Se la parrocchia «chiude per ferie»

Non ci sono più le stagioni di una volta. E bisognerebbe prenderne atto anche nelle verifiche pastorali
8 Giugno 2010

«Chiusa per ferie (dei parrocchiani)».  A qualcuno viene la tentazione di affiggere sulla porta della chiesa questo laconico avviso, quando ai primi di giugno l’assemblea domenicale si presenta già dimezzata e brilla per le assenze. Come se con la consegna delle pagelle fossero fatalmente terminate anche le lezioni alla scuola del Vangelo  e  la festa parrocchiale avesse sancito un mesto congedo: «…andate in pace», e arrivederci a settembre.
Tanto che qualche parroco, avvertendo una sorta di sindrome da nido vuoto, già nelle settimane di maggio ha provato dal pulpito a prevenire il clima da «rompiamo le righe». «La vita di fede non dipende dal calendario scolastico – ha ricordato – la campanella non suona per noi».
Sarà logoro, ma il luogo comune vale anche per la pastorale: non ci sono più le stagioni di una volta. Tra il prenderne atto e il correre ai ripari, il tema merita di entrare nell’ordine del giorno delle verifiche pastorali e nel dopo-pizza dei catechisti. «Noi ci arrabattiamo a condensare tutto in otto mesi: feste, gite, sacramenti. Ma gli altri quattro? Vuoto pneumatico?» protestano i consiglieri dai capelli bianchi, memori dei «bei tempi andati» in cui le famiglie non si disperdevano d’estate,  desaparecide.
Al contrario, i promotori degli affollati Grest di giugno o settembre o degli inossidabili campi estivi offrono alle famiglie sprazzi  di vita comunitaria talvolta più produttivi di un intero anno di riunioni, riabilitando le settimane-cuscinetto prima e dopo il lungo sonno estivo. Cambia la pedalata, ma non s’interrompe  di fatto il ritmo. La carovana parrocchiale cadenza solo l’andatura sulle possibilità e lo sforzo dei suoi membri, senza girare a vuoto ma dosando le energie.
Applicando un saggio federalismo pastorale, molte comunità hanno adattato le tappe al proprio contesto, come evidenzierebbe un panoramico Giro d’Italia:  ecco lassù la parrocchia alpina ad alta vocazione turistica (tutti i genitori impegnati negli alberghi sette giorni su sette), che sceglie di riservare i mesi di novembre o quello di aprile per le proposte più significative. O la parrocchia marina che s’impegna ad aggiornare la sagra patronale, con proposte spiritualmente esigenti rivolte proprio ai villeggianti.
Troppo apocalittici o troppo integrati? È tutt’altro che inutile il confronto sulle scelte di fondo del calendario pastorale  (il «cogliere i segni dei tempi» del Vaticano II oggi vuol dire anche saper «cogliere i tempi») e non va risolto con rigide e colpevolizzanti prese di posizione.
Forse dovrebbero  essere meno sottovalutate le esigenze «interne» alle stesse famiglie: salvaguardiamo i rari spazi per una relazione «liberata nel tempo» tra genitori e figli! Al contrario, dovrebbero essere più valorizzate le loro possibilità di portare o ricevere una testimonianza di stile evangelico negli ambienti in cui trascorrono i vari segmenti d’estate.
Con la fiducia che il kairos, il momento di grazia, non dipende  soltanto dal planing strategico del Consiglio pastorale e può rivelarsi sempre anche in un impensabile «altrove». La distanza fisica dalla «propria» chiesa non comporta necessariamente distacco dall’appartenenza ecclesiale, anzi può essere vissuta con provvidenziale nostalgia. Al punto che quel dirsi in giugno «arrivederci» diventa l’inizio di un’attesa.

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