Sinodo: don abbondio e i rompiscatole

Il sinodo deve nascere dal basso. Una parola per nulla praticata nella Chiesa.
31 Agosto 2021

Dal basso! Tutti coloro con cui ho potuto discutere sul sinodo della Chiesa italiana dichiarano questo mantra. Il sinodo deve nascere dal basso. Una parola! Una parola per nulla praticata nella Chiesa. E già nel suo primo passo assolutamente iniziale, il sinodo nasce dall’alto, dal culmine della piramide che si ipotizza quando si parla di alto e basso.

Fu, infatti, papa Francesco a richiamare, sospingere e quasi obbligare i vescovi italiani, a Firenze nel 2015, a indire il sinodo. In questi sei anni la questione è rimasta molto a “galleggiare” fino a che la Cei si è decisa a far partire ufficialmente il “tempo” del sinodo. Cioè dal gradino più alto si è scesi ad un gradino inferiore. Ora l’idea sembra galleggiare nel gradino inferiore, fino a quando probabilmente scenderà nel terzo gradino: le singole diocesi. E spesso, per esperienze passate, è in questo passaggio che prende maggiormente corpo il fatto che il sinodo sia dall’alto. Alla diocesi infatti, di solito, arrivano indicazioni ben precise e dettagliate sul quando, il come, il dove, il chi e il cosa.

Infatti la macchina si è già messa in moto in questo senso. A fine maggio il card. Bassetti ha dichiarato pubblicamente che l’agenda del sinodo è già chiara: “i problemi di fondo della nostra gente sono la solitudine, sono l’educazione dei figlioli che non si sa più da che parte rifarsi, quindi la Chiesa deve essere una madre che educa, sono i problemi di chi non arriva in fondo al mese perché non ha il lavoro, sono i problemi di una immaturità affettiva che portano le famiglie a disgregarsi. Noi affronteremo tutti questi problemi”.

Non entro nel merito del temi. Quello che è rilevante è che il presidente della Cei abbia già deciso di cosa debba parlare il sinodo. Se non è sinodo dall’alto questo? Il bello della faccenda è che si cerca di coniugare questa impostazione con una timida apertura alla possibilità che anche i fedeli laici di ogni diocesi possano esprimersi. L’idea infatti sarebbe quella di sinodo cosiddetto “diffuso”, prima della assemblea ordinaria dei vescovi in vaticano ne sia l’atto definitivo.

Qualche decina di associazioni, gruppi e movimenti ecclesiali italiani hanno scritto a Bassetti per auspicare “che il percorso sinodale sia il più aperto, inclusivo e partecipativo possibile, coinvolgendo non solo chi frequenta abitualmente le nostre parrocchie e associazioni, ma pure quanti, per diverse ragioni sono stati messi ai margini o si sono allontanati dalle nostre strutture pastorali”. Per  innescare questa conversione pastorale sempre invocata è necessario “un processo di profondo ascolto, di autentica discussione, di dialogo sincero, di ricerca comune e di deliberazione condivisa, che implichi tutte le componenti del corpo ecclesiale e tutte le voci (comprese quelle ferite o critiche e interpellando anche i fratelli e le sorelle delle altre Chiese cristiane), chiamate a esprimersi su un piano di parità, con piena libertà e senza argomenti ‘proibiti’.

Per questo essi si augurano “una consultazione che parta dal basso, comunità per comunità, diocesi per diocesi, ecc. per costruire un consenso forgiato a partire dalle esperienze, dalle preoccupazioni, dalle proposte emergenti dalla base ecclesiale, e destinato a tradursi in decisioni assunte di comune accordo”.

Belle parole, ma lo strumento operativo è già stato pensato e viene dall’alto: sarà elaborata – dichiara Basetti – una sorta di Instrumentum laboris. Un documento agile, proposto dai vescovi, che giungerà in tutte le diocesi e le parrocchie, autentici attori dell’itinerario, chiamate ad analizzare il presente e a offrire proposte concrete per il domani”. E ciò che nell’istrumentum non c’è? E ciò che sarà pensato e proposto non in linea con l’istrumentum?

L’ascolto del popolo di Dio è un’attitudine, uno stile, che non si improvvisa con uno strumento, ma si affina col tempo dedicato alle relazioni concrete con la gente. Quanti cardinali e vescovi si prendono il tempo di farlo? E soprattutto, quanti cardinali e vescovi hanno la propensione di base a immaginare che qualcosa di sensato sulla fede possa venire anche dal popolo di Dio?

Mia ipotesi, credo realista: in qualche diocesi la consultazione locale potrebbe anche portare ad un risveglio di partecipazione ecclesiale effettiva; a livello macro però credo che ciò non sarà la maggioranza dei casi. Le indicazioni provenienti dalla base saranno prontamente assunte dentro a un testo, la cui prospettiva però  le neutralizzerà il più possibile. Perché un sinodo fatto in condizioni di paura e di crisi difficilmente smentisce con coraggio il contesto di partenza. Don Abbondio docet!

Ora credo che quei fedeli (laici e consacrati) che sentono forte l’esigenza di non farlo finire così abbiano il dovere morale di trovare tutti i modi per “esserci” e per pungolare, criticare, proporre alternative, facendosi sentire in ogni luogo possibile e a tutti i livelli possibili. Forse esiste anche il carisma del rompiscatole.

