Cultura povera e fede contemporanea: il dibattito e dieci nodi

Si è riacceso l’interesse sulla scarsa rilevanza culturale dei cattolici: in dieci punti alcune questioni da affrontare con parresia.
14 Marzo 2024

Pochi giorni fa, su Avvenire, Roberto Righetto ha rilanciato in modo lucido il tema del rapporto tra fede e cultura nell’attuale contesto italiano, richiamando a sua volta un altrettanto lucido intervento di Pierangelo Sequeri.
Chi legge Vinonuovo sa che il tema è ricorrente su questo pagine, avendo dedicato più volte ampio spazio alla riflessione sulla relazione tra esperienza di fede, pensiero, estetica, dialogo con il contemporaneo — fino a titolare una sezione del nostro sito “cultura/officina del pensiero” e dedicare un webinar online al tema dei cercatori.
Le parole stimolanti di Righetto, che hanno avuto eco nella rete (segno che la questione è viva), mi hanno nuovamente suscitato interesse e stimolato il ragionamento, declinato in più argomenti, che per comodità vado a elencare in dieci punti, come contributo a un dibattito che necessiterebbe (auspicabilmente) di più tempo e spazio. Con una premessa: non mi piace parlare di “cultura cattolica”, preferendo l’espressione “cultura cristianamente ispirata”, parendomi così di lasciare maggiori spazio, creatività, libertà.

1) Un mancato esame di coscienza e un mancato mea culpa ecclesiale: dopo un ventennio di ‘progetto culturale’ della gerarchia italiana, di impronta sostanzialmente militante e conservatrice, che ha strizzato l’occhio a un certo modo di intendere la cultura (e la politica), sarebbe necessario, a qualche anno dall’esaurirsi di quella esperienza, un esame di coscienza disteso e onesto, libero e coraggioso. Se un notevole investimento di energie, soldi, tempo, credibilità non ha generato i frutti sperati, è d’obbligo chiedersi il perché, anche con un’assunzione di responsabilità di chi ha guidato, non solo ai massimi livelli, quel progetto stesso. Poiché l’impressione, nella chiesa italiana, è che manchi sempre un momento di verifica ed esame di coscienza, che indichi errori e fatiche, anche recenti, così da tentare vie nuove provando a evitare di cadere nelle medesime modalità che si sono rivelate poco feconde. Se la montagna ha generato il topolino, sarà il caso di domandarsi quali sbagli e illusioni si sono coltivati, di fronte alla quasi irrilevanza culturale della fede cristiana oggi.

2) Paura cattiva consigliera: la povertà culturale è diffusa in abito ecclesiale perché la gerarchia ha troppo spesso avuto paura di coltivare il pensiero, preferendo favorire l’apologetica un poco asfittica e superficiale, l’estetica kitsch, il devozionalismo emotivo, la ripetizione concettuale, sorvolando su questioni esistenziali decisive per piegarsi sul dibattito morale, oppure all’opposto andando a cercare e coinvolgendo esponenti di un ateismo addomesticabile e rassicurante (e furbo): alla base, forse, agiva la paura di un pensiero cristianamente ispirato che potesse essere indipendente, libero, solido e al tempo stesso non incasellabile, capace di scuotere e inquietare prassi e concetti di lunga durata. Questo ha portato, nella dimensione più quotidiana, più capillare, alla fuga silenziosa di molte figure ‘pensanti’, poco ‘addomesticabili’ e disposte a portare acqua a un mulino che appariva già arrugginito. «Troncare e sopire, padre molto reverendo»: mutuando dal Manzoni il celebre consiglio del conte zio, troppe volte è parso, a più livelli, che quella fosse la modalità giusta per governare la cultura meno allineata nel recinto ecclesiale italiano.

3) Questione economica: la cultura, se ben fatta, se ben condotta, richiede impegno, fatica, studio e, di necessità, finanziamenti. Ma nel quotidiano parrocchiale ed ecclesiale, stante la scarsa rilevanza attribuita alla cultura, poche volte si è deciso di investire denaro, in modo programmatico e regolare, in tutto ciò che fosse cultura. Pochi spicci, tanto volontariato, poca qualità, preferendo spendere in altri settori (meritori alcuni, come la carità, ma non tutti). Ma senza soldi (amministrati in modo trasparente), come far girare la mola che macina il pensiero? Come sostenere chi si spende nel settore?

