L’Egitto e le nostre palme

L' Egitto e le nostre palme
10 Aprile 2017

Da qualche tempo mia madre non riesce più a uscire da sola. La domenica delle palme l’ho accompagnata a messa. Davanti alla porta della Chiesa, come spesso, c’è un uomo di colore, giovane, abbastanza curato, col berretto rovesciato in mano, chiede l’elemosina. Sull’altro lato della porta, a due metri da lui, c’è un giovane della parrocchia che distribuisce le buste per la questua. Da noi è usanza che nelle domeniche speciali si usino le buste per raccogliere le offerte durante la messa, quando sono dedicate a qualche particolare necessità. Sulla busta c’è scritto: pro immigrati. Paradossale.

A piccoli passi mia madre si avvicina, tenendomi di braccetto. E mentre prendo la busta dal giovane, colgo il dialogo tra una signora anziana e l’uomo di colore. “No, ti voglio dare solo un euro, ma non ce l’ho. Perciò ti do due euro, ma tu mi dai il resto”. “Io non ho resto, lasciami due”. “Allora non ti do niente”. La signora si avvia un po’ indispettita dentro la Chiesa e l’uomo la guarda stupito. Mia madre arriva alla sua altezza, si ferma, si va in tasca e gli da un euro. E lui: “Oh, mamma! Buon giorno. Come stai?” “Buon giorno a te e buona pasqua – risponde mia madre”. “Grazie. Anche te!”.

Nell’antiporta di legno, che protegge la Chiesa dal freddo, ci attende la signora anziana. “Ma, glieli volevo dare anche io, però non aveva il resto – fa rivolta a mia madre – Un euro basta!” E poi, mentre si fa il segno di croce entrando continua: “Ce ne sono sempre tanti che chiedono! Che poi, se non gli dai niente ti mandano dietro tanti di quegli accidenti! Meglio dargli qualcosa”.

E’ inevitabile che la mia attenzione sia rubata da questa scena e che tutta la prima parte della messa ci pensi. E nella lettura ascolto: “pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini” (Fil 2, 6-7). E allora cominciano le riflessioni. Esiste una forma corretta, oggettivamente cristiana, di approccio a chi chiede l’elemosina, tanto che chi non si comporta così, non è cristiano? O forse, ogni nostro atto traduce il nostro effettivo grado di fede in Cristo? Perciò si può andare da chi si sente offeso, che sulla porta della Chiesa ci sia una presenza così “impura” e crede che si debba “difendere” Dio da queste persone; fino a chi offre vitto e alloggio all’uomo di colore, facendosi carico della sua povertà, perché in esso vede incarnato il suo Signore. Con, in mezzo, tutte le varie sfumature intermedie, compresa quella di mia madre e quella della signora anziana che fa l’elemosina come atto scaramantico per non essere colpita dalle maledizioni dei poveri.

Poi, rientro a casa e proprio prima del pranzo sento le notizie dall’Egitto. E ancora una volta non ci sono parole! Ma lì, le mie domande si fanno d’improvviso chiare. Se sto a Fil 2 non c’è limite, se non l’offerta totale di sé stessi. Il senso radicale e totale dell’eucarestia è proprio questo. Andare a messa è, di per sé, un atto altamente pericoloso, assolutamente destabilizzante. Le palme insanguinate degli egiziani non sono un’eccezione, sono solo una realizzazione radicale e potentemente fisica di quel mistero che tutti viviamo ogni domenica, andando a messa. E ci vengono a ricordare che non si può essere cristiani da “solo un euro”, a rischio zero.

Certo, Dio ci ama come siamo e ama comunque anche la signora anziana che vuol dare solo un euro. Come pure ama me, che di fatto mi limito ad osservare e pensare. Ma continua a presentarsi davanti alle Chiese e a non lasciarci tranquilli, perché prima o poi ci decidiamo a sperimentare che la nostra felicità è nel coraggio di non considerare “l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente”. La nostra è una identità da spendere, non da conservare. Ai copti, in Egitto, può sembrare che Dio non abbia chiesto se loro volevano o no perdere la loro vita. Ma di fatto, diventare cristiani, e voler continuare a credere e vivere questa fede, è già dare questo assenso.

Non esiste cristianesimo senza pasqua. Questo vale per il singolo, come pure per la comunità nel suo complesso. Questo significa che l’ordinaria bontà dei nostri atti di cristiani che cerca di adeguare un bene “oggettivo”, anche quando non siamo spinti a farlo per amore, ma magari per sentirsi a posto, non è sufficiente a segnalare la nostra adesione a Cristo. “Se non ho la carità, nulla mi giova”. Di fronte ai martiri egiziani questa forma di adesione di fede impallidisce, fino a non essere più significativa.

Ma significa anche che la Chiesa esiste per scomparire, non per cercare di conservare gelosamente il tesoro che le è stato regalato, Gesù Cristo. Esiste, cioè a condizione di non considerare “l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente”. Perciò non può evitare che il termine finale della sua esistenza terrena sia la morte, come lo è stato per Cristo.  Se siamo davvero corpo di Cristo non possiamo aspettarci esito differente. Perché solo questo permette la resurrezione come Regno di Dio.

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