12 risposte a “Sinodo: don abbondio e i rompiscatole”

  1. Davide Corallini ha detto:

    Concordo con @Giulio…dove noi facciamo le righe storte, Dio scrive dritto. Per quanto sembri un cammino arruffato e poco preparato, darà frutti. Non pensiamo che tutto dipenda esclusivamente da noi su questa terra.

    • Francesco Zanchini di Castiglionchio ha detto:

      La proposta di un sinodo che salga dal basso è un sovvertimento dello stato di cose presente nella Chiesa cattolica così come oggi risulta costituita, per tradimenti successivi dei quali è inutile qui ripercorrere il fatale succedersi. Vero è solo che ai figli del Regno è stato comunque detto che il grano e il loglio debbono convivere, e crescere insieme, fino alla mietitura. Ma è vero, profondamente: “dove noi facciamo le righe storte, Dio scrive dritto”. Il che non significa lasciar fare tutto a Lui, altrimenti la Pasqua non avrebbe certo inaugurato una nuova storia, convocandovi i popoli. Sradicare un costume autoritario di gestione discendente, provvidenzialistica e farisaica dell’annuncio cristiano universalmente finora accettato non è cosa da dichiarazione di diritti o da prese della Bastiglia. Ma già proporsi l’utopia mancata dal Gesù storico non è croce da poco.

  2. Giulio Palanga ha detto:

    I rischi ci sono come sempre. Ma mi sembra che lei si fasci la testa prima di rompersela. Uno strumento di lavoro è necessario per cucire le riflessioni e le “anime” ecclesiali. Naturalmente deve essere aperto e snello. Abbia più fiducia nell’azione dello spirito di Dio

    • gilberto borghi ha detto:

      Io credo molto nello Spirito Santo tanto che sono convinto che, oltre a parlare per mezzo della gerarchia, parli anche per mezzo del popolo di Dio. E ho provato ad indicare un canale con cui dare voce allo Spirito nel popolo: il ministero del rompiscatole

  3. Paola Chiavacci ha detto:

    Probabilmente anche io ho il carisma del rompiscatole e condivido parte di ciò che è stato scritto nell articolo, volevo però fare una precisazione: la Chiesa è composta da tutti i battezzati, tutti noi siamo Chiesa. Perciò tutti dobbiamo darci da fare a partire dai genitori con i propri figli fino ad arrivare ai vescovi e al papa. Tutti siamo Chiesa perciò basta additare la Chiesa come fosse una cosa estranea a noi oppure una cosa di élite per pochi vescovi. Siamo Chiesa corpo di Cristo e Cristo è il capo di questo corpo. Perfavore pensateci. Grazie.

  4. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma perché non pensare che in fondo dei conti si sia già partiti dal basso, già in calendario i problemi che si vivono al basso, e con parrocchie chiuse, sono già noti i nodi di un rosario di drammi incombenti la società tutta e non soltanto dei laici impegnati a preparare l’elenco. Del resto, da chi possono discendere o ci si aspettano lumi? Non è che si ragiona come sta avvenendo nei talks dopo il TG, si criticano le direttive del primo ministro come imposizioni e non un già avvenuto sondaggio. Forse anche mossi dalla fretta per il pressante succedere di novità che proprio nel basso si vivono, problemi sanitari e del pane quotidiano. Forse per questo manca il tempo per fare è decidere cose come è stato nel passato, la stanchezza prossima al collasso, sentita gia salente dalle periferie interroga e abbisogna di risposte non più rimandabili a un domani. Importante sarà lì l’intervento e la presenza compartecipata al cosa è come meglio sia più necessario fare

  5. Luca Crippa ha detto:

    Preoccupazioni più che sensate e prudenti. Quando si è già deciso quali sono “i temi importanti” si sono già immaginate le risposte. E poi: perché, ad esempio, dovrebbe essere la Chiesa a trovare soluzioni (strutturali!) perché le famiglie arrivino a fine mese?

  6. Franco Rosada ha detto:

    Ecco una bella riflessione sui risultati della consultazione che la Chiesa che è in Torino ha fatto nel corso del suo sinodo: https://www.diocesi.torino.it/wp-content/uploads/2021/05/ALBARELLO_Duilio_relazione_AssDiocTorino_-28maggio2021.pdf
    Mi sembrano utili per iniziare un discorso dal basso anche in altre realtà.

    • gilberto borghi ha detto:

      Grazie mille della indicazione. Vedremo come queste indicazioni potranno essere assunte nelle decisioni finali…

  7. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Mi sembra evidente che qualcuno ha PAURA e crea muri e viscosità.
    CHI ha paura,??
    DI COSA ha paura??
    COSA teme di perdere?
    che cambi??

  8. Roberto Beretta ha detto:

    Leggo che nel programma stabilito dall’alto il sinodo in realtà è già cominciato “da tre mesi”… e noi non ce ne eravamo manco accorti! Ora abbiamo tempo fino alla fine dell’anno perché i “gruppi sinodali” ancora da costituire in ogni diocesi dicano la loro, e per di più coordinandosi con l’imminente sinodo dei vescovi, poi nel 2022 sarà già stilata l’agenda dei temi da discutere da “color che sanno”. Che dire? Dopo 5 anni di inazione, che sprint…

    • Leila Mariani ha detto:

      Beretta, si chiama contropiede… In modo che ci si trovi già con la pappa pronta da ingurgitare e digerire in circa altri 50 anni

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