Sinodo: quale gestione del potere nella Chiesa? (1)

La creatività e la fedeltà allo Spirito Santo cosa ci può suggerire per costruire una forma di gestione del potere ecclesiale adeguata al modo con cui oggi i vangeli possono essere accolti?
30 Novembre 2021

In molte diocesi del mondo stanno partendo la progettazione e le prime realizzazioni dei percorsi del sinodo, dal titolo “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Un sinodo sul sinodo: come camminare insieme per imparare a camminare insieme. Tema che porta sul tavolo la gestione del potere all’interno della Chiesa.

Nei punti 3, 6 e 8, delle dieci tracce contenutistiche su cui il sinodo dovrebbe muoversi, si chiede proprio di parlare di questo. La chiesa è guidata dallo Spirito Santo, certo (Chiesa popolo di Dio), ma essendo il Cristo oggi incarnato nell’umanità (Chiesa corpo di Cristo) una forma umana della gestione del potere, la Chiesa la deve avere! Perciò, per aiutare una riflessione seria, è bene chiedersi: storicamente, come ha vissuto, la Chiesa, le forme concrete di gestione del potere interno?

Agli albori, la Chiesa, nel suo complesso, si vive quasi come una democrazia della fede che richiede e fonda una oligarchia illuminata: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e Noi…” (At, 15,28). Dove il noi non è solo dei dodici, ma della comunità di Gerusalemme tutta (15, 4 e 22-23). In essa certamente i dodici hanno una preminenza, che però è fondata e riconosciuta dal resto dei fedeli, i quali non si sentono esclusi dalle prese di decisione e possono portare le loro esperienze e riflessioni affinché l’”oligarchia” sia maggiormente illuminata (At, 9,32; 10, 45; 1 Pt 5,12). Tale dinamica è vera anche nelle singole comunità, in cui i fedeli richiedono e designano il vescovo, che funge da riferimento in cui tutto il popolo si riconosce. In quel momento c’è un “camminare insieme” abbastanza vero, ma non certo perfetto (At 5, 1-11), che anche per la forza della fede nascente riesce a tenere discretamente in equilibrio potere, partecipazione di tutti e verità delle decisioni assunte.

Tale assetto si mantiene fino all’inizio del 300, più o meno, quando lo sviluppo delle comunità su vasta scala apre una serie di problemi, gestionali, pastorali e teologici che possono essere affrontati solo da tutte le comunità insieme. La gestione delle decisioni di grande portata, perciò viene conferita ai concili, che, a maggioranza, definiscono la rotta per la Chiesa universale. Il vescovo di Roma ha già, in quel momento, una rilevanza particolare, ma il suo specifico potere è riconosciuto dai concili, dai padri della Chiesa e dai vescovi, senza che lui, ancora, si autorizzi a prendere decisioni organizzative all’interno delle singole chiese. I fedeli non appartenenti alla gerarchia continuano ancora ad avere voce in capitolo e a poter offrire indicazioni e riflessioni anche ai concili, ma la loro presenza tende però già a ridursi un poco.

Siamo in una oligarchia allargata ed elastica, con l’individuazione di un “capo”, la cui autorità nasce però dal basso, dal riconoscimento degli altri e non come auto fondazione propria. Qui c’è un camminare insieme che è ancora reale, ma in cui lo spazio per il “popolo di Dio” tende ad essere meno evidente, mentre quello della gerarchia si fa più consistente. Il baricentro del potere ecclesiale si alza, ma senza eliminare la partecipazione di tutti. La certezza delle verità delle scelte tende a fondarsi di più sul ruolo di chi decide, che sulla condivisione di tutto il popolo di Dio.

Nei successivi mille anni questa dinamica si muove con lenta gradualità, lungo due direttrici. Prima. Una costante e progressiva accentuazione del primato del vescovo di Roma, soprattutto come ruolo che lentamente allarga la sua influenza direttamente in alcune scelte delle singole Chiese, almeno quelle latine, in cui la fondazione della propria autorità è sempre meno dal basso e sempre più dall’alto. Seconda. Il ruolo del popolo di Dio si riduce sempre più e il baricentro del potere ecclesiale tende ad alzarsi ancora, fino a rendere quasi impossibile ad un non appartenete alla gerarchia ecclesiale, poter avere voce in capitolo nelle scelte pastorali, organizzative e teologiche.

