“Se me l’avessero detto…”

Sulla bambina battezzata dal Papa, figlia di genitori sposati solo civilmente. E su una prospettiva ecclesiale (e non individualista) dei sacramenti.
15 Gennaio 2014

Mi occupo di catechesi dal settembre del 1986. Ho incontrato e incontro tanti bambini e genitori, negli ultimi anni prevalentemente i secondi, con i quali di solito dialogo nei percorsi verso i sacramenti dell’Iniziazione Cristiana che chiedono per i figli.

Nella nostra realtà pastorale, abbastanza distante dai grandi centri urbani, praticamente la totalità dei bambini viene a catechismo e accede ai Sacramenti, qualunque sia la situazione delle loro famiglie, che presentano sempre più spesso problemi legati alla fragilità del matrimonio, o casi di matrimoni civili o convivenze. Ma anche quando questo non avviene, la situazione apparentemente quieta di una famiglia non costituisce automaticamente garanzia di una coerente vita di fede. Eppure…

Tante volte i catechisti in formazione che incontro lamentano l’atteggiamento di troppi genitori, che scaricano i bambini in parrocchia con un’apparente delega in bianco delle responsabilità, e  spesso mi sento chiedere come fare perché siano più sensibili, più partecipi. Eppure…

Domenica 12 gennaio papa Francesco ha conferito il Battesimo a Giulia, figlia di una coppia di genitori uniti dal matrimonio civile. Questo fatto ha suscitato una marea di commenti, e molti temono che tale scelta possa avere l’effetto di svilire l’importanza del sacramento del Matrimonio. Eppure…

…eppure io che mi pongo le stesse domande di tutti ho guadagnato, per la singolare grazia che il Signore mi ha fatto in quel settembre del 1986, una prospettiva diversa da cui considerare le cose. Mi è successo tante volte, ma proprio tante, di sentirmi dire dai genitori, al termine del cammino di formazione: “Se mi avessero detto che il cristianesimo era questo, mi sarei riavvicinata prima!” “Se me l’avessero detto, non ci avrei creduto: questo percorso è stato una grande grazia per la nostra famiglia!” “Andiamo a messa tutte le domeniche, e ci andiamo volentieri! Quando mia madre lo ha scoperto non voleva crederci e le veniva quasi da piangere”.

E’ in questa prospettiva che ho imparato a leggere le tante storie che incrocio. Il cammino verso i sacramenti dei figli è sempre una grande grazia per la famiglia che lo intraprende, perché i sacramenti non sono solo un punto di arrivo, non sono il premio dei buoni: sono anche, forse soprattutto, un punto di partenza.

In fondo lo diciamo chiaramente, da molti secoli, con la prassi del Battesimo ai bambini: il sacramento è un inizio, l’ingresso in un cammino che potrà condurre o meno alla consapevole adesione personale a Cristo, ma che viene offerto comunque, nella fede della Chiesa. Perché è quella ecclesiale la prospettiva che dobbiamo riguadagnare. Chiusi nell’individualismo contemporaneo, o nell’asfittica visione della coppia conclusa in se stessa (non è qui la radice di tante sterilità esistenziali?) dimentichiamo che ciascun cristiano è parte della Chiesa, del popolo santo di Dio, unito in Cristo. E che a ciascuno è affidata la responsabilità di testimoniare, annunciare, rendere ragione, così da consentire a Cristo di raggiungere, sostenere, consolare anche coloro nei quali la fede è uno stoppino dalla fiamma smorta (Is 42,3). I sacramenti sono la porta appena dischiusa al soffio dello Spirito, che con la Sua forza può spalancarla e aprire nuove vie all’incontro con Cristo Signore, ma di questa azione silenziosa e potente proprio noi, noi che ci diciamo cristiani, noi che siamo Chiesa, siamo i primi collaboratori.

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