La forza mite delle donne, che (a volte) vince

In un libro la storia di Celestina Bottego, che ha saputo prendere la parola in una chiesa che alle donne chiedeva obbedienza
19 Giugno 2020

Quando ero piccola, un paio di volte l’anno la famiglia di mia mamma – numerosa e sparsa in diverse città – si riuniva nella grande casa di uno zio. Una delle cose che ricordo è il momento del dopopranzo, quando gli uomini si fermavano nella sala da pranzo e giocavano a carte, mentre le donne si raccoglievano in cucina per lavare i piatti e mettere a posto. Io preferivo stare con gli uomini, ascoltare i loro scherzi, le battute, le allusioni (che non capivo). Pochi anni più tardi ho scoperto però che il luogo strategico era la cucina: qui le donne magari non facevano battute, ma parlavano davvero dei problemi della famiglia, dei figli e dei nipoti – “chiacchieravano” si diceva allora, “si confrontavano”, diremmo oggi -. E prendevano decisioni, delle quale i loro uomini a volte neanche si accorgevano, ma che avevano peso sulle nostre vite. E infatti, spesso, quando noi ragazzini entravamo in cucina, improvvisamente si zittivano.

Queste immagini mi sono tornate alla mente leggendo un libro uscito di recente: “Mite è la forza”, di Rita Torti (Ed, Emi 2020). Racconta la storia della venerabile Celestina Bottego, che nel 1945 ha fondato le Missionarie Saveriane. La sua è, appunto, una storia mite. Non ha compiuto gesta clamorose, non ha conquistato fama e potere.  Leggendo la sua storia con gli occhi dell’oggi, verrebbe ogni tanto da scuoterla per le spalle, dicendole: ribellati, hai ragione tu, imponiti.

 

Ma gli schemi di oggi con La Bottego non funzionano e del resto era fuori dagli schemi anche allora. Era un tipo di donna che cercava dentro di sé la strada giusta e la seguiva con costanza, con pazienza, con grande spirito di sopportazione, senza mettersi di traverso a nessuno. Mite, insomma. Ma arrivava, alla fine, alla meta. E quindi era forte.

Era fuori dagli schemi perché era nata in America da un padre poi tornato in Italia, perché apparteneva a una famiglia benestante, aveva studiato (e poche donne, allora, lo facevano), lavorava, aveva scelto di non sposarsi ma anche di non farsi monaca – l’alternativa al matrimonio allora più gettonata. Oblata benedettina, un forte impegno nell’Azione Cattolica, l’aiuto ai poveri… una vita piena, nella quale si sentiva appagata. Una vita normale, o forse no: «era tipico di Celestina sentirsi molto normale ed essere molto speciale». Perché sul fatto che fosse speciale non  ci sono dubbi: lo testimoniano le tante, tantissime persone che ha incontrato, aiutato e accolto.

 

E, come tutte le vite, anche la sua era attraversata da conflitti: con una parte della famiglia per la gestione dei beni, prima. Con il sacerdote che la spinte a dare una svolta alla sua vita e a fondare un ordine religioso, poi.

Si chiamava padre Giacomo Spagnolo, aveva la sua visione e le sue idee che non coincidevano – non sempre – con quelle di Celestina. Ma lui aveva gli strumenti per farle valere, vista l’impostazione patriarcale della Chiesa di allora, dove il voto di obbedienza non aveva lo stesso significato per le donne e per gli uomini.

Padre Spagnolo ebbe il merito di convincerla a intraprendere l’impresa: fondare un ordine missionario femminile. La Bottego prima disse di no, poi cedette, avendo riconosciuto in questa scelta la volontà del Signore. Era il ’44 e lei ci mise tutto: la sua testa e il suo cuore, la casa, la fede soprattutto. Divenne, da quel momento, la Madre.

Quando il conflitto si manifestava lei lo affrontava con la sua forza mite: andare all’essenziale, parlarne con serenità e senza rivendicazioni, interrogare la propria profonda spiritualità, guardare avanti, alla strada ancora da percorrere. Con la stessa mite forza – per riprendere il titolo del libro – si riprendeva dalle ferite inflitte da chi non la riteneva all’altezza del compito che non si era scelta, che aveva cercato di assumere sulle proprie spalle.

