c’è n’è uno che mi colpisce ogni volta che lo rileggo: è di Griffy il bottaio, un uomo umile, semplice, ma animato da un desiderio profondo di vita piena; un uomo che, mi pare, ha dato ascolto alla sua sete:

Griffy il bottaio

Il bottaio deve intendersi di botti.
Ma io conoscevo anche la vita,
e voi che gironzolate fra queste tombe
credete di conoscere la vita.
Credete che il vostro occhio abbracci un vasto
orizzonte, forse,
in realtà vedete solo l’interno della botte.
Non riuscite a innalzarvi fino all’orlo
e vedere il mondo di cose al di là,
e a un tempo vedere voi stessi.
Siete sommersi nella botte di voi stessi –
tabù e regole e apparenze
sono le doghe della botte.
Spezzatele e rompete la magia
di credere che la botte sia la vita,
e che voi conosciate la vita!

L’invito di Griffy è di alzare lo sguardo, scrutare fuori dal perimetro della nostra botte, che apparentemente ci soddisfa, ci sazia, ma che è solo una prigione. È l’invito ad avere il coraggio di superare «tabù e regole e apparenze» che limitano la visuale, a dare spazio alla sete e mettere noi stessi alla ricerca di una vita vera, gustata e amata: «rompete la magia / di credere che la botte sia la vita» ci dice Griffy, ossia educate lo sguardo e il cuore per rompere ciò che avete costruito come difesa, come orto recintato, per abbracciare quanto sta fuori dagli angusti confini personali. Abbiamo eretto fortini che ci fanno presupporre di conoscere la vita, e così sarà fino a quando avremo la forza di incontrare e ascoltare lo Spirito, là al nostro pozzo di Giacobbe. Un giorno, verso mezzogiorno, potremo forse lasciare la nostra brocca, rompere la nostra botte, e cercare acqua viva.

 

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