Vinonuovo è, ed è stato, per me uno dei regali più belli che la vita mi ha fatto ultimamente. Non sono un operaio della prima ora, ma ho ricevuto molto più di quello che ho dato. Soprattutto mi è stato permesso, attraverso Vinonuovo e ciò che da lì è nato, di avere uno sguardo sul mondo ecclesiale, per me assolutamente inedito.
Così mi sono fatto una idea del cambiamento che forse è avvenuto in questi anni nel dibattito ecclesiale. Io lo riassumo con due metafore. La prima: si è scoperchiato il “vaso di Pandora”. Almeno per i piani alti della Chiesa. E’ come se qualcosa o meglio “Qualcuno” avesse deciso di scoperchiare un intero mondo, quello ecclesiastico, affinché sia chi ne sta fuori, o così afferma, sia chi ne fa parte, potesse cogliere in modo molto più esplicito, la dimensione umana degli uomini e donne di Chiesa. E’ evidente che io mi annovero tra coloro che sono contenti di questa “scoperchiatura” del vaso. Anche perché, a differenza dell’originale vaso antico, quello ecclesiastico non è mai stato realmente “impermeabile”, né sul versante dei limiti, né su quello dei pregi. Perciò, molto meglio esplicitare che occultare.
Ovvio che questo ha portato a galla molto di ciò che fino a qualche tempo fa restava chiuso dentro le “sacre stanze”. Nel bene e nel male. Ma l’umanità delle persone che vivono la Chiesa è questa, già in via di salvezza e non ancora salvati pienamente. Perciò io non mi stupisco, né mi scandalizzo, se alcuni cardinali sono finiti sotto processo per i loro peccati e reati, pesantissimi. Non mi meraviglio se alcuni cardinali arrivano a dire pubblicamente, abbastanza fuori dalle righe, che il papa forse è eretico e andrebbe deposto (esagero, ma per far capire). Né mi sono sconvolto di fronte alla rinuncia di Benedetto XVI. Non mi sposta più di tanto che chi è dentro la Chiesa, fortemente in opposizione alla linea di Francesco, ora mostri le proprie idee allo scoperto, senza più troppi infingimenti. “La verità vi farà liberi” e “dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà”. Ai piani alti, quelli della nomenclatura ecclesiastica, perciò credo che questa stagione di dialogo e scontro aperto, spesso senza esclusioni di colpi, sia un modo per purificare dalla paura della Verità che spesso, troppo spesso, in passato ha albergato nelle “sacre stanze”.
Mi chiedo però anche: “ai piani bassi, quelli della vita quotidiana delle parrocchie e dei fedeli comuni, cosa è cambiato in termini di dialogo? C’è stato un vero e proprio scoperchiamento del “vaso”?. L’impressione che ho è molto diversa e la traduco con la seconda metafora: uno “spaesamento produttivo”. Lo scontro, più che il dialogo, che fino alla metà degli anni ’80 si configurava, nelle parrocchie, nei movimenti, nelle associazioni, come la dialettica interna dei cattolici, cioè il “come” della presenza e del rapporto con la società e la politica, è radicalmente scomparso, se non per qualche piccola nicchia ancora attiva.
L’arrivo della post-modernità ha fatto piazza pulita delle “ideologizzazioni” del cristianesimo, modificando anche la secolarizzazione, che oggi ritorna alla grande ad ammettere il vissuto religioso e di fede. Il centro di attenzione quotidiano del fedele si è spostato sul proprio vissuto e non più sull’attenzione a ciò che arriva dai piani alti della Chiesa. Di fronte a questo, nei piani bassi, nei parroci, negli operai di “parrocchia”, in molti vescovi, lo spaesamento è evidente. Qualcuno se ne è preso paura, si è arroccato difensivamente a salvare una lettura di fede ormai “fuori dal tempo”, chiudendo qualsiasi canale di dialogo, sia con chi è fuori, sia con chi è dentro la Chiesa. Forse perdendo l’opportunità di rendere produttivo questo tempo. Altri invece ci stanno provando. Si sono resi conto che il fronte caldo si è spostato sul rapporto tra fede individuale e dimensione ecclesiale del credere, e ci provano ad aprire un canale. Ma spesso qui, si evidenzia una mancanza di strumenti di dialogo e soprattutto una antropologia ancora molto rigida e astratta, che impedisce, nella maggioranza dei casi, di trovare il senso dello spaesamento e di mettersi davvero in ascolto del singolo fedele, per aprire realmente un dialogo efficace. E così si resta in mezzo al guado. Altri, pochi, hanno dato credito alla presenza dello Spirito Santo dentro a questo cambiamento epocale e hanno accettato di farsi condurre, sulle “strade” dell’uomo di oggi, navigando a vista, stando dentro allo spaesamento senza dover per forza trovarne un senso ora, e fidandosi di Dio. Così lentamente stanno trovando modi e forme che sembrano costruire ponti nuovi e possibili tra vangelo e post – modernità.
In questa situazione il mondo virtuale dei social sembra essere luogo di entrambi questi livelli. Ci si trova l’eco degli scontri dei livelli alti (soprattutto nei blog e siti preoccupati di salvare la tradizione), ma c’è anche spazio per le testimonianze ed esperienze che salgono dal “magmatico” mondo dei livelli bassi (soprattutto il quei social più aperti alla novità del cambiamento). Ecco, secondo me, forse la grande possibilità che hanno oggi i social in questo quadro è quella di essere cassa di risonanza del dato di realtà ecclesiale, ma al tempo stesso vaglio critico, che vuole promuove una ricucitura tra i livelli e tra queste anime cristiane. Credo che oggi non sia più tempo di far emergere e basta. E’ tempo di far emergere, filtrare e provare a ricucire. Perciò il dialogo va calibrato meglio, nell’accompagnare quello che succede, ed essere luogo di lenta ri-costruzione di una consapevolezza di fede cristiana più radicata in questo tempo.