“Imparare ad andare e venire, tra dentro e fuori la Chiesa”. Conclusione ineccepibile e, ben oltre ciò che lui crede, secondo me molto evangelica.
Di solito la sala insegnanti è popolata di gossip e recriminazioni. Ma quando si ha un’ora buca, perché le terze sono in stage, può capitare che si trasformi in un’occasione rara, ma preziosa, di confronto con i colleghi. Uno in particolare, che da anni segue da “esterno” (come si definisce lui), le vicende ecclesiali e quindi volta spesso dalle mie parti per chiedere conferme o smentite. Ma questa volta siamo andati oltre.
“Oh, Religione (così mi chiama lui), anche tu a spasso?” “Eh, avrei una terza.” “Ah, capisco. Allora, guarda, ne approfitto. Sai che mi sono messo a leggere l’enciclica del papa?” “Enciclica? – faccio io”. “Si, quella sulla gioia”. “Ah, sì, l’esortazione apostolica, certo”.
“Va bhè, quella roba lì. Devo dire che mi piaciucchia assai”. “Anche a me, – ribatto – non lo nego. E per me, credimi, è raro. Un po’ per mestiere un po’ per curiosità, me ne sono letti tanti di documenti ecclesiali. E questo è uno dei pochi che mi sembra leggibile e soprattutto “sintonizzato”. “Sintonizzato? – chiede lui”. Sì, stranamente sintonizzato sul vangelo e sulla condizione culturale attuale”. “Bhè un documento ecclesiale sintonizzato sul vangelo non dovrebbe essere una novità, o no – ribatte lui?” “In teoria sì, avresti ragione. In pratica molti sono spesso sintonizzati sul Magistero stesso o sulla teologia, fatti con così tanti passaggi filosofici intermedi rispetto al vangelo, da rendere impossibile percepirne ancora il suo sapore”.
“Bingo! Hai centrato la “questio” – mi fa lui – Stavo cercando una ragione per spiegarmi perché mi piace, e credo che la tua idea sia una buona risposta. Ma anche l’altra faccenda mi suona, quella dell’essere sintonizzato sulla condizione culturale attuale”. “Io ho sempre creduto – gli dico – che se uno è sintonizzato davvero sul vangelo, non riesce a stare fuori e lontano dalla situazione reale che ha da vivere. Almeno a me succede questo. So che tu su questo, forse, hai un’idea diversa, ma io continuo a credere che il vangelo sia il mezzo più efficace per restare aperti a Dio e al mondo, contemporaneamente e coi piedi per terra”.
“Oddio, non lo so questo – ribatte lui – Io sono convinto che la storia della Chiesa, per quel che ne conosco (insegna inglese!), sia spesso segnata da un atteggiamento poco aperto. Nel medio evo sicuramente una chiusura che voleva apparire quasi “il regno di Dio” sulla terra, perciò anche altri avrebbero dovuto accedere, ma la Chiesa vigilava molto bene perché entrassero solo quelli che lei voleva. Nell’epoca moderna poi una chiusura che tendeva invece a “difendere” una verità ritenuta proveniente da Dio, rispetto a cui l’uomo moderno si è progressivamente allontanato, perché precipita troppo dogmatica e poco amante della libertà. Oggi, devo dire, che non si capisce molto bene se vuole aprirsi o chiudersi ancora di più. Questo testo del papa mi farebbe davvero pensare ad una apertura, ma poi vedo tanti altri segnali tutti al contrario”.
“Ma vedi, – gli rispondo – le aperture ci sono state sempre, anche in epoche passate. Ma credo che il problema sia capirsi su cosa significa apertura. Un conto è pensarla come un rischio, una perdita di identità, perché la si percepisce come il mondo che entra e contamina la Chiesa. Un conto è pensarla come una possibilità, quella invece di fare un passo indietro, da parte della Chiesa, perché il mondo possa vedere direttamente il tesoro che essa ha dentro di sé, cioè Gesù Cristo e il vangelo appunto”. “Ma il papa – ribatte lui – fa un discorso diverso, richiama fortemente la Chiesa ad uscire, a fare un passo avanti non indietro, ad andare nelle periferie”.
“Uscire certo – ribatto – Non sono contraddittori i due movimenti. Io dico che la Chiesa deve togliersi di mezzo un po’, tra Dio e il mondo, per rendere più facile questo incontro. E per farlo deve uscire da sé e andare nelle periferie. Ma per imparare, come prima cosa, non per insegnare, cosa che arriva solo dopo. Imparare nelle periferie come Dio si rende presente direttamente nel mondo e precede la Chiesa stessa. Il papa dice che il vangelo vivo oggi è lì. Ed è lì che la Chiesa deve re-imparare a stare contemporaneamente con Dio e con piedi per terra. Credimi, qui nella scuola siamo in una di queste periferie. E ti assicuro che io imparo moltissimo qui, come Dio continua a stare nel mondo, dentro a questi giovani. E anzi, spesso ho la sensazione di non essere io capace di star dietro a questo loro strano e personale rapporto.
Perciò sarebbe già una buona cosa se fossi capace di non spegnere lo Spirito che lavora dentro di loro. Perché non è per nulla facile “colmare” la distanza tra loro e questa Chiesa reale in cui vivo”. “Ah, guarda, – chiude lui – io non credo proprio sia davvero semplice per voi. Si tratterebbe di imparare ad andare e venire, tra dentro e fuori la Chiesa, sempre sul confine, ma si può vivere sul confine?”.