Quando la svolta protestante mette in subbuglio la chiesa, si palesano queste due linee di trasformazione già in atto, fino a dare forma alla gestione del potere della Chiesa, dopo il concilio di Trento, ad una monarchia di fatto, in cui il vescovo di Roma, da vicario di Pietro, si autodefinisce soprattutto vicario di Cristo, iniziando ad avocare a sé tanta parte della gestione diretta delle chiese nelle varie parti del mondo, soprattutto di quelle comunità nate dalle missione nelle terre delle scoperte geografiche. Da notare però che l’accesso al massimo grado di potere (papato) è dato da una decisione dell’oligarchia, ottenuta con il principio della maggioranza. In questo stato di cose la partecipazione è veramente al lumicino e la verità delle decisioni è sostenuta tutta e sola dal ruolo gerarchico di chi le definisce. Qui più che un camminare assieme si può davvero parlare di un “marciare” insieme.

Camminare rimanda alla condizione di persone che si muovono a partire da una loro intenzione condivisa, in forma non obbligata, a velocità non uniforme, ma che cercano di mantenere possibili le relazioni tra loro; persone che si possono anche “urtare” un po’ mentre camminano, ma che condividono la fatica, le speranza, le gioie, le decisioni, le soste, gli incontri, il sostegno, gli obiettivi. Marciare invece, rimanda alla compattezza del plotone militare che viaggia all’unisono, spesso motivato da un obbligo gerarchico, in cui non ci sono “urti”, ma nemmeno relazioni significative, dove ognuno si limita a svolgere il proprio ruolo conferito e dove, di solito, chi da gli ordini decide tutto per gli altri ed è “a parte” rispetto a chi marcia.

Questa situazione si muove solo dopo il Vaticano II. In linea teorica si muove molto, nella pratica molto meno. In ogni caso si muove in due direzioni. Da una parte il riequilibrio a favore del ruolo dei vescovi rispetto al vescovo di Roma. Dall’altra il tentativo di riattivare una prassi sinodale tipica delle prime fasi del cristianesimo, che di fatto si era annebbiata molto. Nella prima fase, fino al primo decennio dell’era GPII qualche passo si era fatto. Poi però, questa spinta si è come “sospesa”, fino a Francesco. L’abdicazione di BXVI da un colpo notevole alla solidità del modello monarchia di fatto, e lo stile di Francesco da il permesso a molte forze compresse dentro alla rigidità monarchica di uscire allo scoperto, chi a favore e chi contro, la ripresa del processo avviato dal Vaticano II.

Perciò,ora sembra esserci una monarchia che ha lasciato andare le briglia e lo sfilacciamento derivato mostra come le anime del cattolicesimo, sul tema del potere, siano molte, tanto che oggi sembra che un “cammino insieme” non ci sia. Agli estremi, da un lato chi si sbraccia e si dimena per “ricompattare i ranghi”, dall’altro chi si ferma a bordo sentiero convinto che non valga più camminare. Nel mezzo chi aspetta ancora dall’alto l’imput e nel frattempo sta fermo; chi prova timidamente ad occupare gli spazi aperti dalle briglia sciolte; altri che invece questo spazio lo occupano con sfrontatezza, fino a poter dire che il papa è eretico, senza che ciò produca effetti su di loro.

La creatività e la fedeltà allo Spirito Santo cosa ci può suggerire per costruire una forma di gestione del potere ecclesiale adeguata al modo con cui oggi i vangeli possono essere accolti? In un altro articolo proporrò alcune possibilità.

 

7 risposte a “Sinodo: quale gestione del potere nella Chiesa? (1)”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    La Chiesa prende dal quel potere che lo Spirito le concede: oggi vi sono guerre alla base di ogni problema che attanaglia l’umanità, lo scenario di isole dove vivono migliaia di uomini i raminghi in cerca di stabilità, fuggono per salvasi la vita. E guerre sono originate da bisogni diversi ma una cosa è certa, se vengono mantenuti campi di rifugiati sarà anche per salvaguardare altri interessi sconosciuti perché poco si sa da chi governa. I campi anche se non sono come quelli riferiti al passato, sono luoghi apparentemente liberi ma anche di tale povertà dove si consumano i più deboli. Chiesa una anche se di altra tradizione ma si fa più vigoroso il monito ai potenti della Terra silenti. Un Pietro ha svolto un compito come da mandato di Cristo, la difesa della umanita indigente. Un coraggio a affidato alla Parola a confronto delle armi bellich cui fanno ricorso governanti che si misurano in tale forza e potenza . Preghiamo lo Spirito perché prevalga la Sua saggezza

