Mio figlio non va più a Messa. Che fare?

In un incontro promosso dall’Azione Cattolica di Milano si è provato a rispondere a questa domanda, nella consapevolezza che non esistono ricette preconfezionate, ma che è ancora possibile educare un adolescente alla fede.
8 Novembre 2016

Lo scorso 16 ottobre a Desio (MB) l’Azione Cattolica Ambrosiana ha promosso un incontro sul tema “mio figlio non vuole andare a Messa, che fare?”. A prendere la parola sono stati don Enrico Castagna, pro rettore del Seminario diocesano, e la prof.sa Alessandra Augelli, docente di pedagogia presso l’università Cattolica. Riportiamo qui una sintesi delle considerazioni emerse.

 

La questione, molto concreta, chiede di tenere conto di molteplici aspetti. Un primo elemento da considerare è come la “ribellione” del figlio chiami anzitutto in causa le motivazioni che muovono noi adulti a partecipare alla Messa e ci chieda di prenderne consapevolezza. La prima domanda da porci allora è: che significato ha per me andare a Messa? Cosa ci trovo? Cosa rappresenta per la mia vita? I ragazzi, anche quando lo rifiutano, percepiscono ciò a cui teniamo e le motivazioni che vi stanno dietro. Serve allora anzitutto far emergere queste.

Un secondo aspetto è il significato che ha il rifiuto di andare a Messa per un adolescente. Quando questa questione emerge significa che in lui sta avvenendo un movimento: il passaggio cioè da ciò che è dato a ciò che è ricercato. Si sta ponendo di fronte all’eredità che ha ricevuto e si chiede a cosa gli serva. È un momento che a noi può far paura, che vale per tutti gli aspetti della vita, ma che è estremamente fecondo. Rifiutandosi di andare a Messa i ragazzi stanno anzitutto esprimendo un dubbio: il dubbio su cosa significhi, in generale e per sé, quel pezzo della loro vita. È una domanda legittima e molto profonda, ed è una cosa bella, una sfida: se ce lo chiedono significa che i nostri ragazzi hanno senso critico e vogliono crescere.

Un’ulteriore aspetto in gioco è la questione emotiva. Gli adolescenti vanno per picchi emotivi, hanno sbalzi di umore frequenti, sia in positivo che negativo. È una questione ormonale ed è normale. È interessante da questo punto di vista prendere in considerazione come i ragazzi vivano la messa anche con il proprio corpo. Di fronte a questi sbalzi emotivi è importante non immediatamente assecondarli, ma nemmeno separare queste emozioni dalla vita. La strada più feconda è quella di accompagnare i ragazzi ad interrogarsi sulle emozioni che provano: cosa vivono in relazione alla messa? Quali emozioni? Educare a dare un nome alle emozioni è un compito fondamentale perché i ragazzi oggi fanno davvero fatica a farlo. La povertà di parole per dire la vita emotiva dice una povertà interiore, anche spirituale. È quindi determinante legare il tema della messa a quello emotivo. Fermo restando che serva poi far compiere ai ragazzi un passaggio ulteriore, quello cioè di imparare a legare le emozioni alla volontà, facendo loro notare come la vita da adulti non possa basarsi solo sulle emozioni, ma sia necessario che queste siano sostenute dalle decisioni: non solo vivo in base a quello che provo, ma posso imparare a decidere cosa farmene di quello che sento. La volontà può aiutarmi a gestire le mie emozioni.

Il tema della partecipazione alla Messa da parte di un adolescente va però inserito anche in un contesto più ampio che è quello della relazione con Dio. Nell’adolescenza il pensiero e l’esperienza di Dio si amplia e ci si ritrova ad avere più immagini di Dio. Non esiste più l’immagine infantile di un Dio a propria misura, di un Dio buono che mi coccola. Dio nell’adolescenza spesso mi delude. Il Dio che mi ama sempre è messo in discussione e ci si chiede, ad esempio, perché Dio permetta alcune cose. Questi interrogativi su Dio, che spesso restano impliciti, è anzitutto importante legittimarli, far percepire a un adolescente che Dio non si infastidisce delle domande che gli si pongono. Se gli adolescenti vedono che le loro domande non infastidiscono i genitori, e neanche Dio, scopriranno un Dio diverso, più accogliente. La cosa più bella che possono sperimentare i ragazzi a questa età è l’amore incondizionato, quello che se anche tu ti allontani, lui resta. Legittimare la domanda significa tenerla viva, aperta, non cercare immediatamente di riempirla di concetti e contenuti, mettersi invece in cammino insieme, accettando che, se noi abbiamo già trovato delle risposte, è giusto che loro le trovino in proprio.

In seconda battuta è più che mai significativo inserire questo percorso in una storia. I ragazzi vivono in un tempo frammentato, sono in una situazione di passaggio e hanno la sensazione del vuoto, di non essere di nessuno. Collocare il loro percorso in una storia significa renderli consapevoli che c’è qualcosa che li precede – ad esempio il battesimo o la prima comunione scelti dai genitori e ricevuti prima di esserne pienamente consapevoli – ma a cui ora è loro chiesto di contribuire in modo attivo. Una storia che può avere delle fratture, dei momenti in cui ci si perde, ma è la propria storia. E in questa storia può esserci Dio e può esserci anche dopo, anche se in questo momento non lo si vede.

Di fronte alla domanda dei figli è importante che i genitori vivano il senso della trasmissione generazionale con serietà, portando le loro risposte, ma insieme con leggerezza, senza obbligare. Se l’eredità è troppo pesante i giovani saranno meno invogliati ad assumerla e rielaborarla, se la riceveranno invece avendo la percezione di avere uno spazio di libertà, nonostante ciò che gli è consegnato sia considerato estremamente prezioso dal genitore, i ragazzi vivranno un grande senso di fiducia: mio padre e mia madre mi affidano qualcosa di preziosissimo ma si fidano di me. Per questo io ne faccio qualcosa di grande.

Certo, come per ogni trasmissione, resta ineludibile il rischio della perdita, perché a un’eredità consegnata nelle mani di un altro può accadere di tutto. Questo rischio però è possibile abitarlo e non subirlo, e lo strumento privilegiato da questo punto di vista è la preghiera. Pregare per i nostri figli può sembrare banale, ma è decisivo perché fa leva sullo Spirito Santo, che sempre agisce nel cuore di ogni persona. Ci fa prendere consapevolezza che non siamo soli nel desiderare che i nostri figli non si perdano, che lo Spirito è dalla nostra parte. Che il nostro desiderio è sostenuto dal desiderio e dall’agire di Dio e che possiamo affidarci a lui.

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