Preti e parrocchia: ma i laici cosa vogliono?

È tempo che i laici rivedano le tante aspettative di cui spesso rivestono la figura del prete, per un più equilibrato, umano e armonico vivere cristiano.
19 Giugno 2021

Da più parti, anche su impulso del Papa, si discute del tema del clericalismo e di come questo sia ormai un fenomeno da oltrepassare, perché non evangelico e non più adatto alla vita della parrocchia nella contemporaneità. Opportunamente, anche su questo blog, sono state condivise riflessioni su come superare e perché superare una gestione clericale della parrocchia, che è oggi, probabilmente, l’istituzione cattolica più in difficoltà.

Da osservatore del fenomeno, considerato in realtà assai diverse, mi chiedo anche: ma i laici, in fondo, cosa vogliono dal prete che abita la parrocchia? Perché, girando in diverse comunità, ascoltando e incontrando laici e sacerdoti, ho notato come ci sia un problema complementare al clericalismo, ed è legato alle aspettative altissime che spesso i laici hanno nei confronti delle persone consacrate, soprattutto se sacerdoti; si tratta di aspettative che non raramente provocano tensioni e frustrazioni, lacerazioni e critiche, laddove esse non vengono soddisfatte (cioè quasi sempre).
Tuttavia, prima ancora di domandarsi perché tali aspettative non sono ‘accolte’, i laici dovrebbero farle passare nel crogiuolo della propria coscienza, della Parola di Dio e, ultimo ma non ultimo, del mondo che abitiamo. Sono umanamente sostenibili le pretese che talvolta addossiamo ai sacerdoti? Sono utili alla crescita del popolo di Dio? Corrispondono a una vera coscienza battesimale? Sono adeguate al contesto in cui viviamo? Oppure sono frutto di un mondo tramontato nei numeri, nelle strutture, nelle consapevolezze teologiche e pastorali?

Per andare al concreto, e schematizzando molto, mi pare che troppo spesso pretendiamo dal prete, che magari oggi ha in carico più parrocchie, di essere ancora il parroco degli anni ’50 quanto a ruolo, quindi centro e perno della parrocchia, ‘sacerdote, re e profeta’ quanto a risposte, pronto a visitare ogni casa, ogni malato, a presenziare a ogni funzione e liturgia, disponibile a moltiplicare il culto e le devozioni in tutti gli orari; a questo aggiungerei una dose di giovanilismo e di attivismo anni ’80, per cui il prete deve dedicarsi ai giovani (quali poi?), animare il gruppo famiglie, il gruppo terza età, il gruppo dello sport, il gruppo teatrale, il gruppo del taglio e cucito, il gruppo delle vacanze. Poi si richiede un buon barattolo di anni ’90, quindi meditazione e commento della Parola di Dio, riflessione politico-sociale, educazione alla legalità, competenze tecnico-economiche e giuridiche nel campo dei restauri e delle ristrutturazioni, sensibilità culturale. Da ultimo, una spruzzata di nuovo secolo in quanto ad abilità tecnologiche e comunicative, responsabilizzazione dei laici e delle laiche, coinvolgimento degli appartenenti ad altre religioni, formazione umana, psicologica, sociologica, e così via, tenendo sempre sullo sfondo l’altissimo e personalissimo modello evangelico applicabile a piacimento, entro cui rileggere ogni sacerdote (umanamente fallibile, ovviamente).

Al di là delle semplificazioni e dell’ironia, sono convinto che i laici debbano avere il coraggio di ripensare la figura del prete, anche attraverso un dialogo franco e un ascolto accogliente dei sacerdoti, non facendo sconti quanto ad anacronismi e incrostazioni di potere, ma nemmeno sommergendo il prete di funzioni e ruoli e compiti, soprattutto quando lo stesso prete è pronto a fare un passo indietro.
Certamente, si dirà, molto di quanto la gente si aspetta dal prete deriva da secoli di modello clericale, per cui non si abbandonano schemi mentali nel giro di pochi anni. E, ugualmente, sappiamo pure che fino a quando il sacerdote avrà in tasca le chiavi delle strutture parrocchiali e gestirà il salvadanaio, sarà inevitabile fare continuo riferimento a lui. Però, davvero, mi chiedo: e se i laici per primi provassero a smobilitare il campo, togliere le tende attorno alla corte, portare pazienza e accompagnare il difficile cammino del sacerdote che si spoglia del ruolo clericale, senza piagnistei per come era meglio prima, senza lamentale perché il prete non ha introdotto il tredicesimo incontro di catechesi con i bambini, senza critiche perché una sera non era presente all’incontro del gruppo giovani, senza punzecchiature se non è andato in vacanza con il gruppo delle famiglie, senza scandalo se non partecipa al rosario meditato alle ore 16 del martedì pomeriggio?

