La chiesetta-aquilone sotto il Col Ombert

Lo steccato è sempre aperto come a dire che quello spazio sacro fra le conifere è lì, disponibile per tutti. Anche per chi è in ricerca o viene da altre fedi.
4 Luglio 2019

Una tenda a forma di aquilone a quota 1845 nella fassana val San Nicolò, slanciata verso il cielo, fissata con picchetti robusti. Al pari di tante chiesette d’alta quota fa un servizio provvisorio – i mesi estivi e poco più –  ma si presenta forte, duratura. Così nel 1964 l’hanno voluta e progettata gli amici studenti della vicina “baita Juventus”, ritagliandone il profilo sulla sagoma aguzza del Col Ombert.
Da sotto quell’ardita cima che domina la valle (più dietro spunta il pennacchio bianco della Marmolada, parete sud) appare riprodotta nella chiesa di legno in scala quasi perfetta, nell’inclinazione e nella colorazione, quasi un modellino da Dolomiti in miniatura. Questa sovrapposizione – il campanile della chiesetta che “copre” il pinnacolo della cima lontana – ci faceva riflettere fin dalle lodi sulle panche di legno e poi nella Messa serale al campo; già, ci dicevamo, chi ha voluto la chiesetta qui ha provato ad avvicinarci al tempio di dolomia inventato dal Creatore.
Anche le “scandole” di larice, la copertura lignea tipica dei fienili della Val di Fassa, davano al tetto della tenda le sfumature frastagliate dell’Ombert, sia nei colori smaglianti dopo il temporale che nei grigioscuri delle giornate bigie. Con noi liceali del “Prati” di Trento c’era don Gianfranco Corradi, il catechista-guida al quale dobbiamo ancora riconoscenza – che all’inizio della prima Messa di campeggio raccontava sempre di quegli universitari dell’associazione studentesca denominata “Juventus” che pure fra le due Guerre avevano gustato su quei sentieri le prime “lezioni” della spiritualità della montagna. Da percorrere a passo lento, occhio attento a chi sta dietro e davanti, rispetto della natura e servizio ai compagni. Ci mostrava poi il cippo dedicato ad altri preti, guide per i giovani, ricomprendendoli nel commovente “Signore delle cime” a quattro voci.
Quella chiesa-aquilone, fino ad allora soltanto suggestiva, diventava allora preziosa, eloquente. Ci ritorniamo volentieri, è il nostro “luogo dello spirito”.

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