Ostia e pane, in una chiesa di Romagna

Ostia e pane in una chiesa di Romagna
24 Giugno 2019

Agosto bollente. 38 gradi, l’asfalto fonde. L’afa padana può durare giorni e notti, senza mollare. Cicale infinite. Ma ho deciso che non voglio farmi mancare un giro in bicicletta. Vestiario minimo per non essere scandaloso, mountant bike e in un lampo sono nel mezzo della campagna calda e silenziosa. Non so perché, ma io adoro quel caldo, quell’afa insopportabile, quel sudore che mi solca la faccia. Dopo una decina di chilometri decido di riavvicinarmi alla statale per trovare un bar. Mi aspettano una 20ina di case tagliate in due dalla grande arteria, sempre piena. Ma la strada che ho preso non è quella che pensavo e mi immette sulla statale un po’ prima del bar.

Quasi davanti a me, due alberi rinfrescanti invitano nel sagrato della parrocchiale. La tipica chiesa del paesone di campagna, abbastanza nuova, campanile imponente, piccolo portichetto ad incorniciare la porta d’ingresso. Ovviamente chiusa, sono le 4 del pomeriggio di pieno agosto. Ma sul lato di sinistra una fontana occhieggia furtiva. “Come la cerva anela i corsi d’acqua…”

Sul lato di destra invece una costruzione si appoggia al fianco del chiesa come una evidente canonica. E dalla finestra socchiusa s’intravvede una persona in ginocchio. Le cicale riempiono l’aria come una litania naturale. “… la mia anima anela a te o Dio”. Giro l’angolo e trovo l’ingresso con una chiave inserita. Senza interrompere il silenzio entro e sulla sinistra si apre una stanzetta in penombra, con le panche da chiesa e con un altare posticcio, al centro del quale due faretti inondano di luce il Santissimo. A metà, un uomo inginocchiato sgrana il rosario bisbigliando tra le labbra: “del tuo seno Gesù”.

Mi siedo e respiro il rosario. Lascio cadere tutti i pensieri e metto la mia anima al sole. Solo dieci minuti. Ma lì ci passa un grazie, perdonami, sono peccatore. Poi l’invasione della certezza che qualsiasi cosa la vita mi metta davanti io risorgerò, quell’amore non mi sarà tolto mai, se io lo voglio. E allora serenità. Ma poi non sento più nulla. Quasi fosse caduta la linea. Sono stupito. Resto ancora qualche minuto, nulla. Entra una ragazza, si muove quasi senza farsi sentire. Nel primo banco si inginocchia e guarda intensamente il Santissimo. Poi accorda la sua voce sul rosario dell’altro che ora viene condiviso. Il mio attimo però è fuggito.

Esco ammirato e sorpreso da questo luogo inatteso, che sembra davvero Altro dal mondo, ma affaccia sulla strada che tiene insieme tutta la regione. Non sapevo che a meno di 15 km da casa mia, da tre anni, 400 persone si turnano per garantire l’adorazione perpetua. E mentre torno alla fontana per un altro sorso di leggerezza, un signore entra sul sagrato dalla strada e si dirige verso di me. “Scusa se disturbo…” “Mi dica – rispondo, asciugandomi la bocca col braccio”. “Hai due euro?” L’accento è dell’est Europa. I sandali ai piedi, la camicia con l’alone del sudore ascellare, lo zaino sdrucito e la pelle consumata dal sole. Ma non ha l’aria del morto di fame. Però in quel luogo è palesemente fuori luogo, come se anche lui fosse altro dal mondo. “Ah, sono fuori in bicicletta  – rispondo – e non so se ho denaro con me. Ma come mai sei qui?” “Storia lunga. Hai qualcosa per me?” Guardo dentro la bustina con il mio documento e sento che non ha molta voglia di raccontarsi. Sbuca un biglietto da 10 euro rimasto lì da mesi, lui lo vede e si illumina. “Eh, ho solo questo…” – gli dico. “Va bene, bene, grazie…” E’ evidente che entrambi ipotizzavamo che 10 euro fossero troppi, ma mentre io sono perplesso e un po’ restio, lui è speranzoso e incredulo.

Ve bene, lascio che vinca lui. Lo so che dietro ci può essere di tutto, che quei dieci euro possono essere per lui una piccola salvezza, un furto mascherato, una bottiglia di alcool o un prestito a qualche mafia. Ma è anche vero che quei dieci euro possono essere per me uno scarico della coscienza, un rammarico per aver ceduto, un regalo leggero e semplice, un obbligo morale da soddisfare. Glieli do. Ringrazia e riprende la strada.

Resto attonito e pensieroso. Mentre riprendo la bici cerco di ricucire un filo delle emozioni attraversate. In 15 minuti la realtà mi ha sorpreso due volte. Forse mi sono fatto fregare due volte, forse ho detto di sì due volte alla realtà, forse non sono stato abbastanza presente a me stesso per vivere fino in fondo due volte. O forse ho vissuto due volte quello che era possibile, anche senza riuscire a capirne il senso e la traccia complessiva.

Poi, mentre pedalo, arrivano spezzoni di bibbia: “Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore”. “I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me”. E allora mi rassereno. Ostia e pane non possono stare separati. Il luogo dello spirito per me è quando queste due cose stanno insieme. Magari non perfette, magari incompiute, magari rare, ma comunque insieme.

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