Seminatore per i tempi di esodo

Spargeva seme buono, don Tonino Bello. Quello serve che a noi, suoi giovani, che il cambiamento d'epoca dobbiamo attraversarlo.
20 Aprile 2023

Solo stamattina ci ho pensato, caro don Tonino: ci separano esattamente trent’anni.

Ma no, non mi riferisco all’anniversario della tua dipartita, avvenuta trent’anni or sono. Trenta sono gli anni che ci separano all’anagrafe. E quindi, mese più, mese meno, oggi ho l’età che tu avevi quando te ne sei andato. Lo dicevamo allora ed oggi, che siamo diventati “coetanei”, lo ripeto a maggior ragione: troppo presto sei stato strappato a noi.

Ci sei mancato, non prendiamoci in giro, ed è impietoso il confronto generazionale.

Ce lo diciamo tante volte, mia moglie ed io, “siamo sempre gli stessi”, i giovani di trent’anni fa, quelli venuti a cantare gli auguri il giorno del tuo ultimo compleanno, solo che ora abbiamo i capelli bianchi e ci chiamano “Boomer”. Ci chiamano così, con distacco, compatimento, senza rabbia, spero; siamo gli ultimi giovani che sono diventati adulti con un morbido cuscino di garanzie sociali.

Questa cosa, che siamo sempre gli stessi, ce la diciamo negli incontri che avresti potuto convocare tu, sui temi che ti stavano tanto a cuore: la pace, gli ultimi, i vecchi e nuovi diseredati, le sfide planetarie. Tu, le chiese, le avevi riempite di giovani e noi, un po’ alla volta, abbiamo dilapidato tutto. Non siamo stati buoni “mediatori generazionali”. Proprio noi, che cantavamo quel 18 marzo 1993, e tutti gli altri a seguire, laici e preti, tutti in qualche modo ripiegati su sé stessi.

Se vogliamo dirla tutta, dobbiamo ricordare anche un’altra verità. Che era un altro mondo. Sotto il profilo demografico, ad esempio: in quei formidabili anni Ottanta, nei quali tu hai camminato in mezzo a noi, la percentuale di popolazione giovane era decisamente più alta. Poi, per la denatalità e l’emigrazione dal Sud verso il Nord (e il resto del mondo), ci ritroviamo in una società dove giovani e, ancor più, i bambini sono merce rara, non solo nelle chiese. Tu, più alto di una spanna, vedevi lontano e qualche dinamica già la scorgevi: le lacerazioni nel tessuto sociale, i primi segni di indifferenza religiosa, le guerre mai finite. Ma allora c’erano le chiese ancora piene, per tradizione, per convenzione, e giustamente ci invitavi ad uscire. Oggi, al contrario, le chiese vuote sono tema frequente di conversazione (e si parla poco del resto).

E noi, i giovani di allora, cosa abbiamo fatto? Di certo, tante cose buone. Potrei ricordare quelli, non pochi, che hanno dato un contributo alla vita politica e sociale, anche in forme apparentemente marginali: il volontariato, le iniziative di solidarietà, le idee tenute in circolo. Tengo per me il bilancio personale; spero di essere riuscito almeno a balbettare qualche parola buona, eco del Vangelo di cui tu sei stato testimone credibile.

Più complicato un bilancio comunitario; sarei tentato di dire che vedo tentennamenti, esitazioni e qualche arretramento. Nel precipitare dei cambiamenti siamo rimasti travolti, come se sorpresi dalla rapidità e impreparati; e il buon Dio ci ha mandato Francesco per darci qualche dritta, per farci guardare avanti e non ripetere stancamente e vanamente quello che si è sempre fatto.

E sai cosa penso, caro don Tonino? che indipendentemente da quello che si è fatto e si faccia, in qualsiasi ambito, noi, giovani di trenta anni fa, dobbiamo essere i forti, quelli che custodiscono non la memoria ma le speranze, apparentemente deboli, flebili, eppure invincibili, come la candelina sulla torta che, a dispetto del soffio, non si vuole spegnere. Noi siamo quelli che il cambiamento d’epoca devono attraversarlo. Siamo stati bambini negli ultimi anni di cristianità e, se Dio vorrà, diventeremo vecchi in un mondo secolarizzato, il mondo dell’irrilevanza cristiana. Per questo ci servivano radici salde e tu ce le hai date.

Ci risentiamo in qualche prossimo anniversario tondo, a Dio piacendo, quando sarò diventato più vecchio di te. Ti racconteremo a parole nostre come è andata… Tu, in Dio, lo vedi già. E intanto, seminatore e pastore per i tempi dell’esodo, continua a starci vicino.

Una risposta a “Seminatore per i tempi di esodo”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    E’ bello ricordare persone che hanno lasciato segno e averne caro il ricordo, un seme sparso per essere dai posteri coltivato. In questi gg. La stampa riporta di vivaci contrasti dialettici tra politici circa date di storia passata da festeggiare ma che sollevano rimostranze incomprensibili se pretese ancora nell’oggi . Con tutti i problemi in attesa di difficili soluzioni, povertà alle porte di tanti, il clima il cui cambiamento già sta provocando danni alla agricoltura il cittadino si domanda se ancora vi sia coscienza riguardo a come vivere e affrontare il presente

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