Alla fine, Celestina Bottego ha percorso la propria strada, nella convinzione che fosse quella che Dio le indicava. Le Missionarie di Maria sono nate e operano nel mondo. La sua eredità spirituale porta ancora frutti.

 

Per le donne di oggi – che non accetterebbero le mortificazioni a cui fu sottoposta – rappresenta un elemento di confronto: a suo modo ha combattuto la sua battaglia e in una chiesa preconciliare in cui le donne non avevano diritto di parola e i preti non riuscivano a riconoscere l’autonomia dei laici, men che meno delle laiche. Ha rappresentato un modello femminile, basato sulla maternità spirituale, altamente significativo.

Ad un certo punto, la Madre lasciò la direzione della congregazione, perché aveva capito che anche padre Giacomo lo volesse. Continuò a seguire le sue figlie personalmente, come lei sapeva fare. Era il 1966, più o meno gli anni in cui io, bambina, dovevo scegliere se stare in cucina con le donne o nel soggiorno con gli uomini. Lei aveva scelto la cucina, ma quante cose aveva fatto!

 

3 risposte a “La forza mite delle donne, che (a volte) vince”

  1. Lucia Bede ha detto:

    Conosco da sempre la Famiglia saveriana e ho avuto il dono di conoscere molto bene sia M. Bòttego che P. Spagnolo, per questo non posso fare a meno di reagire a questa recensione. P. Spagnolo rispettò sempre le decisioni di M. Bottego, pregando e attendendo la sua libera adesione al progetto di fondazione, cui ella aderì quando capì che «per cercare unicamente il Signore e non sé stessa doveva dire il suo sì». Quanto al voto di obbedienza, “diverso per donne e uomini nella chiesa patriarcale”!!, faccio presente che proprio P. Spagnolo fu un “martire” dell’obbedienza avendo sempre vissuto una “obbedienza pronta, generosa, costante in tutto e ad ogni costo”, nello spirito di San Conforti, suo fondatore. Tanti lo possono testimoniare. Volete essere “vino nuovo”? Ve lo chiedo con tutto il cuore, non dimenticate quanto già scrisse Tertulliano: «Cristo, nostro Signore, ha detto di sé di essere la Verità, non la moda di pensiero del momento».

  2. Franco Sottocornola, sx ha detto:

    Non ho ancora potuto leggere la nuova biografia della Ven. Madre Celestina Bottego, che attendo con vivo interesse, avendo conosciuto molto bene la Madre, per la quale nutro grande affetto e devozione. La recensione del libro apparsa su questo blog ha quindi attratto la mia attenzione. Non posso però celare lo sconcerto e l’amarezza che essa ha provocato in me. Una lettura in chiave “femminista” e rivendicativa della vita e dell’opera di Celestina Bottego quasi in contrapposizione alla figura “maschile” di Padre Giacomo Spagnolo, è non solo antistorica, ma palesemente ideologica. Nelle loro differenze, e anche nei contrasti – inevitabili in ogni collaborazione tra personalità consce della propria missione e responsabilità – sia P. Spagnolo, sia Madre Bottego sono stati esemplari nella condivisione del comune carisma che li ha uniti spiritualmente ed eroici nella saggezza, prudenza e carità con cui hanno affrontato e vissuto insieme anche le difficoltà.

  3. Dario Busolini ha detto:

    A prima vista sembrerebbe una personalità opposta a quella del famoso zio esploratore dell’Africa orientale ma credo che, proprio come lui, abbia saputo tracciare strade nuove in spazi sconosciuti. La differenza sta nel fatto che le orme di Vittorio sono state seguite subito dai colonizzatori – con tutto ciò che ne è derivato in termini di guerre, violenze e sfruttamento – mentre quelle di questa e di altre pioniere del cattolicesimo al femminile attendono ancora adesso una piena valorizzazione e anche altre esploratrici che possano andare oltre i traguardi già raggiunti perché, soprattutto come laicato, siamo ancora molto indietro. Un sincero grazie alle autrici dell’articolo e del libro che ci fanno conoscere pagine di una storia importante troppo a lungo lasciata in secondo piano. Abbiamo bisogno di voi, non mollate!

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