4) I grandi eventi: qualcosa negli ultimi anni è cambiato e, ormai, ci sono tanti grandi eventi (festival culturali, etc). Il vero nodo è come orientare la comunità cristiana di base, la parrocchia, verso la cultura e l’elaborazione del pensiero, in appuntamenti sostenibili e regolari. Quali mezzi, modi, tempi e spazi ordinari possono essere impiegati in una costruzione culturale cristianamente ispirata, che non si limiti a pochi e prestigiosi momenti? (Varrà la pena ricordare che in molte diocesi manca perfino un vicario o un responsabile della cultura)

5) La cultura oggi: se si è un poco lucidi, dobbiamo riconoscere che in questo frangente storico, in tutto il contesto occidentale, la cultura (variamente intesa) gode di pessima salute (basti guardare a luoghi come la scuola, le università, le redazioni di giornali). Pochi gli investimenti, pochissimo l’interesse dell’uomo e della donna medi, sovente narcotizzati da mille luci emotive, dalla rete, dal consumo a basso impegno; siamo parte di una società che non crede più seriamente nella cultura umanistica, avendo preferito il profitto, la tecnoscienza, l’economia che sovrasta ogni pensiero politico e filosofico (figuriamoci religioso); che contro il tempo disteso e la lentezza, condizioni necessarie per il pensiero, sceglie di gran lunga la fretta e il risultato immediato (siamo pur sempre la società in cui il legislatore procede nel tagliare di un quinto la durata delle scuole secondarie senza che nel paese ci sia un vero dibattito, in un generale silenzio diffuso delle istituzioni culturali — chiesa compresa ). La «società della stanchezza» è ormai dominata dalle «non cose» (Byung-Chul Han). La Chiesa, il cristiano vivono questa società, abitano questo tempo e ad esso assomigliano. Non tenerne conto significa coltivare illusioni. Staccarsi da qui può portare a divenire una sorta di controcultura: chi davvero sarebbe disposto a percorrere questa via con consapevolezza?

6) I numeri: quando si organizza qualche evento culturale in parrocchia, in piccoli ambiti locali, può nascere lo sconforto: poche persone, sempre le stesse. Ci vuole coraggio, perseveranza, impegno. Siamo pronti ad affrontare senza troppi indugi il tema dei piccoli numeri?

7) Il potere: tante istituzioni cattoliche, al pari di quelle laiche, sono spesso luoghi di gestione autoreferenziale del potere, per cui si punta sempre su figure che in qualche modo ‘appartengono’ allo schieramento, che sventolano una bandiera ‘amica’, che confermano un’ideologia più che una fede. Per questo, può accadere talvolta che alcune figure discutibili vengano promosse e sostenute in ragione di una fedeltà, più che di una qualità. Occupare spazi e manovrare il potere non rende la cultura cristianamente ispirata più creativa (lezione che dovremmo imparare anche dal recente passato). A latere di questo: quanto davvero il mondo cattolico e la gerarchia sarebbero disposti a rischiare, perdendo qualche posizione di controllo del clero, in favore dei laici?

8) La curiosità pericolosa e le frontiere: talvolta si ha l’impressione che la curiosità, motore primo di uno studio e di un’arte feconde, generi più paura che attrazione. Nella divisione tra partiti, cordate e confraternite, la curiosità non è sempre coltivata né sostenuta come positiva, quasi ancora allignasse il timore del nuovo che scuote il vecchio. Quanto spazio, nei fatti, si è disposti a concedere a coloro che stanno alle frontiere, negli ambienti di mediazione e dialogo? Quanta fiducia si ha nel credere nei risultati di una ricerca che si muove con coraggio e curiosità in terreni meno istituzionali? Quanta onestà possiamo nutrire per riconoscere il bene che c’è anche nei ‘pensieri’ non cristiani?

