Un giornale per una Chiesa locale

esiste uno spazio per dirsi le cose come vanno e come stanno? Potrebbe essere lo spazio della parresia, del parlarsi con il cuore in mano, con il fuoco della passione
17 Giugno 2019

In occasione della recente Giornata delle comunicazioni sociali, la diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi ha dedicato un momento di riflessione al suo settimanale “Luce e Vita”. Da quel dibattito riprendiamo l’intervento tenuto da Lorenzo Pisani e rilanciato ieri sulle pagine del giornale. Lo proponiamo qui perché offre una serie di spunti a nostro avviso interessanti per una riflessione più ampia sul senso dell’informazione dentro alle Chiese locali in un tempo in cui le trasformazioni nei mezzi di comunicazione rischiano di diventare l’alibi per ripiegarci ancora di più su noi stessi.

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Di Luce e Vita, sono un lettore affezionato [e che pure, molto sporadicamente, scrive], ma non sono professionista della comunicazione. Quindi corro il rischio di fermarmi alle ovvietà, ai luoghi comuni, o di andare fuori tema; me ne scuso. E tuttavia sono convinto che il discorso, solo apparentemente vago, sulla comunicazione ecclesiale e sul settimanale diocesano non possa prescindere da uno sguardo più ampio. Perché se, per quieto vivere, la comunicazione è ingessata, va da sé che i mezzi di comunicazione languono.

Un giornale è fatto per condividere notizie e opinioni, L&V non fa eccezione. Certo nel nostro caso le opinioni, così come la cronaca, non sono fini a sé stesse. Qui si presenta il primo nodo: per chi è pensato L&V?

In molti di noi è ancora vivo il ricordo di una grande tradizione cattolica, un mix sapiente di alta cultura e diffusione popolare, con uno sguardo ampio. Eppure, diciamocelo con franchezza, sembra che quella tradizione sia svanita; l’approfondimento culturale, a poco a poco, è uscito dalle nostre abitudini. Dai grandi dibattiti sulla presenza dei cristiani nel mondo, abbiamo ripiegato. Se pensiamo alla gente che frequenta abitualmente le nostre comunità, l’anagrafe spiega qualcosa, ma non tutto.

La percezione di questo ripiegamento si riverbera su L&V. Non mancano spunti interessanti, tutt’altro; ma non si capisce se esiste un seguito. Sono massi erratici, oppure sono brani di un discorso più ampio? Per certo, quando un tema “è maturo”, salta fuori da più parti contemporaneamente; capita questo con L&V? [Qui ci sta bene pure un mea culpa: io sono uno che, estenuandosi nel limare le parole, finisce per contribuire poco].

Forse anche per questa ragione il giornale non trova eco e repliche nei mezzi di comunicazione al fuori della comunità cristiana. Oggi, di fatto, le testate laiche pubblicano al più le note che noi stessi inviamo.

Rimarrebbe almeno la cronaca: il dare notizia di iniziative diocesane, il mettere in circolo tentativi, esperienze, buone prassi; farsi pubblicità, se vogliamo. In realtà, dai dati sulla diffusione, sembra di capire che nelle comunità, da parte degli operatori pastorali, manchi l’interesse ad allargare lo sguardo oltre il perimetro segnato dall’ombra del proprio campanile. E questo sarebbe un problema anche dal punto di vista teologico.

A proposito di cronaca, vorrei sottolineare che, per sua stessa natura, essa non ci dice tutta la verità, si limita ad accendere un riflettore su un particolare, lasciando sfuocato il contesto.

Provo a spiegarmi con un esempio. Padre Cristoforo ritiene che sia arrivato il momento di dare un nuovo allestimento alla cappella di San Carlo Borromeo; un’offerta generosa di Donna Prassede copre il grosso delle spese. Dopo i lavori si inaugura la cappella con i nuovi arredi: si fa una bella festa con Mons. Federigo ed arriva un puntuale resoconto sul giornale della diocesi. E questa è la verità del giorno.

Ma la Cappella viene effettivamente utilizzata? Per che cosa? Oppure quei banchi rimangono quasi sempre desolatamente vuoti? Ecco, il caro padre Cristoforo ha perfettamente presente l’ordinaria amministrazione, ne condivide il peso con i più stretti collaboratori, Tonio, Agnese, Bortolo. Eppure, queste considerazioni non sono destinate alle righe del giornale; sul settimanale non c’è traccia di questo.

