Lev shomeà: una miniera dentro.

La miniera di Cogne e il capitolo 28 del libro di Giobbe da cosa sono accomunati?
15 Febbraio 2021

La scorsa estate, per la prima volta, sono scesa in una miniera, una grande miniera, quella di magnetite di Cogne.

Fin da bambina, ho camminato su e giù per i versanti della montagna che la custodisce e goduto della bellezza incredibile di quel paesaggio alpino, della sua aria, della luce accecante. Di quel grande monte pensavo di conoscere tutto, ogni sentiero, sasso, albero, ruscello.

Ma no, invece no.

Non ne conoscevo il cuore.

Esternamente avevo sempre visto i vecchi fabbricati dei minatori, le teleferiche, gli impianti abbandonati.  Ho ancora nelle orecchie il fischio lungo e lugubre della sirena che suonava ai cambi di turno ed ascoltato i racconti dei minatori stanchi in paese.

Ma tutto dal di fuori, dalla pelle esterna di quel luogo. Dal suo meraviglioso lato luminoso.

E così sono entrata nel suo ventre, nel buio di quelle gelide gallerie, oltre 100 km di antichi scavi. Fuori, uno splendido e caldo sole estivo, luccicanti ghiacciai ed una natura esplosiva; dentro, pochi gradi sopra lo zero, un’ umidità pari al 95%, rocce nere, fango e un’oscurità opprimente.

Ho respirato la storia di generazioni di minatori, secoli di fatica e di incredibile forza. Ho visto i segni delle picconate sulla roccia, sentito lo sferragliare dei carrelli sulle rotaie e camminato su quella terra scivolosa, vergognandomi dei miei comodissimi e caldi scarponi.

Sono stata in quei pozzi per sole due ore e ho conosciuto la parte nascosta di un luogo molto amato, forse la parte più vera, ed uscendo da quei pesantissimi cancelli, ho sentito di amarlo ancora di più.

C’è un testo nella Bibbia, il capitolo 28 del libro di Giobbe, che mi accompagna in questi pensieri. È un testo poetico, bellissimo e molto intenso. Un canto, un vero e proprio inno che, a partire proprio dall’esperienza della miniera, con una raffinatissima simbologia, scrive forse una delle pagine più belle sulla Sapienza.

I primi versetti iniziano con una dettagliata descrizione del lavoro del minatore, dell’uomo che fruga, scava gallerie, sconvolge le montagne, scandaglia il fondo, fora pozzi, libera, porta alla luce, raffina. Questi sono i verbi usati per raccontare la laboriosità dell’uomo che sa trarre dalla terra i materiali più preziosi, che ha la sapienza tecnica, che domina la natura, ma che sa anche sconvolgerla.

Poi la domanda centrale del testo, che risuona più volte come un ritornello:

“Ma la Sapienza da dove si trae?
E il luogo dell’intelligenza dov’è?
L’uomo non ne conosce la via,
essa non si trova sulla terra dei viventi.”

L’uomo sa portare alla luce grandi ricchezze, argento, oro, ferro, rame, pietre preziose, anche le più nascoste. Ma il giacimento della Sapienza dove è?  Qual è la via? E qui stiamo parlando di Vera Sapienza…

“Dio solo ne conosce la via,
lui solo sa dove si trovi” … va avanti il canto.

Chissà se gli stanchi minatori di Cogne avranno mai pregato con questo testo. Chissà quante domande, quante paure affidate a quelle nere pareti di roccia. Nella parte nuova della miniera, abbarbicato alla montagna a 2500 metri di altezza, c’è il villaggio minerario, con numerosi fabbricati di ormai archeologia industriale. E’ un luogo ora abbandonato, un po’ inquietante, dove tira sempre un vento fortissimo che sembra spazzare via, insieme alla polvere, anche tutte queste domande. Lì i minatori abitavano per lunghissimi mesi. C’è ancora la loro chiesa, in stile neobizantino, costruita su una incredibile balconata di fronte al Gran Paradiso. Non c’è più nulla al suo interno: la statua di Santa Barbara, protettrice dei minatori, è stata portata giù a valle, nella chiesa parrocchiale di Cogne. Un tempo era decorata da molti affreschi con personaggi presi a modello proprio dagli stessi cavatori, ma di essi rimane solo un grande Gesù dietro all’altare.

Grossi corvi neri svolazzano padroni su queste pietre abbandonate.

“Da dove viene dunque la Sapienza?
Dov’è il luogo dell’intelligenza?
Essa è nascosta agli occhi di ogni vivente,
è celata agli uccelli del cielo.”

Miniera come luogo di ricerca, dove le domande dell’uomo si fanno grido.

Miniera è scrutare nelle tenebre, in luoghi inaccessibili.

La miniera della vita è il luogo dove Dio si fa incontrare, dove le domande del cercatore di Sapienza si incontrano con le risposte di Dio.

Solo Dio conosce il luogo della Sapienza e lo dona a chi sa chiedere, sa cercare.

Salomone, giovanissimo re, chiede in sogno a Dio (1Re 3,9)  un Lev Shomeà  “un cuore ascoltante”. Non chiede ricchezze, né potere. Non chiede neanche direttamente la Sapienza.

Solo un cuore che ascolta.

Ecco, il luogo della Sapienza è in ciascuno di noi.

Ognuno è miniera, ognuno scava, cerca, porta in luce la sua parte migliore.

Dio dona la Sapienza non a chi conosce, non a chi possiede, non a chi domina, ma a chi sa essere creatura, creatura in ascolto, con cuore docile.

“Dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore” dirà Gesù circa cinque secoli dopo.

Un Lev Shomeà, ecco il filone delle miniere che siamo.

 

3 risposte a “Lev shomeà: una miniera dentro.”

  1. Paola Buscicchio ha detto:

    Avevo preso l’abitudine anni fa di leggere la Bibbia ogni giorno e di soffermarmi a meditare ogni singolo passo.
    Questo lavoro lento e laborioso sembrava essere come quello di qualcuno che attinge acqua da un pozzo e se ne disseta.
    Senza accorgermi a poco a poco la Parola di Dio era entrata in me e mi aveva cambiata.
    Ero diventata più riflessiva e attenta alle cose.
    Dentro la Scrittura c’è una strada che pochi praticano che conduce alla sapienza.
    Chi l’ha percorsa ha trovato molto….

  2. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Solo una donna può scrivere simili sentire, solo una donna tali emozioni, mescolando nostalgica tristezza, sofferenza da mancanza e … Speranza di senso!
    Magari nella natura che overpassa tutto…
    Grazie!

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Una miniera abbandonata, e’ l’evolversi di una produzione sostituita da altra più innovativa ma ancora si sente parlare In certe parti di disastri in miniera. Papa GiovanniPaolo ll dalla esperienza di lavoratore alle cave di pietra di Zakrowek e da operaio allaSolvay si è detto partecipe in viva vicinanza con l’uomo del lavoro e di aver portato nel sacerdozio in quella insostituibile esperienza di quel mondo, ” la profonda carica di umana amicizia e di vibrante solidarietà dei miei compagni di lavoro,conservandone nel mio spirito come una cosa preziosa”. Il Grande Gesù rimasto tra la tra figure di escavatori è Lui, Sapienza venuta alla luce, mi chiedo se quello stesso grande Gesù sia così tra quelli che vivono nel mondo Web, se da Lui e in Lui il mondo moderno riconosca d’aver bisogno della Sua Sapienza per, come Giovanni Paolo ha detto”crescere in umanità, maturando ogni giorno di più nella giustizia e nell’amore”.

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