Siku Za Mbele ovvero “I giorni che verranno” e quei giovani “eretici”

L'indomani della Giornata Missionaria Mondiale Andrea Ferraù, un giovane universitario siciliano, racconta la propria esperienza missionaria estiva in Tanzania
22 Ottobre 2024

Eresia viene dal greco e vuol dire scelta. Eretico è la persona che sceglie e, in questo senso è colui che più della verità ama la ricerca della verità. E allora io ve lo auguro di cuore questo coraggio dell’eresia. Vi auguro l’eresia dei fatti prima che delle parole, l’eresia della coerenza, del coraggio, della gratuità, della responsabilità e dell’impegno. Oggi è eretico chi mette la propria libertà al servizio degli altri. Chi impegna la propria libertà per chi ancora libero non è. Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa. Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie. Chi non pensa che la povertà sia una fatalità. Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza. Eretico è chi ha il coraggio di avere più coraggio.

Avevo riletto da poco queste parole di Don Luigi Ciotti (Fondatore del Gruppo Abele e di Libera), quando ho ascoltato il racconto di Andrea Ferraù, un giovane di 21 anni al quarto anno di Giurisprudenza all’Università degli Studi di Catania, che ha vissuto d’estate una significativa esperienza di volontariato missionario sorta all’interno di un cammino nell’Opus Dei. Mi è parsa nella sua semplicità una “storia eretica”, ancor più se vissuta alla sua età e ora mi piace condividerla nel mese missionario e all’indomani della Giornata Missionaria Mondiale:

«Grazie alla Fondazione RUI (Residenze Universitarie Internazionali), un anno fa, fui messo in contatto con l’onlus Golfini Rossi ETS, associazione non profit, così chiamata per ricordare le divise delle scuole primarie in Tanzania. Durante il primo incontro, da remoto, mi proposero di partire insieme ad altri studenti universitari per un viaggio di volontariato in Tanzania. Fu così che il 27 luglio 2024 sono partito da Catania con destinazione Mvimwa (Tanzania). Dopo oltre 48 ore di viaggio, sono giunto nella regione di Rukwa a sud-est della Tanzania, la zona più povera dell’intera nazione. Giunti a destinazione, circa 15 studenti tutti under 26, siamo stati ospitati presso il Monastero Benedettino di Mvimwa, con più di 100 monaci al suo interno. Sistemati nel Monastero, siamo stati divisi in tre macrogruppi formati da medici, ingegneri e da altri universitari (studenti di economia, design, matematica; e infine io, unico giurista). Contrariamente alle abitudini italiane, le giornate iniziavano alle 6 con il risveglio delle campane, ancor prima che albeggiasse; insieme alle campane, la nostra sveglia era accompagnata dal canto dei monaci. Dopo una breve messa e la colazione, il gruppo si divideva per iniziare la giornata lavorativa.

Io, unitamente ai non medici, mi sono occupato di esaminare i terreni circostanti il monastero per individuare spazio idoneo alla coltivazione di erbe galeniche, ossia piante o alberi i cui frutti o foglie vengono utilizzati in ambito farmaceutico o alimentare; ulteriore attività a questa correlata fu quella raccogliere video e testimonianze che potessero promuovere il monastero per futuri viaggi di volontariato oppure per raccogliere fondi utili per sostenere le iniziative dei monaci. Il territorio vicino al monastero è abitato da migliaia di persone; prevalentemente giovani, con una buona cura dell’igiene ma una pessima abitudine alimentare. Il cibo più consumato è la canna da zucchero, coltivata nell’ambiente circostante; questo alimento, che non viene ingerito ma solo masticato, determina tutta una serie di controindicazioni facilmente intuibili (carie dentarie, aumento esponenziale degli zuccheri nel sangue, diabete e altro). Proprio per proporre un’alternativa alla canna da zucchero, il progetto esaminato prevede una estesa piantagione di moringa; pianta ricca di proteine che consentirebbe un più che corretto equilibrio alimentare.

La breve vita “monacale”, con il mitico Ponsiano (monaco responsabile degli ospiti, con cui mi sento telefonicamente ogni settimana) e con gli altri monaci, è stata condita da momenti molto divertenti; abbiamo ascoltato musiche locali e ballato con i bimbi del luogo; ma anche da momenti formativi, trascorrendo molto tempo con i bambini e con i malati, anche gravi. Gli studenti di medicina del gruppo, tutti abbastanza grandi, hanno avuto modo di affiancare l’unico medico presente nell’assistenza ai malati. Il primo giorno di ambulatorio si sono presentati oltre 60 malati, nell’intero periodo sono stati più di 300.

Posso ben dire che sono stati 15 giorni meravigliosi che resteranno per sempre impressi nella mia memoria. L’idea di “spingersi oltre”, uscendo dalla propria comfort zone, e aiutando veramente il prossimo, sarà l’obiettivo dei prossimi anni per me. Un giorno parlando con i monaci di come vedono il futuro di questa loro terra ci è venuto di chiedergli quale fosse il modo per dire “futuro” in Swahili e loro, divertiti dalla domanda, ci hanno spiegato che non c’è una vera e propria traduzione letterale, ma tendono a tradurla come “I giorni che verranno”, “Siku Za Mbele”. E allora, con lo spirito differente e rinnovato, da oggi guarderò il futuro con l’idea tanzaniana del “Siku Za Mbele”; sapendo che la qualità de “i giorni che verranno” nel mondo dipende molto da ciascuno di noi e dal nostro impegno».

 

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