9) Non è una chiesa per giovani: esiste una questione anagrafica che riguarda il mondo occidentale e anche la chiesa e i suoi ambienti, dove generalmente i luoghi di decisione e programmazione (e investimento) sono presidiati da 60/70enni. Fino a 50 anni, in Italia, si è considerati giovani. Chi ha meno di 50 anni fa parte di uno schieramento che è numericamente meno consistente, spesso visto con sospetto (non parliamo di chi ne ha meno di 35). C’è un problema di assenza di un settore generazionale, certamente; ma c’è anche, non raramente, un grande e al tempo stesso ignorato problema di ‘ricambio generazionale’: quanta fatica a lasciare libertà di iniziativa e di decisione a chi è più giovane! La questione anagrafica andrebbe affrontata non solo nella constatazione (e lamentela) relativa all’assenza di Millenials e generazione Z, ma anche nella fatica che esse incontrano nel farsi largo nella vecchia macchina ecclesiale.

10) Quale fede per quale cultura? Sullo sfondo della questione culturale rimane il nodo decisivo della fede, che fa da punto di sutura tra i vari frammenti: se manca un’esperienza di fede vera, profonda, reale con Dio, pur abitata da luci e ombre, che sia nutrita dalla Parola e da un’eredità di pensiero lunga millenni, in dialogo fertile con altre tradizioni, come può darsi una cultura cristianamente ispirata? Se quest’ultima è in crisi, è anche perché il modo novecentesco di intendere e vivere la fede è oggi in crisi. Di questo non si può tenere conto.

Ho provato a sintetizzare questioni vaste in dieci punti; c’è ovviamente un agire da mettere in campo. Ma se manca il pensiero, nessuna cultura cristianamente ispirata potrà essere davvero costruita e offerta all’umanità di oggi, umanità di cui anche noi, tutti noi, facciamo parte, per grazia.

 

 

 

3 risposte a “Cultura povera e fede contemporanea: il dibattito e dieci nodi”

  1. Pietro Buttiglione ha detto:

    3 note a margine
    1) come ho scritto altrove le parole astratte hanno valenze diverse x ognuno di noi. Quindi va prima definito cosa è ‘cultura,’ IMO è semplicemente il denominatore comune di un certo gruppo in in certo hic et nunc. Ovvio che il ns gruppo incartapecorito su “tradizioni” non più condivise ( cfr..le Processioni) è FUORI, Emarginato.
    2) la disamina di errori o di ‘dovrebbe essere’.. serve a NIENTE.
    3) Salvo l’ultimo punto ( noto che manca un ‘non’…😅) : l’unica cosa da fare.
    NUDI
    Come Francesco.

  2. Don Massimo De Propris ha detto:

    Caro Sergio,
    condivido “in toto” la tua analisi e credo che quello della povertà culturale delle nostre comunità cristiane sia un problema cruciale per il presente ed il futuro della Chiesa. Accanto alle analisi, assolutamente necessarie, penso sia anche essere propositivi. Potrebbe essere utile un approfondimento e uno stimolo su queste questioni a livello di Conferenza Episcopale Italiana e un censimento delle situazioni virtuose, che pure sicuramente ci sono. La gerontocrazia è un serio problema. Su questo concordo con te. Sarebbe compito dei Vescovi (e dei parroci) stimolare un ricambio. Se non lo faranno loro ci penserà la storia a premere il tasto “reset”. Nella speranza che non sia troppo tardi.

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma perché stupirsi circa la crisi di Fede, quando solo a guardare quanta in considerazione sono vissute le 10Parole, quei 10 comandamenti che si imparano nella primissima infanzia; un bambino.oggi si accorge subito che rubare può essere una destrezza da furbi, cercare la verità ? Da stare attenti a non urtare la suscettibilità se si tratta di persona importante, chi è questo Dio che non si vede neppure si sente nominare e così di seguito. Certo la cultura, ma una fede in qualcuno ha bisogno di essere vissuta per credere. Che Si parli bene di Gesù Cristo la Storia racconta fatti visti e vissuti ma la sua veridicità all’uomo di oggi, va provata e come se non incarnando la Sua Parola. E questa va non raccontata ma resa reale nel contesto in cui si vive, guardando al ns. oggi. Se Dio non è presente non può neppure essere imposto per cultura, Lui ha fatto l’uomo libero; certo se viene meno la sensibilità di cuore, come provare amore e a donarlo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)