Io, la Parola e il silenzio

Sono cresciuto alla scuola del cardinal Martini (di cui oggi ricorre il 40esimo di ingresso in diocesi di Milano) e così la Parola è diventata, insieme al silenzio, parte fondamentale del mio camminare cristiano.
10 Febbraio 2020

Ho avuto la fortuna di formarmi come cristiano nella diocesi di Milano durante l’episcopato di Carlo Maria Martini, e ho avuto l’ulteriore fortuna di crescere con sacerdoti ed educatori laici a loro volta figli di quell’episcopato. Come Martini, entrato nella diocesi ambrosiana il 10 febbraio 1980 con un Vangelo in mano, abbia incentrato sulla Parola di Dio i suoi anni sulla cattedra di Ambrogio e quali iniziative siano nate da quell’opera pastorale (a partire dalla scuola della Parola) è cosa nota.

Così, tra una scuola della Parola e l’altra, tra la lettura di un libro di meditazione biblica e un ritiro, tra l’ascolto e la meditazione, la Parola è diventata (per grazia) parte integrante della mia spiritualità. Martini aveva il dono di far sprigionare dalla Scrittura tutta la forza, la vita, la sapienza che lo Spirito vi ha deposto e qualcosa (di minimo, certo) credo mi sia rimasto. Soprattutto, ho capito sempre più che la Parola è viva, non è lettera morta, e che dice qualcosa alla mia vita. È però necessario mettersi in ascolto, dedicarle del tempo, avendo anche la cura di acquisire qualche strumento che permetta di cogliere tutta la ricchezza della lectio divina, quell’antica pratica monastica che Martini ha ridonato alla sua diocesi. Così, partendo dall’uso della matita dei primi tempi, poco a poco ho cercato di fare della Parola la compagna del mio camminare: con fatica anche, con perseveranze intermittenti, con momenti di consolazione e altri di aridità.

A questo si è unito, sempre più, quasi come conseguenza naturale, la necessità del silenzio: credo non ci possa essere vero incontro con lo Spirito che soffia nella Parola se non in una dimensione di silenzio, per far risuonare quella pagina del Vangelo, quella frase, quel gesto raccontato, quell’invocazione.
Mi serve silenzio: per questo poco sopporto omelie verbose e dilatate.
Ma non sempre mi è possibile, non sempre riesco a fare silenzio, per cui, a volte, sento che mi basta almeno una lettura veloce per ricordarmi che tra quelle righe c’è un tesoro prezioso per me.

Alla Parola cerco di riservare un tempo alla mattina, prima che comincino le attività della giornata: sento che quello che è un momento buono per me. Qualche persona che conosco preferisce riservarsi il tempo della sera, per ricapitolare le ore del giorno. In fondo, penso, è importante che ognuno trovi un suo modo di rapportarsi alla Parola, un suo spazio, un suo tempo, una sua preghiera.
A me piace poi, se trovo il tempo, unire alla mia breve lectio la lettura di una pagina di spiritualità: è un modo per ricordarmi come incarnare quella Parola, quando faccio un po’ fatica.
Piano piano, tra alti e bassi, tra cambiamenti e evoluzioni, tra discepolato di maestri e qualche passo in avanti, tra incertezze e sbandamenti, mi pare di affermare che una cosa almeno ho capito: nella parola posso incontrare Dio. Il che rimane però racchiuso nel mistero stesso del rapporto tra un uomo e Dio… cercando però di ricordarmi anche tutta la portata comunitaria che la Parola genera: non si è cristiani da soli, anche se sento l’esigenza di una lectio personale.

Parola e silenzio, Spirito e vita, singolo e Chiesa: mi pare che questi siano gli anelli di una catena che mi accompagna.

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