La Chiesa in entrata

Dal 18 maggio si tornerà a celebrare le Messe ma come? Forse - al di là dei protocolli - la sfida è ripensarci come comunità. Andando oltre la logica del «tutti o nessuno»
8 Maggio 2020

Abbiamo un protocollo firmato dal governo italiano e dalla Cei per le «celebrazioni con il popolo».  E anche una data per l’inizio della sua applicazione: lunedì 18 maggio. Tra meno di due settimane, dunque, nelle chiese italiane si potrà tornare a celebrare l’Eucaristia con la partecipazione dei fedeli, garantendo però il distanziamento sociale, l’afflusso controllato non oltre un certo numero di persone e tutta una serie di altre regole sui dispositivi di protezione individuale e l’igienizzazione degli ambienti per prevenire nuove occasioni per la diffusione dell’epidemia.

Il protocollo arriva dopo giorni di discussioni nella blogosfera ecclesiale tra chi grida allo scandalo per «questa Chiesa che rinuncia persino alla Messa» e chi grida allo scandalo per «questa Chiesa clericale che vuole tornare a mettere i suoi riti davanti alla salute di tutti». Con nel mezzo il comunicato diffuso la sera del 26 aprile dalla Cei, che alla fine non ha fatto altro che galvanizzare entrambe le curve…

A me pare sinceramente che entrambe queste posizioni (ben visibili anche ieri pomeriggio nei commenti alla notizia del protocollo) partano dallo stesso presupposto sbagliato, e cioè dalla logica del «tutto o niente». La vita cristiana è questa, dunque se rinunci alla Messa per il bene di tutti non sei più cristiano. La Messa è questa, e allora se dobbiamo contingentare il numero di chi entra o dobbiamo ricevere la Comunione da qualcuno coi guanti in lattice, non è più una vera celebrazione dell’Eucaristia.

Per me dovremmo provare a ribaltare il discorso cercando di essere tutti un po’ più franchi. Da una parte dovremmo dirci con chiarezza che possiamo stendere tutti i protocolli che vogliamo, ma la Messa della domenica mattina di tutta la comunità così come siamo abituati a viverla oggi non è possibile. E probabilmente non lo sarà per mesi. Ma questo deve per forza voler dire non celebrare con nessuno? Perché rinunciare in partenza all’idea di una ripresa della vita sacramentale nelle nostre comunità?

Il problema vero credo sia un altro: se non possiamo esserci tutti chi decide chi entra e chi no? Si tratta di una bella domanda. Mi fa venire in mente il padrone che nel Vangelo manda i suoi servi a invitare alle nozze: noi oggi da chi li invieremmo per primi? Da quelli che erano sempre al primo banco o da quelli che stavano in piedi vicino alla porta, pronti a scappare prima ancora della benedizione finale? Da chi ricominciamo? E se fosse davvero questa la provocazione più forte che il Coronavirus ci lascia in eredità? Perché non sarà che dopo la valanga di parole sulla «Chiesa in uscita» il vero test oggi si gioca sulla porta d’entrata?

Da quando si parla di Messa sì o Messa no a me frulla nella testa un sogno: nella prima domenica in cui si potrà tornare a celebrare invitiamo solo i bambini che non hanno potuto ricevere in queste settimane la Prima Comunione. Mettiamo loro con le loro famiglie al primo posto. Non per amministrare d’urgenza il sacramento ma per rimetterci tutti in cammino con loro. Perché l’Eucaristia non è un servizio a gettone, ma vive dentro una comunità che trasmette la fede. Non saremo tutti lì presenti, ma saremo lo stesso Chiesa che riparte dal Mistero di quel Pane. E guarda al futuro.

Non è il tempo di riportare indietro le lancette ma di imparare da quanto abbiamo vissuto. Di Messe sterilizzate ne abbiamo già vissute tante prima ancora di indossare guanti e mascherine; adesso abbiamo bisogno di sacramenti che ci ridonino vita. Per davvero.

4 risposte a “La Chiesa in entrata”

  1. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    Certo, ogni parroco aprirà porte e sagrati, o cortili interni se anche ci sono, per rispondere alle regole suggerite per la salvaguardia della salute e fisica e in questo caso quella spirituale . Una Messa con un microfono che fa arrivare la Parola anche ai duri d’orecchio che si trovino distanziati, e il Pane eucaristico offerto e ricevuto forse anche con uno spirito nuovo. un recuperare coscienza di quanto Cristo con il Suo sacrificio ha spalancato all’uomo una nuova Vita, un vivere nuovo che suggerisce il rinnovare noi stessi ogni giorno, la mobilità rispetto all’inerzia, al l’abitudine alla consuetudine.Benigni, un attore artista ha commentato le 10 Parole attingendo al suo innato talento, è stato efficace nel descrivere quanto di Verità e di bene esse siano state Pensate e proposte dall’Eterno Onnipotente e Padre di tutti noi. Una Messa della Parola .cambiare per vivere meglio per scoprire il futuro.

  2. Lorenzo Pisani ha detto:

    La citazione della parabola è suggestiva. Una messa su invito per la riapertura delle chiese [che sembra una citazione di quello che si ripete durante il rito “Beati gli invitati …..”.]
    Solo che la parola del Signore innesca molte più dinamiche.
    Chi invitare? La prassi vorrebbe suggerire che gli inviti procedano per via gerarchica. Oppure si invita senza rete. In ambedue i casi è reale la possibilità che gli invitati non si presentino. Non sarà capitato solo a me di vedere vuoti i primi banchi che erano stati riservati alle persone di riguardo.
    D’altra parte, invitando senza rete, nulla esclude che qualcuno si presenti senza l’abito giusto. So che nessuno verrà allontanato, comunque le presenze anomale ci provocano.
    Si rischia persino se l’invito viene accolto in maniera massiccia; in questo caso si deve stare ben attenti a non sprecare una straordinaria occasione di evangelizzazione.
    Invitare è mettersi in gioco

  3. Antonio De Gasperi ha detto:

    Riguardo al pane eucaristico per me vale il desiderio di cibarsene. Cristo nutrimento per il mio cammino con Lui. Mi va bene se la chiesa ritiene di accettare le disposizioni statali volte alla prevenzione dello stato di salute dei cittadini. Se la sacralità è per loro tutelata,va bene anche a me cui piace di più certamente il modo semplicemente eclesiastico della celebrazione.

  4. Gianfranco Gomiero ha detto:

    Vorrei dire soltanto che il sacramento dell’Eucaristia non è la prima Comunione, ma la Celebrazione Eucaristica, di cui la Comunione è atto necessario e integrante per manifestare la propria totale partecipazione e adesione al mistero pasquale che vi si celebra e che fa diventare tutti un solo Corpo di Cristo. Fare la Comunione non significa solo “ricevere Gesù nel proprio cuore”, ma diventare anche noi “Corpo di Cristo”, suo sacramento, che continua a donarsi per il bene di tutti.

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