La Chiesa siamo noi

«A me, adesso e con loro, basterebbe riuscire a promuovere un esercizio di igiene linguistica, da applicare nel nostro gruppo e magari da portare a casa»
20 Febbraio 2013

Cammino verso la Cresima: i ragazzi di terza media sono mediamente impegolati in quel meraviglioso periodo della loro vita in relazione al quale ti chiedi, spesso, se ce la farai a reggerli ancora un altro giorno o se cederai alla tentazione di strozzarli (ma con molta, molta dolcezza, si intende…). In questo frangente come catechista sono chiamata a condurli ad una consapevole e responsabile appropriazione del dono ricevuto con il Battesimo, ma nella dimensione tipica della Cresima, ossia quella dell’immersione in una chiesa locale, di cui dovrebbero iniziare a sentirsi parte attiva. Bella sfida!

Lasciamo pure da parte il dato di fatto del mutamento che si è verificato nel processo di crescita dei nostri figli, per cui la maturazione fisica è anticipata ma la maturazione psico-affettiva è molto ritardata rispetto a qualche generazione fa, cosa che dovrebbe davvero spingerci a ripensare il cammino di Iniziazione Cristiana (non semplicemente posticipando la Cresima – cambiamento solo apparente ma che in realtà lascia immutata la sostanza delle cose – ma in senso più radicale, nella direzione di una nuova immersione nella dinamica eucaristica). Nella situazione attuale, potrà sembrare strano, ma uno degli ostacoli più ardui da superare è costituito proprio dal discorso sulla chiesa.

Se chiedo loro: “Cos’è la chiesa?” ormai la maggioranza non risponde più all’unisono, come avveniva nei primissimi anni di catechismo, “La casa di Dio”, riferendosi a quell’edificio che vedono guardando fuori dalla finestra della nostra stanza; questo succede anche perché, per indirizzare la loro riflessione, da tempo abbiamo modificato la domanda, chiedendo: “CHI è la chiesa?”.

Nonostante questo, una risposta molto gettonata suona: “Il papa, i preti, le suore…” (come al solito, i vescovi li saltano direttamente; questo forse potrebbe suggerire qualcosa ai nostri pastori…).

Eppure tutti noi catechisti e il parroco siamo sempre molto attenti non solo a che i piccoli possano interiorizzare la differenza tra la chiesa di mattoni e la Chiesa di Cristo, fatta di persone, ma anche perché sappiano di essere parte integrante di quest’ultima: abbiamo narrato, spiegato, celebrato, li abbiamo coinvolti in attività comunitarie, fatto incontrare loro testimoni… Solo che il pregiudizio culturale diffuso, che identifica chiesa con gerarchia e la intende in modo piramidale, è così pervasivo che il nostro lavoro passa rapidamente nel dimenticatoio: un elemento solo mnemonico e non culturale, se per cultura intendiamo davvero una fortificazione dello spirito, ciò che resta in noi quando ciò che avevamo appreso è stato dimenticato (Salvemini). Cosa possiamo fare ancora, e di più, per promuovere questo passaggio, questa modifica così difficile perché si colloca a livello di rappresentazioni mentali?

A me, comunque, adesso e con loro, sarebbe già sufficiente riuscire a promuovere un esercizio di  igiene linguistica, da applicare nel nostro gruppo e magari da portare anche a casa, ogni volta che ci accade di sentir parlare di chiesa. Invece che: “la chiesa ha fatto…, la chiesa dovrebbe…”, mi piacerebbe che riuscissimo a formulare così le nostre osservazioni: “noi-chiesa abbiamo fatto…, noi-chiesa dovremmo…”

Sì, lo so che sembra solo una faccenda di parole. Ma quello che diciamo, come lo diciamo, non solo esprime ma contribuisce a modificare la nostra percezione del mondo. Magari si potrebbe cominciare anche così…

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