Nomine dei preti: le buone pratiche

Tra luglio e settembre, si vivono settimane calde anche nelle Curie. Questa stagione estiva può lasciare scottature che bruciano a lungo
16 Luglio 2010

Tra luglio e settembre, si vivono settimane calde anche nelle Curie. Qualche telefono si fa rovente: vanno definiti gli spostamenti dei preti. E l’esperienza insegna che questa stagione estiva può lasciare scottature che bruciano a lungo. Soprattutto quando la comunità cristiana si sente scavalcata, incompresa o addirittura punita, per decisioni ritenute calate dall’alto (lo stesso termine “nomine” può suonare impositivo, mentre  “mandati di ministero” assume un tono eufemistico) .
A prevenire lettere ai giornali locali e sit in di protesta davanti al vescovado (o, peggio ancora, bellicosi propositi di non-collaborazione con il nuovo entrato), non sarebbe male raccogliere un dossier di buone pratiche  da mettere in circolo prima dell’estate: vademecum contro le bruciature sì, ma anche invito a valorizzare un passaggio non formale, né banale, come insegna la storia della Chiesa dagli Atti degli Apostoli in poi.
Si potrebbe cominciare dalle relazioni umane con i papabili allo spostamento, che non s’improvvisano in zona Cesarini, ma si rivelano efficaci quando sono co.co.co.: cordiali, continue e comunionali.
Non “consultazioni” di stampo politico, insomma,  tese a suggerire opzioni ultimative o a fissare paletti invalicabili, ma colloqui fra confratelli collaboratori che cercano di discernere  la soluzione migliore.  Laddove la nuova sede viene non solo concordata ma anche individuata insieme, sulla base di attitudini e di competenze (e di altri aspetti più umani talvolta sottovalutati), l’arrivo a destinazione risulta facilitato.
La pratica migliore appare essere quella che prima individua delle priorità pastorali per determinate aree territoriali o ambiti di lavoro (si pensi ad un’Unità pastorale o all’accorpamento di un ufficio) e soltanto in un tempo successivo va a riconoscere quale fra i preti disponibili è più adatto al compito. Il “prima” è una sorta di pianificazione strategica – direbbero gli organizzativisti – senza la quale la fase “dopo” delle nomine risulta troppo simile al tentativo estenuante di andare a tappare i buchi venutisi a creare: un colabrodo di stagione. E più gli stessi organismi pastorali laici vengono ingaggiati preventivamente in questo “risiko” pastorale, più riesce facile vincere la partita insieme.
Rispetto al passato, buoni risultati stanno dando anche le sperimentazioni di parroci che vivono insieme in fraternità pastorale o in equipe; di fronte alla solitudine dei preti  – emersa come indicazione anche dall’Anno sacerdotale – è importante in ogni caso tener conto anche delle caratteristiche del contesto umano intorno a ciascuno di loro: a partire dalla collaboratrice famigliare, per arrivare alla  famiglia d’origine nel caso di preti anziani ma ancora pastoralmente attivi, fino ai rapporti di amicizia con i collaboratori laici.
Un’appendice di dossier merita poi l’altrettanto delicata comunicazione delle nomine: alla raffica di “provvedimenti” in freddi elenchi distribuiti ai giornali (e inevitabilmente precedute da soffiate degne del calciomercato) è da preferire l’annuncio caldo al proprio consiglio pastorale e poi all’assemblea domenicale, preoccupandosi soprattutto di far cogliere le motivazioni che hanno portato a questa scelta. In questo senso anche un’intervista concordata ad hoc sulla stampa diocesana o anche laica può essere una modalità utile a creare opinione pubblica (se non proprio… consenso) attorno alla precisa strategia pastorale più che alla destinazione del singolo prete. Perché – a parte casi clamorosi e “scandalosi” di preti inamovibili quasi a vita – l’avvicendamento è un criterio sacrosanto, tanto più accettato se viene preparato e comunicato nel modo giusto

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