Catechismo è appena terminato e Simone scende le scale di corsa, superando con un balzo gli ultimi tre gradini. Infila la porta del patronato e lo sento gridare: “Vado a prendermi le patatine!”. La mamma, ferma sulla soglia, non ha proferito parola. Aspetta che io scenda e poi: “E’ stato tanto cattivo oggi, Simone?” mi chiede con un sorriso, che però non si sente nella voce e non si vede nello sguardo. “Ma no, è stato un po’ vivace, come capita spesso, ma l’ho richiamato e poi si è messo tranquillo”.
La sua espressione cambia, ma non capisco se esprima sollievo o incredulità: “Sai” mi dice “non so proprio più cosa fare, con lui. Anche a scuola è cattivo, un disastro. Eppure le abbiamo provate tutte, lo abbiamo castigato, gli abbiamo promesso dei premi, ne abbiamo parlato… niente da fare. Catechismo è l’unico posto da cui non torno a casa amareggiata: gli piace, viene volentieri, tu mi dici che un pochino riesce a controllarsi…”.
La invito a bere un caffé e ci sediamo insieme. Non le racconto nei dettagli che cosa intendo con ‘un po’ vivace’, mi preme di più ascoltarla. Soprattutto vorrei essere capace di instillare un piccolo dubbio nella sua immagine di ‘bambino cattivo’.
È merito di un altro ragazzino se ho maturato questo tipo di sensibilità. Erano i primi anni del mio servizio di catechista ed eravamo prossimi alla Messa di Prima Comunione. In mezzo alle questioni pratiche (“Ma è così che devo mettere le mani?” “Ma facciamo le prove vero?”) si era affacciata una domanda importante. Paolo aveva chiesto: “Ma cosa succede quando Gesù viene nel mio cuore?”
Rispondere non è mai stata cosa da poco. Mi era venuto in soccorso il Vangelo (Gv 8,12) ed avevo detto più o meno: “Vedi, Gesù nel nostro cuore è una grande luce, che illumina tutte le cose più belle e guarisce le brutte, ci fa ricordare che siamo buoni, perché Dio ci ha creato così, e ci aiuta ad esserlo per davvero in ogni cosa che facciamo”.
Speravo di essermela cavata, ma non mi aspettavo la reazione successiva: “Io non sono buono, sono cattivo”, aveva affermato senza nessuna spavalderia.
“Io non credo, Paolo, non esistono bambini cattivi. A volte chiamiamo così i bambini vivaci, i bambini indisciplinati, i bambini arrabbiati o tristi, i bambini che si comportano male, ma ciascun bambino è capace di essere buono. Questo Gesù lo sa e se vuoi ti aiuta a scoprirlo”.
“Gesù pensa che io sono capace di essere buono? Sei sicura?” “Sono sicura”.
Credo di aver davvero capito solo in quel momento il senso profondo di due versetti del Vangelo:
“Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna” (Mt 5,21-22).
Ci sono parole che rovesciamo addosso ai nostri bambini con noncuranza, con la stessa facilità con cui diremmo buongiorno e buonasera. A volte lo facciamo per superficialità, non valutandone bene il peso, altre volte purtroppo le usiamo per esprimere ira, con violenza, magari puntando il dito: “Sei sempre il solito!” “Mi hai davvero deluso!” “Non ne combini mai una di giusta!” “Cosa potevo aspettarmi di buono da te?”
Sono le parole-proiettile.
Esse sono in grado di uccidere nei bambini non solo la speranza, ma l’ipotesi stessa di poter essere diversi da come li etichettiamo, e li intrappolano nella rassegnazione della propria inadeguatezza: “Sei proprio cattivo”…
Saluto Simone e la mamma, che tornano a casa. Neppure per me è facile gestire la vivacità di questo bambino, come di altri. Ma quando lo rimprovero cerco di prendermela con i suoi comportamenti, non con la sua persona. Mi sforzo di usare parole-carezza, parole cioè che aiutano un bambino a sentirsi amato per se stesso e lo guidano con autorevolezza nel laborioso cammino per diventare grande. Non si tratta di blandirlo con parole dolci, come potrebbe sembrare, ma di correggere senza condannare: “Sai che non è il momento di chiacchierare” “Devi rispettare i compagni” “Questa cosa che hai fatto è sbagliata, una cosa cattiva”.
Sì, a catechismo possiamo davvero educare alla vita buona del Vangelo.