  2. Matteo De Matteis ha detto:

    È davvero importante sottolineare la questione del potere all’interno della Chiesa, il suo fondamento, il suo stile, le sue articolazioni… ma ho l’impressione che il clero (scusate la generalizzazione) non ne voglia parlare.
    Mi chiedo anche se non sia presuntuoso:
    – parlarne solo tra noi cattolici, senza chiedere consiglio agli altri cristiani che magari hanno più esperienza sinodale di noi, almeno su alcuni aspetti della questione (ortodossi, protestanti), anche se certamente hanno i loro difetti
    – non farci istruire dalle scienze che si occupano del tema del potere e dei corsi sociali (penso alla filosofia politica, alla sociologia, alla psicologia sociale…)

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    La Chiesa e tutto questo che noi stiamo vivendo: clero e popolo di Dio e guardiamo e ci raduniamo ad ascoltare il Maestro che è venuto, che ci ha lasciato pescatori di uomini a continuare l’opera sua, e non vi sono altri all’infuori di loro perché sono distributori della Sua Parola, designati a questo. Il popolo è libero, invitato a seguire “la Parola di vita”. Il Santo Padre ne sta dando esempio, parla, non ha paura di dire ciò che vede e i problemi dei poveri, “è il suo compito” ha detto,. Compito della Chiesa e di chi ne fa parte e dare pienezza concreta al predicato, non ha senso oggi perdere tempo perché sono i bisogni della società itinerante che bussano alla porta di quella stabile, chiusa in se stessa, che non ha interesse a vedere ciò che accade fuori dalla sua porta. Agire, sembra l’invito di Papa Francesco che proprio a onorare il Natale è partito a depositare un suo umanissimo dono, la Parola che è scesa in Terra per questo.

  4. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Modello di rif.to?
    Potere?
    Sistema bloccato??
    Certo, xchè chiuso e autoreferente.
    Auto? Su che? Quali ref se manco Cristo si vede o Meglio si intra_vede?
    Sapete quale è imo l’unica via di uscita??
    Rovesciare complletamente la piramiide.
    Ripartire da gruppi di base.
    Possibile?
    Sicuramente impossibile, allo stato attuale..
    Quindi…

  5. Dario Busolini ha detto:

    Bella sintesi anche se l’organizzazione storica della Chiesa, in fondo, si è evoluta e continua ad evolversi parallelamente ai modelli di quella sociale: nel Medioevo l’autorità spirituale del Papa era fortissima ma il suo potere politico limitato, come quello dei sovrani dei nascenti stati nazionali ancora condizionati da feudalesimo ed oligarchie. Nell’età moderna il Papa è diventato un sovrano assoluto ma ha cominciato a perdere l’autorità spirituale che dal 1870 in poi spera di poter recuperare rinunciando faticosamente ma progressivamente al potere con esiti molto incerti. Oggi manca un modello di riferimento: quello monarchico è storicamente sorpassato, quello democratico, al quale la sinodalità dovrebbe ispirarsi almeno in parte, appare anch’esso in crisi per cui non sapendo come poter effettivamente camminare insieme rischiamo di rimanere fermi paralizzati dalla paura e dall’incertezza.

    • Ettore Cavalca ha detto:

      Dalla ricostruzione storica dell’articolo mi pare evidente che c’è stato un passaggio forzato: da una guida in cui i fedeli si riconoscono a un capo scelto da altri senza preoccuparsi che sia espressione dei fedeli. Da vicario di Pietro a vicario di Cristo. Non possiamo accumunare tutti i passaggi storici come fallimenti di ugual portata. Certo, occorre individuare strade nuove ed adeguate, ma non necessariamente “buttando” in toto le esperienze fatte. Magari basta correggerle e migliorarle, restituendo la dignità che Cristo ha riconosciuto a TUTTE le donne e a TUTTI gli uomini, amandoli “fino alla fine” senza nessuna differenza.

    • Alessandro Taiola ha detto:

      Oggi manca un modello di riferimento: nè il monarchico nè quello democratico sembrano soddisfare tutti i criteri; lo penso anch’io, ma la paralisi si determina e le comunità cristiane si indeboliscono, lasciando che l’importante messaggio del Vangelo per convivere bene e pacificamente su questo pianeta sia trascurato. Ci si salva qui ma anche nell’Aldilà aderendo al messaggio evangelico: il modello di riferimento potrebbe anche essere un mix, laici e vescovi nella democrazia più avanzata e vescovi e papa nella “monarchia” meno spinta. Non capisco per nulla l’esistenza dei cardinali ed alti prelati. Con conti correnti e trasparenza a dir poco dubbi! il popolo di dio, i vescovi sinodali davvero, niente cardinali ed il papa. Ci avvicineremmo meglio agli atti degli apostoli (praticabili quando davvero si era in pochi, oggi….). Che ne pensa sig. Dario? e il redattore dell’articolo? grazie

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