Tempo di cresime, tempo dello Spirito

Anche la celebrazione delle cresime per adulti può essere l'occasione di fare esperienza di un senso di pienezza che costiuisce un assaggio dell'eternità
16 Giugno 2021

Una piccola parrocchia sperduta nella periferia nord-est della Capitale, talmente sperduta che il vescovo è arrivato con mezz’ora di ritardo perché non riusciva a trovarla neanche col navigatore.

Una domenica pomeriggio uggiosa, grigia e piovigginosa.  Poche persone in chiesa, quasi tutti parenti dei cresimandi, rigorosamente distanziati secondo norma.

Io e Letizia, catechiste del gruppo delle cresime degli adulti, entriamo a fianco di questo drappello di una decina di persone, giovani adulti intorno ai 30 anni, che fanno la cresima perché si devono sposare.

C’è emozione. Bisogna ricordarsi tutti i passaggi: “Voi cresimandi vi mettete nella parte interna dei banchi, e dopo il rito rientrate dalla parte esterna”.

Il vescovo, mons. Giuseppe Mani, inizia la celebrazione scusandosi del ritardo, “ma è stata veramente un’impresa trovare la vostra parrocchia!”

C’è un momento nel rito della cresima particolarmente emozionante, quando ogni cresimando viene chiamato per nome e risponde “Eccomi!” alzandosi in piedi.

Eccomi, sono pronto. Ma pronto per cosa? Per accogliere il sacramento della confermazione, per rinnovare le promesse battesimali, prima di tutto.

Ma c’è anche qualcosa in più. Essere chiamati per nome non succede più nella nostra società, in cui siamo solo ingranaggi anonimi di un meccanismo più grande di noi. Ingranaggi nel lavoro, come nella iconica scena di “Tempi moderni” di Charlie Chaplin. Ingranaggi quando affolliamo i centri commerciali, quando siamo imbottigliati nel traffico, quando sbrighiamo qualunque onnipresente pratica burocratica.

In questo momento del rito invece non è così, in questo momento ognuno testimonia se stesso, il proprio “esserci” di fronte alla comunità, davanti alla quale ciascuno resta in piedi dopo essere stato chiamato per nome dal vescovo.

C’è una responsabilità in quel restare in piedi dopo aver risposto alla chiamata del proprio nome. La responsabilità di essere se stessi, di rendersi riconoscibili davanti a una collettività, di fare una promessa: la promessa di accettare il proprio posto nel mondo, di “stare dentro” ad una comunità con il  bagaglio unico e insostituibile delle proprie caratteristiche individuali e della volontà di prendere la decisione di essere una persona, di uscire dall’anonimato, di rendersi riconoscibile e disponibile per ciò che ciascuno è e di impegnarsi a dare un contributo in un progetto che è un progetto di fedeltà alla vita, verso se stessi, nella propria famiglia, sul posto di lavoro e in tutti gli altri ambiti che attraversiamo nella nostra esistenza.

Il coro intona il canto di offertorio. Io lentamente mi rilasso. Sento dentro di me un senso di pienezza, prezioso in questi tempi di pandemia in cui ci siamo sentiti deprivati di tante cose fondamentali. Mi chiedo da dove provenga e piano piano percepisco la risposta.

È la pienezza di un adulto che ha accompagnato persone più giovani, trasmettendo loro quelli che ha sperimentato come valori. Per farlo, bisogna “essere” adulti e “sentirsi” adulti, sperimentando una generatività (che è più ampia della genitorialità) che ridà senso esistenziale e, appunto, pienezza.

Bisogna porsi in controtendenza rispetto ai must della società attuale per cui è necessario negare a tutti i costi l’età che avanza, come se invecchiare fosse una colpa imperdonabile, e bisogna continuare ad occuparsi ossessivamente ed esclusivamente di se stessi e della propria immagine.

Essere generativi significa passare un testimone, accettare l’idea che qualcuno ci sopravviverà, ma questo in realtà rallegra anziché rattristare, poiché quei giovani porteranno con sé qualcosa di noi, in una recuperata dialettica intergenerazionale che in qualche modo trascende l’estremo limite della morte.

Se ci occupiamo solo di noi stessi, restiamo soli e ossessionati da tempo che passa.

Se ci inseriamo nel fluire dell’esistenza, sentiamo che si creano dei legami che superano le barriere del tempo e che ci restituiscono umanità e. soprattutto, senso esistenziale.

La mia vita ha senso se si lega ad altre vite e, per chi è credente, se si fonda nella vita di Dio.

Una delle più belle definizioni della fede è quella che dà padre Ermes Ronchi quando afferma: “La mia fede è sentire di essere dentro una corrente inarrestabile, una energia di vita che  mi raggiunge, mi avvolge, mi penetra, mi  incalza, mi fa fiorire. Siamo raggiunti da un flusso di vita incessante che sgorga da una sorgente più grande di noi, che è sempre disponibile, che non verrà mai meno”.

Ecco, nella cerimonia di ieri ho sentito una energia che mi attraversava, mi contagiava, mi restituiva vita.

Noi catechiste abbiamo incoraggiato ciascuno ad essere se stesso, a connettersi ad una radice, ad una storia, ma anche ad una speranza, perseguendo ciò che in termini religiosi si chiama vocazione e in termini laici, psicanalitici, si chiama processo di individuazione.

E tutto questo non si può trasmettere se non è stato sperimentato nella propria vita, e proprio per questo accompagnare qualcuno ad essere se stesso provoca specularmente la sensazione di essere in un flusso di energia che vivifica e dona pienezza.

Forse è proprio questa la forza dello Spirito cui ci siamo affidati nella celebrazione di oggi…

 

Una risposta a “Tempo di cresime, tempo dello Spirito”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Forse il darsi un progetto di vita può essere un inizio, il decidere a quale fonte ispirarsi quando la vita, anche quotidiana, nei nostri impegni, rapporti con le persone, ci obbliga a fare delle scelte ad assumere comportamenti. Piu questi saranno costruttivi se tra noi e gli altri.si vorrà coinvolgere sentimenti dal cuore. Non avere un cuore addormentato, o malato di passioni senza futuro, domandarsi se da quello spirito cristiano che ci è stato fatto conoscere, non può diventare quella fonte di saggezza a cui affidarci con fede. E’ quanto realizziamo personalmente che diventa anche sua visibile testimonianza, la cui peculiarità si distingue perché non pretende imporsi ma diventa quel testimone che un altro spontaneamente coglie, fa proprio. Questo dà gioia vera, e diventa motivo di lode e un grazie rivolto allo Spirito che in tanto bene né e la fonte ispiratrice, “l’acqua viva.ch’Egli da’ sempre fresca sgorgherà”.. è un canto liturgico

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