Parafrasando un celebre motto di Maria Montessori, “maestra, aiutami a fare da solo”, forse la più urgente richiesta dei laici dovrebbe essere “caro don, aiutaci a fare da soli”… fino a dire “caro don, su questo non abbiamo più bisogno di te”…

17 risposte a “Preti e parrocchia: ma i laici cosa vogliono?”

  1. Benacus Giovanni ha detto:

    È esattamente il contrario la grande maggioranza dei preti si sentono SUPERIORI ai laici, loro sono appunto architetti geometri tecnici edili teologi e vogliono e pretendono di essere al centro della parrocchia, non lasciando spazio neanche alla disposizione ndei candelabri sul presbiterio, anzi se il parroco cambia, i fedeli si devono adattare, dunque chierichette si chierichette no paramenti neri si, no, crocifissi li si, li no una buona parte di clero è fatta da palloni gonfiati di ego, tanti laico si sono rotti le scatole, non siamo ne bambini ne celebrolesi soprattutto quando al cambio del parroco ci si trova con centinaia di migliaia di euro didebiti accumulati anche con un uso disinvolto di denaro non loro. Che i preti rispondano di persona delle sciocchezze fatte. Rispondano loro con le loro sostanze al debito con le banche

  2. Giovanni Venzano ha detto:

    Siamo ancora prigionieri del clericalismo? La Chiesa è il popolo di Dio. I laici sono il popolo e il clero è preso dal popolo per il servizio dei sacramenti ed ha ceduto alla tentazione di impadronirsi di tutti gli altri servizi. Già in Atti 6, 1-6 è stata denunciato questo pericolo e gli apostoli han posto rimedio. Si continua ad affidarci al cameratismo tra i preti, pacche sulle spalle, retorica della fratellanza, questionari, riunioni e niente cambia. Basterebbe seguire la Scrittura. Occorre rivedere radicalmente la nostra organizzazione amministrativa, ho lasciato qualsiasi responsabilità di questo tipo ed ora, finchè non vedrò passi concreti non perderò tempo in incontri inutili tra preti frustrati.

  3. Daniele Gianolla ha detto:

    Sarebbe interessante se fossero i parroci stessi a chiedere ai fedeli “che cosa vi aspettate da noi?”. Magari dalle risposte potrebbe partire una progettualità interessante…

  4. Renzo Cavenago ha detto:

    I laici non sono un blocco omogeneo. Sono diversissimi per età (e quanto conta …), interessi culturali e sensibilità spirituali, esperienze ecclesiali ecc. I laici non sono più il blocco omogeneo di 50 anni fa. Per cui sarebbe interessante analizzare “che cosa vogliono” i singoli gruppi e che visione di chiesa hanno.

  5. Davide Corallini ha detto:

    La sfida non è fare da soli, che è un tratto tipico del clericalismo, ma fare le cose insieme, dove possibile.
    Se il laico dice “non ci serve”, si rischia di passare da un certo clericalismo (solo clero), ad un certo laicismo (solo laici).
    Tra l’altro, non se ne parla mai abbastanza di quei laici filo-clericalisti, che supportano, alimentano e duplicano, nel territorio laicale, le storture del clericalismo.
    Su alcune cose dovremmo ricordarci che alla fine, il sacerdote è un uomo come noi…però vedere preti che praticano surf (servizio di ieri del TG2) o altre cose di secondaria importanza, con la “scusa” della testimonianza ad extra, spesso lascia molto perplessi

  6. Vicente Crisóstomo Dias ha detto:

    Evitando di fare il …pappagallo, sono in sintonia con Salvo Coco!

  7. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Per favore non dovete dimenticare i LAICI che okkupano. Quelli che fanno tutto loro in Chiesa, e poi se ne lamentano ad ogni piè sospi.nto ma se chiedi loro di cambiare qualcosa o di cederti qualche posizione .. ciao bambina!
    Siamo messi proprio MALE.

  8. don Massimo De Propris ha detto:

    Concordo con le affermazioni dell’articolo. Si vogliono preti che occupino spazi. E non preti che generino processi. È più facile. Il laicato italiano tendenzialmente è prete-dipendente. E dimostra di essere tale tale anche quando gli vengono dati congrui spazi di libertà e di autonomia. Battezzati “a responsabilità limitata”. Questa è la mia esperienza.

    • Salvo Coco ha detto:

      Sig. Di Benedetto, quello è un articolo sulla, codeterminazione dei laici nelle decisioni ecclesiali. E non è quello l’articolo a cui mi riferivo. Era un altro: aveva per tema il sistema di potere del clero basato sul sacro. E non è stato pubblicato.

  9. Serafina Massa ha detto:

    Ho qualche dubbio circa l’articolo. La realtà che spesso si vive è diversa, magari l’articolo riflette alcune situazioni reali ma a parer mio bisogna partire da una visione di chiesa comunionale, dove ciascuno ha una propria missione nella costruzione della Comunità. Il prete è importante quanto il laico ma spesso e volentieri quei laici preparati, che amano e desiderano servire la chiesa devono fare i conti con preti ” so tutto io, faccio tutto io”. Credo in una Chiesa che mette in comune le proprie forze e risorse per una testimonianza coerente al Vangelo. È necessario che i laici siano formati.