Magari, dopo dieci anni di quasi silenzio, sul giornale troveremo un’altra notizia. Don Abbondio, con Attilio e il resto del Consiglio Pastorale, ha avuto la splendida idea di utilizzare la cappella di San Carlo per un nobile scopo: fra Galdino fa il doposcuola ai Bravi.

E magari, dopo altri dieci anni, uno storico bravo, o forse un sociologo, tirerà le fila del discorso e racconterà le cose come stavano, come mai si è arrivati a questo cambio di destinazione d’uso. Lo storico o il sociologo cercheranno di raccontare la vita “fuori dai riflettori”, il perché, il per come, ….

Spero che l’esempio abbia chiarito quello che volevo dire: puntando i riflettori su singoli momenti, senza dubbio meritevoli di attenzione, talvolta si rischia di perdere la trama generale del discorso.

Siamo consapevoli che la verità della vita, anche nei suoi aspetti essenziali, non potrà mai interamente essere riportata in un resoconto scritto (a questo proposito ricordiamo una scena del film “Codice d’onore”, protagonista Tom Cruise). Nonostante questa irriducibilità, noi, attraverso i documenti, più o meno consapevolmente, cerchiamo di grattare sotto la superficie della cronaca. Anche attraverso un giornale, noi cerchiamo di farci almeno un’idea di come vanno le cose, come stanno le cose nel microcosmo della nostra Chiesa locale.

Ora la mia domanda è questa: risponde L&V a questo scopo? esiste uno spazio per dirsi le cose come vanno e come stanno? Potrebbe essere lo spazio della parresia, del parlarsi con il cuore in mano, con il fuoco della passione e non solo per dovere di cronaca istituzionale. Lo spazio della parresia, quasi sempre, finisce per subire la presenza di pochi, soliti, saputelli o tromboni, che ripetono a gettone lo stesso ritornello, come una fissazione. [Ve la dico pure, la mia fissazione: dove sono i giovani? è la prima cosa che guardo in tutti i momenti di vita ecclesiale. I giovani veri, gli under trenta, non gli adulti giovanili, che pure iniziano a scarseggiare.] Ma una parola, sul tema della parresia, vorrei che la spendessimo. Allargando lo sguardo dalla “questione giornale”, la domanda investe tutta la comunità: abbiamo passioni, pensieri che ci accompagnano, ricorrenti e molesti come un sassolino nella scarpa? Oppure ci stanno bene le cipolle d’Egitto?

Parlando dei giornali su carta e alla loro crisi, il pensiero corre immediatamente al confronto con il web e i social. Sdoppiando, anzi moltiplicando la presenza su web e social, si cerca di allargare la platea dei lettori/interlocutori.

Ma, oltre il conteggio di contatti, like e condivisioni, torniamo esattamente al discorso che facevamo prima. I social e il web sono frequentemente “luoghi estremi”, dove saltano etichetta e misura. E’ così anche da noi? Oppure alla crisi del cartaceo non corrisponde neanche reale vivacità delle reazioni sul web? Perché, se anche il web non è vivace, questo vuol dire che qualcosa non torna. Vuol dire che Renzo, Agnese e Ferrante non comunicano affatto, perché sono disillusi che possa servire a qualcosa. L’importante è che si sopravviva, ciascuno con il suo orticello di interessi, le sue priorità, le sue convinzioni. Le cose “vere” ce le diciamo tra amici, in una echo chamber, quando siamo sicuri di pensarla quasi tutti più o meno allo stesso modo; rimanendo prudenti e accorti nei circuiti comunitari, nella ideale piazza ecclesiale.

Infine, nel confronto tra i media, mi pare importante sottolineare quella che, per ora, sembra una peculiarità della parola scritta su carta: la condivisione tra generazioni. Usiamo il giornale per selezionare ciò che ci sembra importante e meritevole di una seconda chance; un primo setaccio per iniziare a scegliere cosa si cercherà di strappare all’oblio, l’anticamera del libro di storia.

Per questo un giornale va fatto con cura, e custodito, come una cosa preziosa. Ed è questo il mio augurio per Luce e Vita.

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