Chi è causa del suo mal pianga se stesso!, rivisitazione di un verso dell’Inferno di Dante Alighieri, sembra ben tristemente adattarsi al docente che in un post ha augurato alla figlia della premier di fare una fine. E si adatta, purtroppo, non solo per i procedimenti del Ministero nei suoi confronti, ma anche per l’odio social che gli si è riversato contro, nonostante abbia chiesto scusa, frutto del male che scatena sempre altro male. Fermarsi qui, al male da piangere e all’odio restituitogli, sarebbe fin troppo facile, sarebbe proprio un inferno! Il Sommo Poeta, pur non aprendo per le anime dannate alcuno spiraglio di Purgatorio o di Paradiso, ci mostra per sé stesso – ritrovatosi in una selva oscura e quindi nel peccato – una via di cambiamento finché c’è vita, che passa attraverso il riconoscimento del proprio errore, la richiesta di perdono, l’umiltà di lasciarsi guidare lungo il cammino, la sopportazione della fatica, il mostrare chiari segni di essere una persona nuova. Inoltre, il viaggio dantesco nei regni ultraterreni ci ricorda che nessuno è esente dall’errare – compresi i docenti – tanto che il suo maestro Brunetto Latini è posto nel VII cerchio dell’Inferno per il peccato di sodomia, nonostante gli abbia insegnato “come l’uom s’etterna”; e ci dice ancora, con i dovuti distinguo rispetto alla vita di Ser Brunetto, che non vale la giustificazione della dimensione privata del tipo “a casa mia (o sui social) faccio e dico quello che voglio” o “a scuola sono un buon insegnante”, poiché si è maestri sempre e ovunque.
Essere insegnanti, oggi più che mai, significa essere anche testimoni. Non solo trasmettitori di conoscenze, ma esempi viventi di come si può stare nel mondo, tra le persone, nelle relazioni anche digitali. Ogni parola che usiamo in aula o fuori, ogni gesto, ogni silenzio, porta con sé un significato che va oltre il contenuto: comunica un modo di essere, di pensare, di vivere. E i nostri studenti – che spesso apprendono più da ciò che osservano che da ciò che diciamo – assorbono tutto questo. In un’epoca in cui la comunicazione passa sempre più attraverso i social network, anche la nostra presenza online diventa un’estensione del nostro ruolo educativo. È inevitabile! Proprio per questo è necessaria una consapevolezza ancora più grande: ciò che pubblichiamo, come lo scriviamo, il tono che scegliamo, possono contribuire a costruire o a distruggere. Sui social, ogni parola resta, si amplifica, si decontestualizza. Un’opinione espressa con leggerezza può diventare un esempio sbagliato, soprattutto per chi ci guarda con rispetto e fiducia. Assistiamo spesso a un clima di scontro e aggressività verbale, che contagia chi dovrebbe essere esempio di equilibrio e misura. Non possiamo permettercelo! Abbassare i toni non significa rinunciare a esprimere le proprie idee, ma scegliere di farlo in modo che non alimenti rabbia o divisione. È un atto di responsabilità verso i giovani che ci guardano per imparare come si costruisce un dialogo civile, anche nelle divergenze.
Per questo è fondamentale promuovere tra gli adulti educatori una vera e propria educazione relazionale e al web. Spesso si chiede ai ragazzi di essere consapevoli e responsabili online, ma dimentichiamo che molti adulti non hanno mai ricevuto questa formazione. Serve imparare a stare nella rete con rispetto, con senso critico, con empatia. Serve formarsi per formare! Essere insegnanti, oggi, è scegliere ogni giorno che tipo di messaggio vogliamo essere nel mondo.