Col sorriso di Dante da Carnevale a Pasqua

La Divina Commedia è un'opera seria, ma in essa è presente un lato comico e legato al riso che ha sempre affascinato i lettori lungo i secoli.
16 Febbraio 2021

La Divina Commedia è senza dubbio opera seria, un pellegrinaggio che racconta di un viaggio dell’anima, dalla selva del peccato alla visione di Dio, ma in essa è presente anche un lato comico e legato al riso che ha sempre affascinato i lettori lungo i secoli. A riprova dell’infondatezza di una certa opinione secondo cui il Cristianesimo, soprattutto medievale, sarebbe ostile al riso, già Dante aveva scritto più volte, riprendendo Aristotele, che una delle proprietà essenziali dell’essere umano è «spezialmente essere risibile» (Vn XXV 2; Dve II I 6; Ep XIII 74).

Ma il riso e il sorriso sono aspetti che evolvono nelle tre cantiche della Divina Commedia. In Inferno la scena più spiccatamente carnascialesca è quella del canto XXI nella bolgia dei barattieri. Qui i diavoli sono protagonisti di un brano in chiave apertamente comica, data anche da vocaboli grotteschi e coloriti (runcigli, groppone, raffi, accaffi, acquatta, accocchi) e dagli stessi nomi inventati da Dante per i diavoli (Malacoda, Alichino e Calcabrina, Cagnazzo e Barbariccia, Libicocco e Draghignazzo, Cirïatto e Graffiacane, Farfarello e Rubicante), raffigurati come dettava la fantasia popolare, neri, alti con forche e uncini, in una farsa giullaresca che si conclude con il triviale segnale di Barbariccia, che «avea del cul fatto trombetta» (If XXI 139). Ma sorprendentemente, incastonato in questa divertente e turpe scena, ritroviamo il riferimento alla Passione e a quando Cristo scese agl’inferi, «ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta, mille dugento con sessanta sei anni compié che qui la via fu rotta» (vv. 112-114), distruggendo quel ponte che ora Dante e Virgilio non riescono ad attraversare.

Il divertimento dei diavoli in Inferno ha il suo contrappeso nel lieto sorriso dei beati in Paradiso, di cui è manifestazione esterna la luce che promanano, secondo la bella definizione del Convivio: «che è ridere se non una corruscazione della dilettazione dell’anima, cioè uno lume apparente di fuori secondo sta dentro?» (Cv III VIII 11). La “corruscazione”, la luce che avvolge i beati è per Dante l’espressione sensibile del loro sorriso, è un tratto comune a tutti i personaggi che Dante incontra nel terzo regno, per prima ovviamente Beatrice. Nel sorriso dei beati Dante scorge l’espressione del loro «dolce amor, che di riso t’ammanti» (Pd XX 13).

Dall’Inferno al Paradiso però è fondamentale il passaggio del Purgatorio, dove nel canto XXI assistiamo a una scena commovente e divertente al tempo stesso, quando Stazio racconta della sua conversione al Cristianesimo avvenuta grazie a Virgilio, che gli è lì accanto ma non è riconosciuto dal primo: scena che può ricordare quella dei discepoli di Emmaus che non riconoscono il Signore Risorto accanto a loro, per poi ammettere che ardeva loro il cuore mentre conversavano con lui (Lc 32,24). Dante, capendo la situazione, guarda Virgilio e, dice, «sorrisi come l’uomo che ammicca» (Pg XXI 109). Molti dantisti hanno messo in evidenza la grossolanità e la rapidità del gesto, data anche dall’uso di questo verbo “ammiccare”: vocabolo vicino al comico di quelli infernali, mai usato altrove da Dante, che vale fare cenni d’intesa, ma che nasconderebbe un etimo dal latino ad micare, tremolare, scintillare, lampeggiare con gli occhi. Non un caso quindi che Stazio lo definisca un «lampeggiar di riso» (Pg XXI 114) del volto del Poeta. Dante ammicca e sorride come chi già sa come andrà la scena e pregusta sorridendo ciò che sta per accadere, come Luca o il lettore del suo Vangelo che già sanno che i due discepoli camminano accanto al Risorto di cui parlano e che a breve se ne renderanno conto.

Se Dante ha esplicitamente legato la farsa giullaresca dei diavoli alla Passione in Inferno XXI, da parte nostra aggiungiamo questo sottile riferimento alla Resurrezione nella scena di Stazio e Virgilio e del riso di Dante in Purgatorio XXI: lo stesso numero di canto ci trasporta dal divertimento sboccato dei diavoli al sorriso di Dante, ma è ancor più suggestivo poi accostarvi ancora Paradiso XXI, l’unico canto invece in cui Beatrice «non ridea» (v. 4); nel Cielo dei Contemplativi manca il riso non perché ci sia un ritorno alla serietà, ma perché quel riso, tratto proprio della contemplazione di Dio, sarebbe insostenibile per Dante, in quanto manifestazione sensibile del divino, tanto che poi quando ascolterà il Gloria cantato dai beati il Poeta dirà: «ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso dell’universo» (Pd XXVII 4-5).

Mettendo insieme i canti XXI di Inferno, Purgatorio e Paradiso, Dante sembra legare il prima e il dopo di questi prossimi quaranta giorni, nei quali ci è richiesto di operare una conversione, come quella di Stazio, e di intraprendere un percorso che dal divertimento del Carnevale ci porterà alla contemplazione della Resurrezione: in questo percorso da Carnevale e Pasqua ci accompagnino il riso e il sorriso di Dante.

 

Una risposta a “Col sorriso di Dante da Carnevale a Pasqua”

  1. Maria Teresa Pontara Pederiva ha detto:

    Bella questa rassegna sull’umorismo che permea la Commedia: forse sarebbe il caso di farne partecipi anche gli studenti che spesso la ritengono pesante e superata, come (sembra incredibile) tutte le discipline scolastiche di taglio umanistico: sono convinta che i risultati potrebbero rivelarsi sorprendenti.

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