Quello che manca per fare comunione

Ai sacerdoti serve più fiducia nei loro fedeli, ai laici più coraggio di assumersi responsabilità. A tutti servirebbero comunità che sappiano pregare ed essere accoglienti per davvero
30 Giugno 2018

Quando è stato introdotto il tema di questo mese, mi è passato in un attimo il film delle tante persone incontrate nel mio percorso ecclesiale. La prima risposta è stata disincantata: non è rimasto niente o ben poco. Poi mi sono messo ad osservare. Ci sono semi di bene sparsi un poco dovunque nell’ordinario delle nostre comunità. Tante persone infatti si sforzano di vivere una fede vera e sincera. Si sforzano di praticarla al meglio che possono.
Del resto la domanda, come osservava un’amica, è malposta: se da un lato ci sono i praticanti che vivono un fede non autentica e dall’altro i non credenti che non la vivono, è la stessa immagine di Chiesa in uscita che potrebbe venire meno. Eppure è lo stesso Cristo ad indicarci il “non prevalebunt” che ci dà la speranza di una Chiesa che cammina nella storia. Vorrei spendere allora qualche parola costruttiva.
In effetti spesso i cosiddetti “non credenti” partecipano alla vita ordinaria delle comunità solo in occasione della celebrazione di una fede per lo più rituale. Spesso giudicano, senza riserve e negativamente, chi sta dentro e si impegna. Invece i cosiddetti praticanti spesso appaiono “non all’altezza” della testimonianza evangelica a cui sono chiamati. Pare allora dipanarsi un’immagine senza possibilità di vera e concreta comunione. Di evangelizzazione neanche a parlarne. La domanda allora io la porrei così: perché spesso le nostre comunità non sono e/o non appaiono luoghi credibili di una comunione possibile e di una testimonianza credibile del Vangelo? Non si tratta del livello personale di testimonianza, ma del livello di testimonianza della comunità. Ai più, aldilà delle intenzioni di chi le vive, le comunità appaiono stantie e spesso chiuse, refrattarie e mere dispensatrici di sacramenti. E’ questa la ragione della “malposta” domanda. Perché?!
Tutto a mio avviso si gioca sul rapporto tra clero e laici. Mi spiego. Troppo spesso le nostre comunità appaiono come ingessate e bloccate da inespresse paure: di dar fiducia e di aver coraggio. I laici non hanno coraggio di assumersi responsabilità e i sacerdoti tentennano nel dar fiducia. L’immagine che ne emerge non è di una comunità viva, bensì di un giro di relazioni che ruota attorno al parroco e laici di fiducia stretta. Mi disse una volta un anziano formatore dei seminari che spesso soprattutto i preti rimangono come “schiacciati” dal peso della propria responsabilità verso le coscienze dei fedeli. Ciò li induce a non avere fiducia nei laici fino in fondo. Sgravarsi di questo peso sarebbe un successo. E’ questo il senso di Amoris Laetitia quando papa Francesco afferma: “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”. Ecco spesso invece, nei sacerdoti potrebbe prevalere la tendenza a sostituire le coscienze dei praticanti e non quella di saper sapientemente attendere correggendo, aiutando e sostenendo i laici impegnati nelle nostre comunità. Questa poca fiducia nell’azione formativa dello Spirito trasforma i nostri praticanti in soldatini.
Specularmente noi laici spesso siamo poco coraggiosi. Ci comportiamo da manager della pastorale pretendendo di preservare le nostre sicurezze.Ci arrischiamo a giudicare i sacerdoti attribuendo medagliette e distintivi. Abbiamo in sostanza un atteggiamento di poco coraggio. Eppure lo stesso Concilio ci invita ad aver coraggio e fiducia nei sacerdoti quando afferma “Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale”. Noi invece abbiamo l’ardire di giudicare, senza aver l’umiltà di cogliere i semi di bene che Dio sparge a piene mani. Ma se Cristo ci ha promesso che le forze negative non prevarranno perchè sarà con noi tutti i giorni (non uno sì e l’altro no) fino alla fine del mondo, di cosa dovremmo mai aver paura?
In definitiva ai sacerdoti serve più fiducia, ai laici più coraggio. A tutti servirebbero comunità che sappiano pregare ed essere accoglienti per davvero. Nella mia esperienza ne ho viste di comunità che si sforzano di essere in questo modo. Quindi non scoraggiamoci! Della fede resterà tanto nell’ordinario delle nostre comunità, fino a quando avremo la forza di cercare il coraggio e la fiducia di affidarci l’uno all’altro e di porci qualche domanda.

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