  10. Salvo Coco ha detto:

    Mi trovo totalmente in disaccordo con il contenuto dell’articolo. Le aspettative sulla figura del “prete” non è nei laici che bisogna cercarle. Ma negli stessi documenti della chiesa. Basta leggere quali aspettative elevatissime sono presenti nella “Ratio fondamentalis Institutionis sacerdotalis” per comprendere bene con quale carico “ontologico” è stato appesantito il ministero dei “preti”. Il clericalismo ha stravolto la laicità della chiesa ed ha instaurato un sistema di potere basato sulla separatezza sacrale. La genesi del problema non sta nei laici che nutrono delle aspettative, ma nella ministerialità ecclesiale che risulta essere clericalizzata ovvero separata dal popolo ed elevata sul popolo. Rimando ad un pregevole intervento di Ghislain Lafont che individua bene la radice dei problemi in ordine all’identità del “prete”: https://www.cittadellaeditrice.com/munera/clericalismo/

    • Sergio Di Benedetto ha detto:

      Gentile Salvo, il mio intervento è un tassello di un discorso che procede da tempo, come lei sa, dato che un suo articolo è stato pubblicato proprio in questo filone ‘parrocchia-laici-clero’:
      https://www.vinonuovo.it/attualita/il-tema/sogno-una-parrocchia-diversa/
      Dunque alcune delle questioni che lei pone sono già state affrontate, riguardo ad esempio al ruolo del ministero, alla sua lettura storico-critica, etc… Questo ulteriore passo vuole spostare il focus del discorso, andando a vedere anche quanto i laici attendono dai preti, soprattutto quando questi cercando di uscire da un modello clericale (atteggiamento laicale che, come ho detto in un paragrafo, è derivato da secoli di modello clericale, ma questo non può essere motivo di inerzia né del pensiero né dell’azione).

      • Salvo Coco ha detto:

        Capisco le sue osservazioni sig. Di Benedetto. Purnondimeno ribadisco che il problema nella chiesa clericalista non sono i laici, ancorchè clericalizzati, perchè i laici non contano nulla, non decidono nulla e soffrono di una personalità annullata (cfr Francesco nella “Lettera al Popolo di Dio”). Il passo decisivo da compiere a mio avviso consiste nel prendere atto da parte della magistero gerarchico (ove i laici sono del tutto assenti) degli studi che l’esegesi e la teologia moderne hanno compiuto in ordine al rinnovamento radicale dell’ecclesiologia e nello specifico del sacerdozio cosiddetto ordinato. A tal proposito avevo inviato alla redazione di Vinonuovo.it un mio studio sul regime di separatezza sacrale che il clericalismo ha introdotto nella chiesa sin dal III/IV secolo. Ma l’articolo non è stato pubblicato. Se non si conosce la genesi del clericalismo, se non si individua la sua sintomatologia, sarà molto arduo predisporre una efficace terapia.

  11. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Ahhh, le donne hanno sempre una marcia ( sana👹😂) in +.
    Nn il Sacerdote.. ma la Comunità.
    Leggendo Sergio ripassavo le Comunità delle Parrocchie qui intorno.
    A parte le singole PERSONE.. volete che vi descriva la fauna delle messe feriali, quelle evocate da Chiara? Ma basta che ci guardiamo intorno. Prima ancora che dai Preti, COSA possiamo aspettarci da simili “comunità”? Io pratico dunque SONO.
    Davvero se ne esce alleggerendo i sigg. Preti?
    Fare finta che sia tutto ok, dentro.
    E fuori?
    Ci sono 2 big probls..
    1) l’unica Comunità su cui costruire NON è quella che frequenta. Xchè?
    2) l’unica CC che abbiamo dentro, puzza, da certe teste in giù.
    Con 2 non si va lontano.
    Ma se non si cambia 2, 1 resta fuori della porta.

  12. Riccardo VATTUONE ha detto:

    Il ruolo di reucci factotum, assai pesante, è però nella mente di molti di noi. Avere il controllo della casa. Casa ‘propria’. Oggi questa stortura si paga ad un prezzo più alto che in passato perché il piacere dell’autorevolezza te lo devi conquistare ogni giorno e non è più un’eredità di tonaca.

  13. Ornella Ferrando ha detto:

    Concordo pienamente con l’autore dell’articolo. Nelle parrocchie e nelle UP manca il senso di corresponsabilità che ogni persona battezzata ha. Dobbiamo ricordare che i sacerdoti vanno e vengono dalle parrocchie e quello che resta di base e fondamento è la Comunità che se non è costruita sulla roccia , si può sfaldare . Non è il sacerdote che fa la Comunità, ma è la Comunità che si affianca al sacerdote.

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