Mi è molto piaciuto l’articolo di Aldo Maria Valli, “Dossetti, Lercaro e il caso Viganò”. Sono tra quelli, che pensano che la povertà dovrebbe essere una scelta che qualifica la Chiesa, in tutte le sue espressioni: dal Vaticano alle parrocchie, dagli ordini religiosi e dai movimenti ai singoli fedeli. Sono tra quelli, che cercano di tenere bene a mente il passo del Vangelo: «E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio; né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche.» [Mc. 6, 8]
Se credi in queste cose, fai sempre la figura dell’ingenuo e dello sprovveduto: e le missioni, chi le mantiene? E gli oratori nelle periferie? E i pranzi che la Caritas distribuisce nelle sue mense? E i preti, chi li fa studiare? Eccetera eccetera… Siamo tutti uomini di mondo, mica possiamo metterci a fare gli integralisti francescani… Che poi pure lui, S. Francesco, aveva sì scelto la povertà, ma le chiese le ricostruiva: la Chiesa è fatta anche di mattoni, oltre che di fedeli.
È evidente che ci sono tanti modi di intendere la povertà, e di coniugarla con le esigenze di una comunità vasta, complessa e articolata come il mondo. Ma davvero l’impressione è, che a furia di coniugarla non sappiamo più che cosa sia: le abbiamo tolto ogni significato e valore.
La vasta indagine sulla religione in Italia di Franco Garelli (Religione all’Italiana, Il Mulino 2011) fotografa un Paese che continua a dirsi cattolico, anche se più per forza d’inerzia che per vera convinzione. Un paese di “cattolici di mondo”, che riconoscono che la Chiesa ricopre un valore sociale importante fornendo stabili elementi di identità e sicurezza nella modernità liquida, e che sono disposti a darle fiducia, molto più di quanto ne diano alle istituzioni o alla politica. Ma che ritengono «di poter fare a meno dei preti e della chiesa per far fronte alle esigenze religiose» (lo afferma il 45,2% degli italiani): tanto, anche la Chiesa è una roba di mondo, mica è roba spirituale, no?
La maggior parte dei cattolici, poi, la accusa di incoerenza (quasi il 64%) «ritenendo che predichi bene, ma razzoli male», di avere troppo potere (65%), di esercitare molta influenza a livello politico (72%). Ma poiché tra soggetti di mondo ci si intende, gli italiani trovano il modo di apprezzare la Chiesa convivendo con essa pacificamente, ma continuando a farsi i fatti propri: il 64% dichiara di avere fiducia nella Chiesa, anche se non ne segue alcuni insegnamenti ritenuti inadeguati ai tempi, come quelli in materia sessuale.
Il che significa, in poche parole, che la Chiesa oggi è condannata all’irrilevanza etica (serve a dare identità, ma non cambia gli stili di vita) e spirituale (gli italiani coltivano una fede individualistica, che non sente l’esigenza di mediazioni ecclesiali). Se le togliessimo la ricchezza e il potere, che cosa le resterebbe?
Inevitabilmente la vita della Chiesa ha un aspetto temporale: se deve condividere i destini degli uomini del suo tempo, non può fingere di vivere sulle nuvole. Ma un conto è la presenza nella storia, un altro conto è dedicarsi alla gestione del potere e delle risorse adeguandosi ai valori, ai modi, alle strategie di successo, anche economico, delle élite più in voga.
Anche per “stare al mondo” bisogna accettare delle regole. Se scendi in politica, devi accettare che le tue idee vengano discusse, approvate o bocciate. Se decidi di sbarcare in borsa, devi stare alle regole del mercato. Se vuoi diventare un personaggio pubblico, devi rinunciare a gran parte della tua privacy. Se scegli la via del potere sociale ed economico devi decidere quali regole adottare. Per esempio, sarebbe auspicabile che decidessi di stare alle regole della democrazia, regime nel quale ci vantiamo di vivere, tanto che alcuni lo vorrebbero imporre con la forza anche ad altri Paesi.
In democrazia, per esempio, se un politico fa sparire una carriolata di milioni dai bilanci di un partito, gli iscritti (o ex iscritti) si arrabbiano, il politico viene espulso e messo sotto processo. Non sarebbe dovuto accadere, ma è accaduto e quindi si cercano i correttivi a posteriori. Lo stesso succede nel terzo settore, nelle associazioni, insomma nelle organizzazioni che si sono date regole di democrazia e trasparenza, con persone che hanno responsabilità precise, altre che hanno il compito di controllare come vengono gestite le risorse e strumenti di comunicazione che dovrebbero dare trasparenza al tutto. Spesso funzionano, e prevengono abusi e anche semplici errori. Anche quando va male, aiutano poi a ricostruire la verità di quello che è successo.
Ha scritto Roberto Beretta (“Cinque idee sul caso Viganò”) che «nel governo temporale della Chiesa manca anche uno strumento efficace di equilibrio e di controllo reciproco dei poteri». Quell’equilibrio e quel controllo che sono tipici della democrazia. Sappiamo che la Chiesa, nella sua globalità, non è e non può essere un organismo democratico, ma questo non esclude che nel governo temporale possa esserlo, imparando per una volta quanto di buono ha elaborato la cultura democratica della società civile (anche di quella cattolica) per garantire correttezza di gestione, coerenza con la mission, trasparenza. Riconoscendo competenze, soprattutto laicali, e mettendo in campo forme di condivisione delle responsabilità e del potere e di controllo interno.
Insomma se la Chiesa di oggi vuole essere mondana, deve almeno farlo in maniera corretta. Meglio sarebbe, però, che ritrovasse la propria dimensione mistica, quella che la fa essere nel mondo, ma non del mondo.
Chissà che qualche italiano, di conseguenza, non riscopra la dimensione religiosa della Chiesa e il ruolo di guida spirituale dei sacerdoti, che per questo tali sono diventati.