Il 19 maggio scorso mi è giunta una lettera intestata al Reverendo Don Francesco Brescia. Erano una cinquantina di anni che non mi arrivava una lettera con tale intestazione! Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI, esprimeva il desiderio di incontrare a Bologna il 19 giugno “tutti i preti operai che hanno vissuto o stanno vivendo il loro ministero nei luoghi di lavoro”.
Dopo il referendum abrogativo della legge sul divorzio del 1974, che mi vide impegnato per la libertà di coscienza nella votazione, fui sospeso ‘a divinis’ e, successivamente, “ridotto” allo stato laicale. Intanto avevo svolto vari lavori per non dipendere economicamente dalla celebrazione dei sacramenti: in falegnameria, manovale in fabbrica di igienico sanitari, in comunità terapeutica per tossicodipendenti, a scuola come assistente per i ragazzi disabili…
Insomma, un bel po’ di lavori. E, come prete, ho prestato la mia opera in una comunità nata dalla vicenda del referendum, nella quale, insieme con altri due preti (Antonio Silvestri e Renato Cervo) ero richiesto per la celebrazione dei sacramenti. Antonio, Renato ed io eravamo sposati e partecipavano alla associazione dei preti sposati italiani Vocatio.
Ricevuto l’invito perché ero nell’elenco dei preti operai, sono andato volentieri a Bologna, anche per sentire dal cardinal Zuppi se nella nostra chiesa (latina) stesse cambiando qualcosa in merito alla legge dell’obbligatorietà del celibato per i preti.
Già un cambiamento era evidente in relazione al movimento dei preti operai, visti come il fumo negli occhi dalla posizione del S. Uffizio del 1959, nella quale si riteneva “il lavoro in fabbrica o nel cantiere incompatibile con la vita e gli obblighi sacerdotali”. Perché già il Vaticano II, sei anni dopo, affermava la possibilità per il prete di esercitare “un mestiere manuale, condividendo le condizioni di vita degli operai…”.
Nella relazione tenuta dal card. Zuppi, egli ha mostrato la sua vicinanza agli ideali che avevano spinto tanti di noi ad entrare nel mondo del lavoro per essere lavoratori “come loro”, sulla scia del libro del Piccolo Fratello di Charles de Foucault, Rene Voillaume.
Alcuni di noi si sono perciò presentati come preti operai (attualmente in pensione) sposati, ed è stato importante il fatto che, nel rispondere ai nostri interventi, il cardinale ha affermato che papa Francesco in un incontro aveva asserito di non aver ‘archiviato’ la questione.
Nonostante chi tra di noi sostensse che, invece, il problema era stato nei fatti ‘archiviato’, è emersa comunque la volontà di rivedersi da parte del nostro rappresentante Roberto Fiorini di Mantova, di don Bruno Bignami per l’ Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI e dello stesso card. Zuppi.
Interessante, infine, che nella concelebrazione eucaristica non ci sia stata differenza tra noi. Il nodo, allora, sarà sciolto in direzione di una chiesa di fratelli e sorelle intorno alla stessa tavola con il Nazareno o in un verticalismo gerarchico come era in passato ed è ancora adesso per tanti nostalgici?
Chi vivrà vedrà! Ma se prevarranno questi ultimi, ci sarà da dire come disse Lui: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti!”.
… ha realizzato di non poter mantenere la promessa di celibato? Servitor di due padroni, perche questa è la realtà , un marito e prete dimezzato. Meglio che niente in un caso come nell’altro. Mi mi pare che il pensiero divino consideri necessario l’impegno di tutta la sua persona, e un motivo può essere sottovalutare quello verso la famiglia. Certo, oggi la donna ama avere anche un suo lavoro extra famiglia, non si consuma per solo gli affetti in quanto ama esprimere se stessa in altro campo lavorativo. Ci sono i nidi a svezzare i figli, poi quando diventano grandi non li comprende, sono cresciuti nel rispetto della loro libertà, perché anche educare è un lavoro e lo sa se fa l’insegnante! Quanta fatica in più avere una classe disattenta! Questo è l’oggi, di una Chiesa vuota , si è creata tale povertà da una idea diversa di spendersi per amore, a soddisfare personali esigenze che sacrifici i quali certamente sono quelli di quell’amore tanto è solo Cristiano.
Un prete sposato non necessariamente è migliore di un prete celibe.
Un prete celibe non necessariamente è migliore né è più disponibile di un prete sposato, anche se non ha una famiglia con moglie e figli da gestire.
Un prete sposato probabilmente si è sposato non per rinnegare la sua vocazione e missione ma perché ha realizzato di non poter più rispondere alla promessa del celibato. Se poi è stato sospeso dall’esercizio del ministero questo è dovuto in rispetto alla legge cattolica latina che glielo chiede. Ma l’ordine rimane sempre valido e la chiesa stessa chiede a questo prete di esercitare il ministero in alcune sue necessità.
