La differenza sul terremoto

La differenza sul terremoto
19 Dicembre 2016

Una persona carissima mi ha mandato questo video (http://www.raiplay.it/video/2016/11/Don-Luigi-Maria-Epicoco—Parroco-4abe6aac-63c3-4bfc-a9ab-11be06575c89.html). L’ho aperto e sono rimasto di sasso. Ancora sul terremoto! Ancora un prete! Ancora la ricerca di un senso legato a Dio! Ma quanta differenza…

Don Luigi Maria Epicoco, … è ormai noto… sacerdote della diocesi di L’Aquila, scampato al sisma del 6 aprile 2009. E il 2 novembre scorso è stato ospite, di “Nemo – Nessuno escluso”, la trasmissione di Rai due in onda il mercoledì sera, presentata da Enrico Lucci e Valentina Petrini. Una serata tutta dedicata al tema del terremoto. In cui Luigi prova a rispondere alla domanda: “Come si può credere in Dio dopo il terremoto?”

E la differenza si sente tutta! Prima ancora che capirla, per le parole, si percepisce nel non verbale, il tono, la postura, la mimica, l’inclinazione della voce. E’ la differenza di chi parla perché ha visto le case aprirsi, ha sentito l’odore della polvere, ha udito le grida della paura, ha gustato l’acido dell’aria, ha toccato la rugosità tagliente dei mattoni rotti. E dentro a questo ha sentito che quel Dio che aveva in testa prima non gli tornava più. Lasciandogli dentro un terribile “tremore”, quello delle fondamenta del mondo, della vita, della fede che “sono scosse”. Un baratro si apre: quello dell’ordine del mondo che è scardinato. Ma di fronte a questo rifiuta la risposta mistificatoria che cerca la colpa, per garantirsi che l’ordine del mondo non sia toccato. E accetta il mistero della vita, come Giobbe: “Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te. (…) Io ti conoscevo per sentito dire” (Gb. 42,2.5).

E’ la differenza di chi ha imparato a leggere il mondo davvero sulla logica dell’amore, quello vero e radicale di un Dio “impazzito” per l’uomo, e ha deciso che la lettura giuridica del “do ut des”, del rapporto obbligato colpa – punizione esiste solo nei tribunali. E quando è applicato alla vita reale annulla il senso dell’umano. Ma così può ascoltare qualcos’altro che Dio può dirci: “Io ti amo, per questo tu puoi vivere anche una cosa difficile. Io non posso evitarti la vita. (…)  e allora, proprio perché sei amato, anche il dolore, anche la cosa che sembra più assurda, più contraddittoria non è al di sotto della tua dignità e tu puoi viverlo.

E’ la differenza di chi accetta di perdere, di non avere risposte al perché. Di chi, per un momento accetta che la sua fede resti sepolta sotto quelle macerie. E non ha paura di ammettere: “Io non ce l’ho la risposta, non so perché questo succede, accade”. Ma lo può fare soltanto uno che si sente davvero amato, perché nell’amore anche il mistero che resta impenetrabile si rende vivibile, può essere attraversato e permette di concludere la frase di Giobbe: “ora i miei occhi ti vedono”. Perché di fronte ai “propri” personali terremoti “non possiamo restare uguali: o si diventa persone migliori o si diventa disperati”.

Non so dire perché, ma tentativo di trovare una risposta al perché di un terremoto, ha tutta l’aria di provenire da persone disperate.

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