Si avvia una Settimana Santa che, tuttavia, per molti è iniziata settimane fa: il tempo del contagio, della quarantena, della malattia, della morte è un tempo di Passione. Così ampia la sofferenza che invade le nostre città che, per certi aspetti, possiamo veramente dire di arrivare ‘pronti’ alla Settimana Santa. Abbiamo visto o sperimentato croci personali e croci collettive e ora desideriamo ardentemente fare Pasqua. Sentiamo vicina la domanda dei discepoli, «Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?», perché è una domanda che indica intimità, bisogno di amicizia, voglia di celebrare il rito e condividere la festa. Desideri che ci abitano in modo vero come poche volte, forse, ci sarà capitato. Voler fare Pasqua, voler preparare una tavola per le persone care.
Invece si avvia una Settimana Santa in assenza, una Settimana Santa che ci tiene lontani da molte attività, per cui più di ogni altro anno rischiamo di essere spettatori passivi, uomini e donne alla finestra dei misteri della Passione del Signore. Oppure, al contrario, per quello che accade nel mondo, ci sembrerà di essere più vicini al Gesù tradito, venduto, condannato, crocifisso. Sarà una vicinanza nella carne, nella vita, più che nella partecipazione alle liturgie: di esse saremo spettatori, in televisione o sui vari canali di comunicazione. Sappiamo che molte iniziative sono in cantiere per cercare di rendere in qualche modo partecipi i fedeli. Ma, di fatto, il rischio che corriamo di assistere dall’esterno è molto alto.
Di fatto, è il rischio di Pietro, che guarda da lontano quello che accade al Maestro: spettatore impaurito, tiene la distanza necessaria per avere salva la vita. Come biasimarlo? Ma è anche il rischio di Pilato, che osserva e non agisce, lavandosi le mani di ciò che scorre sotto i suoi occhi. E perché non considerare anche i sommi sacerdoti, gli scribi, gli anziani del popolo spettatori di questo tipo? Più attivi, senz’altro, ma spettatori che si portano fino a sotto la croce per vedere e lanciare le loro provocazioni. Abbiamo anche le donne, che osservano da lontano: partecipi, ma anch’esse con una giusta distanza di sicurezza.
Ogni spettacolo può lasciare indifferenti, oppure fare appello alla nostra libertà, mettere in discussione la nostra vita: è ciò che accade al centurione, autore della prima professione di fede davanti al Cristo morto. Uno spettatore che si lascia interrogare, senza limitarsi a stare alla finestra.
Sono pensieri che trovo in un appunto di Fernando Pessoa (1888-1935), andato poi a comporre quella miniera che è il Libro dell’inquietudine. Così scrive il poeta portoghese (nella traduzione di Valeria Tocco):
Se la nostra vita fosse un eterno stare alla finestra, se potessimo rimanere così, come un fumo sempre immobile, vivendo sempre lo stesso istante di crepuscolo che addolora la curva dei monti. Se potessimo rimanere così fin oltre il sempre! Se almeno al di qua dell’impossibilità potessimo permanere così, senza commettere alcuna azione, senza che sulle nostre labbra livide pecchino altre parole!
Guarda come sta venendo buio!… La quiete positiva di tutto mi riempie di rabbia, di qualcosa di amaro nel sapore dell’aspirazione. Mi duole l’anima… Un filo lento di fumo si alza e si disperde in lontananza… Un tedio inquieto mi fa non pensare più a te…
Tutto così superfluo! Noi e il mondo e il mistero di entrambi.
Pessoa aspira a uno ‘sguardo dalla finestra’: è uno sguardo di contemplazione che, secondo lo scrittore, dovrebbe condurre a non «commettere alcuna azione».
Al contrario, un cristiano sa che lo sguardo non può essere fine a se stesso. Ma la contemplazione, lo scrutare attento e aperto al nuovo, è quanto ci serve per entrare in questa Settimana Santa. Credo sia il primo passo per poter poi mettersi in moto, nei limiti del tempo e dello spazio in cui siamo.
Osservare facendo in modo che la Passione ci interpelli: solo così potremo evitare di esclamare come Pessoa: «Tutto così superfluo! Noi e il mondo e il mistero di entrambi». Perché crediamo che né noi né il mondo siano superflui, ma luoghi di una speranza ardua, eppure redenta.