I preti sposati hanno già una personale famiglia e visto lo sfacelo di famiglie che sono quelle di oggi magari dovuto squilla mancanza di amore “per”, ma di tanti amori cui attendere,lavoro anche stressante necessario a mantenerla, si convenga che neanche a tempo pieno si riesce a salvarle ( per stress si dimenticano i figli in macchina!). Come conciliare con un altrettanto impegno quello di essere parroco? Senza contare la perdita di quello stare al di sopra delle parti necessaria da un lavoratore alla vigna del Padre. !vanno anche di notte a cercare pecore smarrite, anche danno la vita è c’e Bisogno per credere di questo atto d’amore, e’ questo che suscita la Fede dei piccoli,l’amore generoso e gratuito, così raro oggi
Mi pare che qualcuno non sappia che per MILLE anni i sigg.Parroci potevano ben sposarsi.. e questo non impediva loro di esercitare le proprie funzioni..,
( x non parlare dello zio di mio genero, prete siriaco sposato.. ).
Se vogliamo chiuderci nel castello in rovina.. not x me.. se invece volessimo aprirci al mondo DOBBIAMO essere in grado di dare risposte convincenti a queste cone a tante altre domande. Cfr i post di Beretta..
Comunque sono del parere che chi si fa Sacerdote, a parte che già si dimostri una scelta dall’alto, prova ne è come da personali rivelazioni o storia da certi Papi rivelata, la vocazione ispirata come dall’alto lo dimostra nella perseveranza di una vita. E’ vero che un prete oggi ha una vita operosa, sono pochi coloro che fanno vita claustrale, i cellulari scandiscono gli impegni giornalieri come accade oggi per tutti, ma si suppone che meditazione e preghiera facciano parte anche di un rapporto con la Divinità, altrimenti a quale scienza e sapienza può un prete attingere per aiutare a comprendere questa umanità che a sua volta a lui ricorre per rialzarsi quando è depresso e logorato spiritualmente da una vita avara di amore? E’ la stessa cosa quando i membri di una famiglia cessano di avere amore gli uni per gli altri anche sacrificandosi se necessario per quel comandamento :” ama il prossimo tuo come te stesso”.
Il “lascia tutto e seguimi” non è rivolto ai soli consacrati ma a tutti i credenti. Significa vivere la propria missione nelle proprie famiglie e nei propri posti di lavoro con la radicalità chiesta dal Cristo.
Ognuno ha la sua storia e ognuno deve redere conto delle sue scelte.
Significativo il gesto di accoglienza del cardinale Zuppi verso i preti operai o verso preti che hanno deciso di sposarsi. Probabilmente questo può significare che queste scelte non siano “un problema” ma “una risorsa” per la Chiesa, come lo sono le scelte di preti celibi e di laici impegnati che continuano a prestare servizio all’interno delle comunità cristiane e nel mondo dove operano.
San Benedetto da Norcia aveva come regola “Ora et labora” ,prega e lavora. Ma i benedettini dedicavano tante ore alla preghiera. Smettevano di lavorare per pregare. Mi chiedo se lo facciamo ( se hanno il tempo per farlo) anche i preti operai e per dipiu’ sposati, o se la preghiera e il rapporto con Dio venga all’ ultimo posto per mancanza di tempo. Nessuno e’ Superman e puo’ fare tutto. Bisogna fare delle scelte . Se si preferisce il lavoro, la moglie, i figli, gli impegni pratici, preghiera.perche’ chiamarsi ancora preti ?
I preti operai non sono monaci, come i benedettini, che dedicano molto tempo alla preghiera. Il celibato ecclesiastico è prerogativa, al momento, solo della Chiesa cattolica, a fronte di una tradizione bimillenaria di clero uxorato che ha visto eccelsi esempi di santità e vita in Dio. Poi, voglio essere provocatorio: non mi pare che i presbiteri celibi, da quello che vedo, siano così devoti e assidui nella preghiera.
….come disse Lui: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti!”
Non so dirvi xché ma qs frase ha suscitato istintivamente in me quale differenza tra il profumo… E la puzza!
Tu. mio Dio, sei luce veritá Vita e ..profumi, come un fiore. leggero e mai, dico MAI invasivo!
Certamente nella Chiesa c’è lavoro per tutti, rimanendo in sintonia con la Chiesa è predicare quel Vangelo come lo fa un normale fedele, diacono? Potrebbe essere una soluzione alla penuria di vocazioni, e aiuto per quei preti che sono sovraccarichi di comunità da assistere. Importante sembra, al comune fedele, non venga alterato quel “lascia tutto e seguimi” che e’ lo stesso Maestro ad aver pronunciato e che proprio per questo il Vangelo ha raggiunto i confini della Terra. Anche per un impegno dimezzato forse c’è posto se uno ha nel cuore quella vocazione, servizio di bene. E’ forse come la situazione del vincolo matrimoniale, quel coniuge che separato rimane fedele alla promessa, si sente impegnato a credere in questa missione, la Parola fin da subito da i suoi frutti, come conferma la risposta di Gesù a Pietro:” Non c’è nessuno che abbia lasciato…..per causa mia che non riceva già in questo tempo cento volte tanto,……