Prima di tutto è bene ricordare che il Codice di Camaldoli non fu propriamente un codice ma un documento di lavoro elaborato nel corso di un biennio, preparato da momenti formativi svoltisi negli anni difficili della guerra.
Preparato a lungo il documento nacque, come opera di più persone e idee, per dare concretezza all’impegno dei cattolici, esprimendo una idea antitetica e opposta che si esprimeva come antitesi dottrinale al fascismo e a tutti i totalitarismi. Fu infine messo in moto da quella salita nell’eremo dei monaci del Casentino nei giorni del bombardamento di Roma, il 19 luglio 1943, e la caduta nel Gran Consiglio di Benito Mussolini. Del contesto storico e della sua dimensione ricostruttiva a ottant’anni dalla sua redazione si è parlato in questi giorni presso il cuore dell’esperienza di San Romualdo con la presenza inedita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella salito sul colle per ascoltare. L’hanno accolto i monaci, il presidente della Cei Matteo Zuppi, gli storici, i giuristi e le persone diverse per provenienza geografica e generazionale a una tre giorni intensa e piena di spunti.
Del convegno sugli ottant’anni del Codice di Camaldoli, organizzato dalla Cei, dalla comunità di Camaldoli e da Toscana Oggi nel monastero toscano, si potrebbe scrivere molto, per la qualità degli interventi e la profondità delle analisi. Ma ciò che resta di quella stagione e la memoria di un progetto storico ricostruttivo è un affidarsi coraggiosamente al nuovo, oltre l’idea del recupero di una cristianità perduta e pur dentro un contesto nel quale la rivisitazione moderna del pensiero tomista era ancora il retroterra culturale nel quale si muovevano i cattolici, ma dentro le tensioni del più feroce totalitarismo novecentesco. Alla presenza del capo dello Stato – Mattarella è stato il primo presidente a recarsi al monastero di Camaldoli – il presidente della Cei, il cardinale Zuppi, ha ricordato come «Il Codice di Camaldoli è diventato il simbolo della capacità di iniziativa dei cattolici per il futuro dell’Italia durante la guerra. Oggi siamo in una stagione in cui si sente il bisogno di una responsabilità civile maggiore. Per l’Italia, per l’Europa, per il mondo: tutto è incredibilmente connesso. Una ripartenza? Certo, non si può restare inerti».
Tuttavia, è necessario contestualizzare e riaffermare il momento storico in cui quel documento fu pensato e realizzato. A distanza di tanti anni, dopo rilanci e oblii, è giunto il tempo di smitizzare l’evento, contestualizzarlo nel suo tempo e soprattutto comprendere come esso risultò decisivo e importantissimo per il coraggio e la visione che molti uomini e tre donne, oltre che alcuni illuminati ecclesiastici, decisero di produrre come fogli di riflessioni in cui la concretezza si associava alla riflessione profonda sulla persona, la comunità, lo Stato, la famiglia, l’educazione, l’economia, insomma tutti gli aspetti della vita. Difficile elencare i nomi di tutti i redattori ed estensori del Codice di Camaldoli: sicuramente il regista su Sergio Paronetto, e poi Pasquale Saraceno, l’ispiratore Giovanni Battista Montini con la Fuci e i laureati con Aldo Moro, i giovani professori dell’Università Cattolica di padre Gemelli, Dossetti e La Pira, e poi Pergolesi, Baroni, Capograssi, Nosengo, Taviani, Angela Gotelli Aurelia Bobbo e i teologi Colombo, Guano, Ulpiano Lopez e i consultori romani. Un mondo composito che prima e dopo Camaldoli elaborò un testo che fu ripreso anche dalla Costituente, ma che era stato pensato, preparato, impostato nella sua visione ideale negli anni bui e drammatici del fascismo e della guerra. Nel tempo della guerra e della sua ventata di distruzione e di morte, la rivolta morale e la resistenza e la lotta di liberazione non furono, soprattutto dopo l’8 settembre, solo in armi, ma anche culturale, sociale, spirituale. E il Codice non fu un momento estemporaneo, come hanno ricordato gli storici Torresi, Persico, Bonini, Antonetti, Margotti, Guasco, Gabusi, Acanfora, Sergio, il teologo don Maffeis, i costituzionalisti Cartabia e De Siervo e ancora gli specialisti sui temi dell’economia Nerozzi e Chiappero Martinetti. Al contrario, dopo l’eclissi del popolarismo, ucciso dalla falce mussoliniana, con l’aiuto del mondo sturziano sopravvissuto come Spataro, si riuniscono anche altri cenacoli, quelli più vicina all’esperienza neoguelfa o dei cattolici comunisti di Ossicini, Balbo e Rodano e soprattutto le idee ricostruttive del futuro leader della nuova Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi, con i suoi amici. E in fondo, come ha affermato Cartabia, presidente emerito della Corte costituzionale e già ministro della Giustizia, giurista alla Bocconi di Milano, nella Costituzione di tutti l’apporto dei cattolici fu di fondamentale importanza ed infatti, loro più che le altre famiglie ideali approdate in Parlamento, quelle comunista, socialista, liberale, azionista, arrivarono preparati all’Assemblea costituente e il loro apporto fu decisivo nell’elaborazione della Carta.
Il Convegno si è concluso con la messa presieduta dal cardinale Parolin, segretario di Stato, che nell’omelia ha precisato come il contesto storico ed ecclesiale siano profondamenti diversi, ma «là eravamo dentro la catastrofe del fascismo e della guerra, alla vigilia della costituzione di quel che sarà il ‘Partito cattolico’». Sebbene ora si viva una situazione geopolitica totalmente diversa, «una inopinata guerra nel cuore dell’Europa sembra voler ravvivare macabre nostalgie totalitarie» e dunque come allora «Abbiamo bisogno di recuperare la passione dell’altro, il riconoscimento dell’altro, l’accoglienza dell’altri».
Oggi è tutto diverso: il mondo è cambiato, i testimoni sono scomparsi, l’epoca è cambiata. Resta l’ideale e il metodo e l’affidarsi all’ispirazione del vangelo, incarnato nella storia, come fecero allora i ragazzi di Camaldoli.